Il problema della democrazia in Antonio Rosmini
di Markus Krienke
(Facoltà di Teologia di Lugano)
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Abstract
This article deals to applicate a new method of interpreting Rosmini’s texts – the so-called IVth phase – on the problem of his opinion on democracy. Rosmini’s critical interpretation of democracy as a form of State con-sists in the argument that democracy would undercut the political-ethic dimension of individual and free-dom. Therefore he distinguishes between liberalism and democracy, founding the first one on a personal-ethic concept of freedom and relegating the latter one on the “inner side” of society: on the political-ethic consideration about the political-juridical conditions for the realization of a democracy which avoids the despotic risks if reduced to a mere form of State. In Rosminis’s argumentation democracy solely is not a guarantee for the realization of politics corresponding to human dignity, as long as it’s not framed by a con-stitution realizing human dignity and freedom. In this dimension, the democratic-critical political thought of Rosmini reveals today its actuality for the question how to legittimate ethically the democratic structures. The article tries to points out how to get the positive ethical argumentation, also for the actual application, from Rosmini’s denial of democratic form, conditionned by the circumstances of the political situation and thought in his epoch.
«È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo,
eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora».
(W. Churchill)
«Noi siamo persuasi altamente che tutto ciò che è giusto sia anche possibile».
(A. Rosmini) [1]
1. Considerazioni preliminari
Da alcuni anni i tentativi di “fondare [2] le istanze del nostro mondo politico liberale contraddicono alla tesi postmodernista di un continuo, più o meno silenzioso, ma irreversibile processo di indebolimento delle nostre capacità di pensiero e di teoresi: si parla della tarda modernità, della post-secolarizzazione, del ritorno del religioso. Tale interesse è stato senz’altro catalizzato da quel cambiamento politico dopo l’89 che non consente più al discorso liberal-democratico di accontentarsi con il suo argomento ex negativo anti-collettivista e anti-comunista, ma che si interroga sul fondamento delle nostre istituzioni liberali stesse. Ed è tanto più interessante osservare che questa “sfida” non viene imposta dall’alternativa socio-politica del comunismo ma si pone nella situazione in cui le alternative non ci sono più – infatti, questa situazione causa la domanda imbarazzante del perché del sistema liberale nei confronti del pluralismo ormai relativista delle forme sincretiste politico-giuridico-sociali attualmente presenti nel mondo . [3] Questa “sfida” nasce quindi solo apparentemente per la “minaccia” del mondo islamico: piuttosto è una sfida che emerge all’interno della nostra cultura stessa e che ci costringe a riflettere fondamentalmente sul perché del nostro ordinamento liberal-democratico. Come si evince subito, la domanda “etica” dei nostri sistemi non è – secondo chi scrive – tanto la quadratura del cerchio impossibile ai nostri ordinamenti funzionalizzati, burocratizzati e rispondenti ai propri imperativi tecni-ci, bensì la domanda tanto semplice quanto fondamentale sulla ragionevolezza di questi sistemi stessi. E più questa ragionevolezza scopre l’uomo come criterio, più si concretizza la domanda etica. In questa chiave, riteniamo che Rosmini ci indichi un percorso di riflessione di carattere di etica politica.
Al centro di questa riflessione poniamo direttamente la forma di governo appropriata al liberalismo politico ossia la democrazia. Ma già nel tentativo di definire “oggettivamente” il termine si incontra una plurivocità caratteristica che segnala i diversi contesti storico-culturali in cui esso assume dei significati spesso difficilmente conciliabili, per cui la sua comprensione comune si restringe al “minimo etimolo-gico” del termine: ossia la forma dello Stato che a differenza di monarchia ed aristocrazia basa le deci-sioni politiche sul principio di maggioranza dei cittadini con diritto al voto, realizzato o attraverso un meccanismo rappresentativo o in modo diretto. Evidentemente, in quanto forma dello Stato cioè di gestione di potere politico, questo concetto esige una precisa riflessione politico-etica. Infatti, se Ro-smini certamente non si annovera tra i “padri”, “teoretici” ed “ispiratori” moderni del concetto di “de-mocrazia”, egli svolge però delle considerazioni fondamentali proprio per la “sfida” accennata, nel sen-so che pone la domanda dei fondamenti etici di un’attuale riflessione politico-etica sulla democrazia.
