QUALE DIRITTO PER L’EVERSIONE POLITICA?
di Alberto Berardi
(Università di Padova)

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Abstract
Legal and conceptual instruments about political eversion have their origin and own their internal structure to the Marxist – Leninist conception of revolutionary praxis. Despite the apparent similitude, libertary revolution –not eversion – responds to a completely opposite conception of man (optimistic, not pessimistic), social relations (virtuous and collaborative, not conflictual) and human action (free and autonomous, not planned and externally directed)

Il diritto per l’eversione politica nasce, nel nostro ordinamento giuridico positivo, quale diritto criminale e sanzionatorio, a far data dal 21 marzo 1978, allorquando, per la prima volta nella storia nazionale, la nozione di “eversione dell’ordine democratico”, unitamente a quella di “terrorismo”, fa la propria comparsa nel contesto della legislazione ; [1] un diritto giustamente repressivo, a ben vedere, tutto edificato attorno all’idea della criminale rilevanza, genericamente aggravata, di ogni condotta delittuosa che assumesse a direzione finalistica della propria azione l’obiettivo del rovesciamento violento dell’ordine costituzionale dello Stato, al di fuori delle regole che presiedono alla modificazione legale degli assetti istituzionali, incarnati dai valori fondamentali della Carta costituzionale .[2] La questione del contesto storico-istituzionale nel quale l’eversione politica si affaccia nell’universo del diritto positivo, quale categoria autonoma dell’esperienza giuridica, non è punto da trascurasi, posto che, pur non apparendo immediatamente conferente al tema quivi da trattarsi, diverrà categoria concettuale irrinunziabile al fine della comprensione dell’argomento riflessivo che intendo proporre all’attenzione di questo consesso. Si tenga dunque a mente come il diritto criminale contro l’eversione politica nasce, nel nostro ordinamento, a reprimere e tamponare specificamente proprio i velleitarismi eversivi di matrice marxista-leninista delle Brigate Rosse e della variegata coltre operaista e guerrigliera cresciuta ed alimentatasi al – in allora – fertile tronco dell’incubo comunista combattente.

Non è certo questo il diritto per l’eversione politica che può interessare un’interessante giornata di studi come quella che va a concludersi, essendo la questione problematica sottesa al titolo del mio intervento da predicarsi nella direzione affatto contraria, vale a dire attorno al quesito se esista nel nostro ordinamento un diritto all’eversione politica che sia tutto edificato attorno al sogno del trionfo della libertà.

Sono dell’idea che una problematizzazione argomentativa attorno ad un quesito di tal fatta non possa permettersi di scadere nel relativismo sotteso alla logica posteriore dell’effettività, in forza della quale il giudizio circa la finalità eversiva di un gesto finisce per scadere nel contingente, quale prodotto temporaneo dell’attribuzione di valore promanante dal soggetto vincente nel conflitto, che afferma la natura politica del proprio agire, ed al contempo la natura eversiva dell’azione del perdente, trattandosi di una prospettiva teorica, questa, sempre aperta al rovesciamento di fronte, con ogni intuibile inadeguatezza circa il valore teorico della sua funzione conoscitiva , [3] incapace di sottrarsi all’imbarazzo della gratuità dell’alternativa tra gesto politico e gesto eversivo, “dato che la sola differenza percepibile dipende dal lato in cui ci si pone” . [4] Ed allora, proprio l’esigenza di problematizzazione testé annunziata, impone di ragionare secondo una duplice prospettiva di senso, che si periti di prendere adeguatamente in considerazione sia (1) il tema di quale sia il fine – il trionfo della libertà individuale, la dittatura del proletariato … – dell’eversione politica, oltre che quello (2) di quale sia lo strumentario teorico di gestione di ogni valida strategia eversiva.
Orbene, muovendo dall’analisi del secondo dei profili d’indagine appena presentati, non ritengo possa predicarsi dubbio attorno alla considerazione secondo la quale l’armentario della ricostruzione leninista del modello marxista rivoluzionario, ed il suo successivo aggiornamento operaista del ‘900, abbiano in realtà tracciato il prontuario ottimo e universale di ogni autentico processo di eversione. A partire dalla struttura obiettiva del modello economico della produzione, “scandito dal fecondo cozzare di antagonismi ogni volta risolti in una sintesi superiore che suscita essa stessa il suo opposto e fa di nuovo avanzare la storia” , [5] la lotta violenta di classe segna l’iter di un’azione rivoluzionaria storicamente necessaria e inevitabile, che determina una trasformazione rivoluzionaria totale e la sovversione totalizzante e senza compromessi di sorta dell’ordinamento sociale tradizionale ; [6] la filosofia della storia marxista, in definitiva, delinea la più precisa e sistematica teoria dell’eversione della modernità ,[7] chiamata ad annientare totalmente le condizioni sociali esistenti, per porre in pristino un ordine politico totalmente nuovo, attraverso la via totale della violenza ribaltatrice.

