UNA “GIUSTA AUTONOMIA” PER IL “GOVERNO DI UOMINI LIBERI E UGUALI”.
LA LEGGE COME CAUSA ESEMPLARE DELL’ATTO UMANO.*
di Gonzalo Letelier Widow
(Università di Padova)
19 “Ea quae sunt ad finem” è un termine tecnico di San TOMMASO che viene spesso tradotto come “mezzo” (vid. in particolare, S. Th. I-II, prol. delle questioni 8 e 13). La questione non è indifferente, perché se l’atto è mezzo, la sua natura sarà puramente strumentale e la sua bontà dipenderà da un fine che gli è essenzialmente straneo, incorrendo in questo modo nell’obiezione kantiana all’etica eudaimonista: il bene di un atto deve appartenere all’atto in se stesso, non può essere effetto di un interesse egoistico nella propria felicità. In realtà l’atto umano è quello per il quale e nel quale si raggiunge l’eudaimonia; in altri termini, il fine ultimo non è uno stato “piacevole” che si raggiunge mediante certi atti, ma la stessa l’attività virtuosa nella quale si partecipa del bene (cfr. la definizione aristotelica di edaumonia come “attività dell’anima secondo virtù perfetta”, in Etica Nicomachea I, 1102a 30 – 1102b 30). Ringrazio il professor Juan Antonio Widow per queste precisioni.
20 Secondo San TOMMASO (I-II, q.95, a.2) la legge umana deriva (e riceve valore di legge) da quella naturale in due modi diversi: per conclusione, in quanto positivazione dei precetti di legge naturale, e per determinazione, in quanto definisce e sanziona ciò che la legge naturale lascia indefinito. La distinzione è paralella a quella tra giusto naturale e legale di Etica Nicomachea V, 1134b 18 – 1135a 5.
21 “Natura non nisi parendo vincitur” (F. BACON, Novum Organum, libro I). Porre ordine dove non c’era in assoluto significa porre l’essere nel nulla; cioè creare. L’uomo può solo ordinare all’interno di un ordine precedente che non puó che riconoscere; non pone ordine dove no c’era, ma attualizza uno degli ordini che c’erano in potenza. Beninteso, questo argomento costituisce lo sfondo teorico di tutte le obiezioni etiche o giuridiche alle pretese assolutistiche del giuspositivismo, e la dimostrazione definitiva della esistenza di un ordine etico che ben si può chiamare “legge naturale”. È la stessa positività del diritto positivo che postula l’esistenza di un diritto naturale.
22 La confusione di questi aspetti porta alla confusione tra ordine giuridico e legge, riducendo la funzione del giurista a quella di un applicatore di norme. Francesco GENTILE considerava questo un errore semplicemente “grossolano” (cfr. Filosofia del Diritto, op. cit., p.216).
23 L.E. PALACIOS, “Sobre el concepto de lo normativo”, in Revista de Filosofía, Vol.2, n.5, aprile-luglio 1943, p.242 (la traduzione è mia). Cfr. S.Th. II-II, q.57, a.1, ad 2 y I, q.21, a.2. S’intende per “arte” qui il sapere produttivo di un’opera esterna all’agente, a prescindere del senso che il diritto romano potesse aver dato alla considerazione del diritto come “ars” e di tutta la discussione sul suo genuino significato. Mi limito a sostenere che la prudenza legislativa produce un’opera che trascende il suo autore, nell’esatto senso di S.Th. I, q.21, a.2 (ringrazio Carlos Casanova per le indicazioni su questo punto).
24 ARISTOTELE, Etica Nicomachea, VI, 1141b 23-27; Politica I, 1260a 17-19;
25 Per questa idea della politica come arte, anche in un senso in qualche modo “produttivo”, vid. J.A. WIDOW, “El hombre, animal político”, Universitaria, Santiago de Chile, 1988.
26 Cfr. S.Th., II-II, q.50, a.2. In questo luogo San TOMMASO enuncia il principio che sintetizza le tesi qui proposte: “Sed homines servi, vel quicumque subditi, ita aguntur ab aliis per praeceptum quod tamen agunt seipsos per liberum arbitrium. Et ideo requiritur in eis quaedam rectitudo regiminis per quam seipsos dirigant in obediendo principatibus”.
27 Come si ricava da S. Th. I, q.15, e I-II, q.57, a.1, ad 2. Per il platonismo di San TOMMASO, ancora oggi ignorato da tanti critici, è fondamentale Cornelio FABRO, Introduzione al tomismo, Desclée, Roma, 1960; per la ricezione tomista della nozione platonica di partecipazione, ved. IDEM, La nozione metafisica di partecipazione secondo S.Tommaso d’Aquino, ora pubblicato da EDIVI, Milano, 2005.
28 PLATONE, Político 294c.
29 Secondo la classica definizione tomistica della legge (S. Th. I-II, q.90, a.4): “quaedam rationis ordinatio ad bonum commune, ab eo qui curam comunitatis habet, promulgata”.
30 Tra tante altre, una conseguenza centrale di questo principio è l’insufficienza di un giudizio che se limiti ad “applicare” le leggi, le quali non sono altro che il paradigma di un ordine che solo sussiste (o no) nella natura dei fatti giuridici. Cfr. F.A. LAMAS, “Hecho, valor y norma”, in Revista Internacional de Filosofía Práctica II, 2004.