Partendo dalla “definizione minima”, cioè dalla forma di governo per la quale i governati partecipano all’esercizio del governo e quindi del potere politico e sono quindi il sovrano del potere politico, si e-vince perché la democrazia vale come la forma politica più appropriata al liberalismo moderno. Davan-ti a quest’orizzonte ci si pone a maggior ragione la domanda perché nella filosofia politica e del diritto di Rosmini non si trovi un’affermazione chiara e decisiva a favore di questa forma di Stato. Cercando di dare una risposta a questa domanda, questo saggio vuole al momento stesso presentare in quale sen-so si può trovare in Rosmini lo stesso un contributo attuale e valido alla discussione sulla democrazia – oggi – in crisi. Così si lasciano desumere dalla sua critica alla democrazia come forma politica alcuni ra-gionamenti etici che possono servire alla riflessione attuale sulla “fondazione” ossia sulla “ricompren-sione” della democrazia oggi. Tale metodo di ricerca non intende per niente riconoscere in Rosmini un democratico dove invece non c’è. Infatti, al contributo importante di Rosmini allo sviluppo del “diritto” e del costituzionalismo non corrisponde un’altrettanta attenzione alla “democrazia”, e così egli si avvi-cina piuttosto alle riflessioni tedesche, nella scia di Kant od Hegel, confluenti nella concezione del Re-chtsstaat, che non all’attenzione francese per la democrazia. Questo fatto non sorprende se si conside-ra che all’inizio dell’iter filosofico-teologico del Roveretano stanno domande di educazione e di politi-ca. In quest’ultimo caso, Rosmini partiva dalla domanda della problematicità della costituzione dell’ordine politico post-rivoluzionario, dell’esito della rivoluzione – che fondamentalmente considera un dato storico-politico importantissimo – nel terrore giacobino, e della difficoltà ovvia di formulare una costituzione duratura dato che le costituzioni post-rivoluzionarie in Francia, fino al 1848, duravano, secondo il calcolo di Rosmini, di medio cinque anni e cinque giorni .[4] Ma proprio tale riflessione giuridico-politica in Rosmini, come si realizza perlopiù nelle considerazioni circa la “tirannia della maggioranza” ed il rischio del “perfettismo”, ha anche le sue ripercussioni specifiche per lo stesso concetto di democrazia. Da questa problematizzazione si evince chiaramente che il nostro studio non intende tanto presentare dei brani fin ora sconosciuti o apportare argomenti che nella sostanza pretendessero essere nuovi – penso che per quanto riguarda questi due punti, gli studi sulla politica rosminiana hanno svolto un la-voro di alta qualità –, bensì di riconsiderare il pensiero politico-giuridico rosminiano con un criterio che fin ora la ricerca rosminiana evitava di apportarci, ossia quello della “democrazia”. Infatti, il concetto di “democrazia” non costituisce ancora un punto sistematico-positivo di approccio al pensiero politico di Rosmini – le poche volte che gli studi sul pensiero politico di Rosmini ne accennano si trovano all’interno di considerazioni a partire dal “diritto”, della “società”, o in qualunque altro contesto più ampio. D’altronde, lo stesso Rosmini non ha mai trattato questo termine – neanche in quanto da lui ri-fiutato – in modo sistematico, per non parlare del fatto che in effetti non appare mai in nessun titolo o sottotitolo. Questo punto di partenza determina senz’altro il carattere delle seguenti considerazioni con le quali cercherò di sviluppare, nonostante i limiti e le riserve accennate, una considerazione sul pensiero politico di Rosmini attorno al concetto di democrazia. In questo modo, cerchiamo di svolgere un’indagine tipica della IV fase degli studi rosminiani, ossia ripensare il pensiero del Roveretano alla lu-ce dei problemi socio-politici attuali. Per questo compito – che tra l’altro ha animato i più grandi pen-satori di ispirazione rosminiana ossia nel campo politico-giuridico quale Minghetti, Lampertico o Stur-zo – evidentemente si tratta di oltrepassare il giudizio letterale di Rosmini sulla “democrazia” – che sa-rebbe quello di un netto rifiuto – per ricavare le ragioni fondamental-etiche che Rosmini esprime con questo rifiuto e per applicare queste stesse ragioni al discorso di oggi. In questo modo, si fa “risuonare la voce di Rosmini oggi”, si rende incisivo il suo pensiero in modo sistematico e attuale, invece di pietri-ficarlo dogmaticamente. Proprio per il termine della democrazia, questo compito ci sembra essenziale per una riflessione politica nello spirito rosminiano oggi.
Se con questo compito ci rivolgiamo agli scritti di Rosmini, risultano – per il metodo specifico appena delineato – i seguenti compiti: (1) dare uno sguardo complessivo e panoramico su tutti gli aspetti del pensiero politico di Rosmini che si lasciano valorizzare nella prospettiva del dibattito attuale sul con-cetto di “democrazia”; (2) dato che tale prospettiva non si può basare sull’analisi di uno scritto preciso del Roveretano, si tratta di raccogliere i rispettivi elementi utili dalle varie parti del suo pensiero. Per questo punto di partenza, evidentemente, il risultato non sarà una “dottrina politica” o una “definizio-ne” del concetto, bensì l’insieme di alcune considerazioni nell’interesse di una riflessione attuale e co-struttivo-critica sulla democrazia dalla prospettiva dell’etica sociale cristiana.
Evidentemente, le dimensioni di un articolo costringono in molti punti ed aspetti a rimanere alla super-ficie; e inoltre tale impresa risulterebbe completamente impossibile se non si potesse appoggiare agli studi già accennati, e oltremodo validi sulla politica di Rosmini che hanno sufficientemente rilevato e analizzato i concetti centrali delle seguenti considerazioni. Esplicitamente mi riferisco a Mario D’Addio [5], Francesco Traniello[6] , Michele Nicoletti[7] , Christiane Liermann[8] , Salvatore Muscolino[9] , Francesco Merca-dante[10] , Pietro Piovani[11] , Paolo Armellini[12] ed Evandro Botto[13] .