Allorquando, poi, viene acquisita la consapevolezza che la coscienza politica di classe non risulta essere il risultato spontaneo del conflitto di interessi tra proletariato e borghesia, tale modello eversivo finisce con l’essere indissolubilmente coniugato con l’organizzazione di un’avanguardia di classe strutturata in partito, soggettività titolare della funzione di inoculare nella classe operaia, dall’esterno, la coscienza rivoluzionaria [8] – declinabile sia nella variante marxista-leninista ortodossa, sia in quella più marcatamente operaista [9] –; ne esce dunque edificato un modello meccanico di struttura eversiva così perfetto, funzionale, servente di ogni e ciascuna finalità eversiva, da rendere fin’anche irrilevante la specificità, il fine peculiare del singolo progetto dell’eversione.
Passando infatti all’analisi di un modello particolarmente affascinante di – per così dire ed errando – eversione libertaria, nella fattispecie quella prospettata nella propria etica della libertà da Murray N. Rothbard ,[10] ci si avvede ed imbatte bensì nella descrizione di un modello di processo eversivo tutto orientato nella direzione dell’affrancamento della libertà individuale dalla foga irrazionale del potere statale, che, quindi, letteralmente nulla ha a che spartire con l’idea dell’odio di classe quale strumento di affermazione, nella storia, del modello organico ed indifferenziato della società senza classi; e pur tuttavia le suggestioni di organizzazione e di struttura d’ascendenza marxista-leninista del modello teorico dell’eversione libertaria sono così tante, per quantità ed importanza, da rendere il debito marxiano del modello dell’eversione libertaria incontestabile, e per certi versi anche riconosciuto.

Vi è, anzitutto, l’affermazione esplicita della necessità d’organizzazione di una “avanguardia di libertari”, si badi, “libertari di professione” – non molto lontana, quanto a struttura, dall’avanguardia rivoluzionaria organizzata in partito dei rivoluzionari di professione di leninistica memoria [11] –, cui attribuirsi l’esplicita funzione di formazione, di guida delle masse popolari, sornione ed indolenti, sulla strada del cambiamento radicale della società nella direzione dell’affermazione delle libertà individuali .[12] A proposito dell’indolenza delle masse, assistiamo fin’anche ad un richiamo letterale ¬– “è opportuno che i libertari traggano beneficio dalla lezione dei marxisti” – dell’opportunismo – riformista – e del settarismo – anarchista – quali autentiche degenerazioni patologiche-freno, solo apparentemente antagoniste l’una rispetto all’altra, di ogni autentico percorso d’eversione libertaria, quali “deviazioni dalla corretta linea strategica” del percorso della libertà ; [13] tutto mediante utilizzo di un’opzione terminologica tanto cara agli ambienti dell’eversione nostrana , [14] musicalmente molto affine alle annose polemiche, che hanno tanto impegnato gli ambienti della rigida ortodossia marxista – e al contempo tanto annoiato il resto del mondo – a proposito dell’anarchismo settario quale “fratello gemello” del riformismo opportunista, fenomeni entrambi additati negativamente in quanto considerati fondati sulle medesime premesse, legati da una preferenza temporale che non scorge oltre l’immediato, dispersivi e controproducenti, diretti contro fenomeni secondari e apolitici della vita sociale .[15] È questo il contesto nel quale – absit iniuria verbis – anche il progetto dell’eversione libertaria viene condizionato da un modello per certi versi storicista di filosofia della storia – “i marxisti hanno giustamente compreso che …” –, essendo affermato come dipendente dalla necessità – storica – dell’intervenuta maturazione, al fianco della crescita soggettiva di un movimento libertario che abbia coscienza del sé – una sorta di nuova classe libertaria in luogo della più nota classe operaia –, di quelle condizioni obiettive di maturazione di una crisi apicale del sistema produttivo, che ne induca obiettivamente il tracollo ; [16] certo, la crisi immaginata in àmbito libertario non è più quella del conflitto di classe tra capitale e lavoro, essendo bensì collocata su di un piano differente: il modello teorico, tuttavia, non cambia, rimanendo dipendente dall’idea del rapporto e della cointeressenza tra le situazioni oggettive storicamente determinate e l’intervento soggettivo e cosciente di un soggetto esterno ; [17] quanto alle prime, le situazioni oggettive, volendo far nostro l’insegnamento del cattivo maestro dell’operaismo autonomista, esse rimangono quelle della “crisi dello Stato-piano”, rispetto alla necessità della quale, per quanto qui d’interesse, sembra mutare solo il piano .[18] A tacersi – poi e per concludere – la circostanza per la quale tale prospettiva ripropone in modo assolutamente fedele la questione problematica dell’attendismo e dell’impazienza rivoluzionaria: quale il criterio di razionalità che consente di misurare la maturazione della crisi? A chi spetta certificarlo? Se il tempo della rivoluzione si compie solo al momento della maturazione delle condizioni economiche obiettive e necessarie che la legittimano, esse non sono forzabili arbitrariamente e soggettivamente [19] e non offrono certezza di risultato rivoluzionario alcuno .[20] Questo il contesto nel quale ben si spiega, in definitiva, l’asserto di omologia tra marxismo e libertarismo, quali “credo decisamente ottimistici, almeno per il futuro” .[21] Il destino sembra segnato. La strada del diritto per l’eversione libertaria non sembra possa sottrarsi dalla previa vestizione con i panni ideologici del marxismo-leninismo.

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