31 Cfr. I Tim. 1, 9; Gal. 5 18; S.Th. I-II,q. 96, a.5, tra tanti altri.
32 Cfr. per esempio, II Rom, 2, 14-15; ARISTOTELE, Politica III, 1284a 10- 15; Sant’AGOSTINO, In Io. Ep. tr. 7, 8: “Dilige et quod vis fac”.
33 S.Th. I-II, q.92, a.1.
34 Questa tesi, ad oggi inedita, appartiene a Félix Adolfo LAMAS. Alcuni aspetti sono stati sviluppati da Sergio CASTAÑO in La racionalidad de la ley, Ábaco, Buenos Aires, 1995, con prologo di Dario COMPOSTA, e in “Notas sobre la noción de mando político en Aristóteles” in Archiv für Rechts und Sozialphilosphie, vol. 91, Nº 2, Aprile 2005, pp. 256-265.
35 De Veritate, q.11; S.Th. I, q.117.
36 Il maestro presenta attraverso segni sensibili una verità che non dipende da lui perché sia conosciuta dal discepolo e, faccendo questo, propone la sua conoscenza soggettiva come esemplare dell’atto del discepolo. Alla fine del processo, entrambi comunicano in una stessa verità e partecipano ugualmente ad essa.
Il legislatore, invece, nella misura in cui legifera, stabilisce un fine come giusto e dovuto perché sia amato come un bene proprio dal suddito (il che suppone che questo bene sia previamente conosciuto come tale), e faccendo questo, propone questo ordine oggettivo (e non se stesso o la sua volontà) come esemplare degli atti del suddito. Alla fine del processo, entrambi partecipano da quel bene, ma ognuno nella misura in cui si ordina effettivamente ad esso.Come si può aprezzare, il modo in cui muove ciascuno di loro è inverso: il maestro muove solo l’intelletto in quanto attrae la verita verso il discepolo; il principe, invece, muove tutto l’uomo, in quanto impulsa l’uomo verso il bene. La ragione ultima di questa differenza è l’inversa intenzionalità dell’intelletto e della volontà.
37 Le alusioni e i piccoli accenni alla pedagogia delle leggi si possono trovare in quasi tutte le opere che studiano la nozione classica di legge, ma non sono a conoscenza di opere monografiche sull’argomento. Per un’introduzione alla questione in San TOMMASO, vid. A. WEGMANN, “La ley como instrumento de pedagogía moral en Santo Tomás de Aquino”, in Ius Publicum 19, 2007, pp.25-49.
38 PLATONE, Repubblica IV, 430e – 431b
39 ARISTOTELE, Etica Nicomachea I, 1102a 25 – 1103a 10
40 ARISTOTELE, Etica Nicomachea VII, passim.
41 Cfr. F. GENTILE, Filosofia del Diritto, op.cit. È degna di nota la vicinanza tra le conclusioni di Maria Chiara PIEVATOLO e la lettura di PLATONE di Francesco GENTILE, a partire dalla quale formula il suo concetto di autonomia. Cfr. M.C. PIEVATOLO, “La via verso l´alto: autonomia dell´anima e politica nella Repubblica di Platone”, in AA.VV. La filosofia politica di Platone, Milano, FrancoAngeli. 2008, pp. 175-184. Per il rapporto tra psyche e polis, vid M. VEGGETTI, Quindici lezioni su Platone, Einaudi, Torino, 2003, lezione 9; l’opera di riferimento fondamentale, molto più tecnica ma di conclusioni meno ambiziose, è T.J. ANDERSSON, “Polis and psyche a motif in Plato’s Republic, Acta Universitatis Gothoburgensis, Göteborg, 1971. In ambito aristotelico, invece, cfr. F.A.LAMAS, “El bien común político”, in M. AYUSO (a cura di), Dalla geometria legale-statualistica alla riscoperta del diritto e della politica: studi in onore di Francesco Gentile, Marcial Pons, Madrid, 2006 e “Autarquía y Soberanía”, ora in w ww.viadialectica.com. L’argomento sarà ripreso in un mio saggio di prossima pubblicazione.
43 Gli antecedenti platonici di questa nozione in Leggi V, 739 c-d
43 Etica Nicomachea VII, 1155a 24-30; IX, 1167a 20 – 167b 15; Etica Eudemia VII, 1241a 1-34. Per questo argomento, che non è stato ancora approfondito come meriterebbe, vid. F.A. LAMAS, La concordia politica, Abeledo-Perrot, Buenos Aires, 1975; una sintesi delle sue tesi centrali nell’articolo “La concordia politica” in www.viadialectica.com. Vid. anche R.J. KLONOSKI, “Homonoia in Aristotle’s Ethics and Politics”, History of Political Thought, vol. 17, nº 3, 1996, pp.313-325; J.C. COOPER, “Aristotle and the forms of friendship”, The Review of Metaphysics, 30, 1976, pp.619-648 e A.W. PRICE, Love and friendship in Plato and Aristotle, Clarendon Press, Oxford, 1989
44 Cfr. ARISTOTELE, Politica III, 1278 b 20-25; I, 1253a 11-18.
45 La centralità di questa comunità naturale e storica anteriore a qualsiasi volontà attuale costituisce la principale differenza tra questa concretissima forma di amicizia politica e l’astratto consenso sociale delle teorie contrattualistiche. Non c’è comunità senza un amore comune; ma questo amore non è (in primo luogo) una scelta.
46 Leggi IV, 722b – 723e.
47 S.Th. I-II, q.95, a.1.