UNA “GIUSTA AUTONOMIA” PER IL “GOVERNO DI UOMINI LIBERI E UGUALI”.
LA LEGGE COME CAUSA ESEMPLARE DELL’ATTO UMANO.*
di Gonzalo Letelier Widow
(Università di Padova)
XI
Ciò che viene partecipato non è l’ordine comandato in se stesso, ma i principi dell’ordine: lo stesso amore per gli stessi fini, e una simile ponderazione di “ciò che è per il fine”. Questa particolare forma di unità e amicizia
[42]è ciò che Aristotele chiamava “homonoia”, abitualmente tradotto come “concordia” .[43] Questo fatto permette di spiegare com’è possibile che si obbedisca volontariamente ad una legge che si considera assurda, che si riconosca legittimo un governante che si ritiene inetto, oppure, infine, che si faccia proprio un giudizio alla cui deliberazione non si è preso parte in assoluto. Fatti dell’esperienza quotidiana e pietra d’inciampo delle moderne teorie della legge.
La questione fondamentale è che ciò che viene partecipato non sono i fini particolari di ciascuno, e meno ancora quelli della persona che esercita l’autorità, ma i fini comuni della società politica. I quali, proprio perché sono comuni (cioè, propri, ma non esclusivi; partecipati subordinando se stesso, e non posseduti subordinandoli a sé), possono cercarsi in molti modi diversi, e perfino essere amati dal vizioso con interesse puramente egoistico, senza che questo impedisca la realizzazione del bene comune. In altri termini, la famosa mano di Adam Smith è invisibile solo per chi, con volontaria miopia, rifiuta di constatare nell’uomo una natura sociale che agisce anche praeter intentionem. L’uomo non è un animale politico perché “gli conviene” vivere in società, ma perché, anche se riuscisse a vivere da solo, non potrebbe raggiungere la pienezza del suo bene se non insieme ad altri . [44]
In realtà, il bene comune è voluto anche da chi lo attacca, perché non è veramente diverso dal suo bene proprio. La società politica è una “comunità”, cioè una “unione di molti nel comune a tutti”. E il comune tra uomini diversi, ciò che li unisce nelle loro differenze, non può essere che l’amore di un medesimo fine che appartenga a tutti, cioè quell’amicizia politica che, nella sua forma più perfetta, è “concordia” o homonoia .[45]
XII
La partecipazione dell’imperium è necessariamente volontaria, anche se non diretta ed espressamente scelta dalla volontà. L’obbedienza alla legge non può realizzarsi se non volendo gli stessi fini ai quali essa ordina. Anche se meno perfetta, perfino l’obbedienza dei cattivi è appropriazione del comando e partecipazione nei suoi fini.
Come disse Platone, la legge agisce, cioè causa un atto, attraverso la persuasione dei buoni e la coercizione dei malvagi . [46]Il primo di questi modi è più perfetto e di conseguenza non si può imporre a tutti ;[47] ma il secondo è come la prefigurazione del primo. Nella misura in cui sussiste la volontarietà, la coercizione del cattivo è solo un modo meno perfetto di partecipazione ai fini dell’ordine politico.
Il proprium della legge è la sua vis directiva, mediante la quale viene indicato ai buoni il bene concreto da compiere perché questi lo scelgano liberamente . [48] In secondo luogo, tuttavia, essa possiede anche una vis coactiva, mediante la quale dissuade e scoraggia i malvaggi rendendo preferibile il disagio della buona azione rispetto alla sanzione che seguirebbe l’atto cattivo.
È vero che il vizioso attua la legge solo per evitare un danno, ma il fatto stesso di evitarlo è un bene veramente comune a tutto il corpo sociale; un bene che è suo, ma non esclusivamente suo. In realtà, la legge è efficace nei confronti dell’uomo cattivo proprio nella misura in cui egli non è cattivo, nella misura in cui egli ama il bene. La vis coactiva può modificare l’azione in quanto è anche direttiva; cioè in quanto – di un modo diverso e indiretto – presenta il bene ad un appetito retto perché questo appetito lo scelga. La coercizione è un altro modo della direzione, perché non vi è alcun vero comando senza un previo insegnamento .
[49] È vero che la legge umana sarebbe inefficace verso i cattivi se si prescindesse dalla sanzione, come si dimostra nel libro X dell’Etica Nicomachea. Tuttavia, a) il proprio della legge è ordinare, cioè agire sulla ragione e non sulle passioni ; [50]pertanto la legge si dirige all’uomo ragionevole, al virtuoso, o meglio, ad ogni uomo in quanto è ragionevole e virtuoso, perché questa è la sua condizione naturale (anche se non la più comune). In questo modo, b) la necessità concreta della coazione permette di concludere, come massimo, che la sanzione è un proprium della legge umana (non di ogni legge) in virtù della peculiare natura di colui al quale è rivolta. Ma affermare che la pena appartiene all’essenza della legge significa che la sua forza vincolante è identica alla sua forza coercitiva, o almeno che è inseparabile da essa, e di conseguenza, che una obbedienza che non sia affatto mossa dalla paura è imperfetta e incompleta.
È vero che ogni trasgressione comporta un disordine che a) deve essere corretto e b) finisce naturalmente per ritorcersi contro lo stesso agente. Ma anche se questo si potesse chiamare “sanzione”, non deve essere considerato come qualcosa di essenziale ad una legge che esiste solo per essere obbedita, ma come l’effetto necessario di una trasgressione che è completamente estranea alla definizione della legge .[51] Affermare che la legge suppone essenzialmente la pena, in sintesi, è definire la legge per il suo opposto; è concepire la libertà a partire del suo difetto, come se fosse una pura capacità di scegliere tra il bene e il male; è, infine, includere il peccato nell’essenza del bene morale [52] e nel nostro ambito particolare, definire il diritto partendo dalla sua violazione, esattamente come voleva Kelsen . [53]
XIII
Chiudendo il percorso di queste considerazioni, si può constatare che così come il precetto singolare della legge è modello degli atti individuali, così l’ordine giuridico nel suo complesso, cominciando dalla sua costituzione, è modello o causa esemplare della polis in quanto tale. Perché questo corpus normativo vuole essere l’immagine positivizzata di una Idea o progetto di bene comune o sociale, conosciuto e modellato dall’architetto prudente, riconosciuto e amato come proprio dai membri della società, i quali si riuniscono in virtù dell’amore comune di un identico bene.
Così, riprendendo quello che si è detto nel punto VIII, la legge è modello dell’atto giusto, strumento per la realizzazione del bene comune politico e, infine, modello dell’ordine sociale.
XIV
Il disagio causato da una modificazione della prospetiva teorica sulla legge umana come quella che si propone sommariamente qui, si giustifica solo se essa si dimostra capace di produrre un effettivo contributo alla scienza. Mi sembra infatti che questa impostazione risulta estremamente fertile di conseguenze teoriche. Per i limiti propri di questo saggio, ma anche e soprattutto perché la mia riflessione su queste tesi sta appena cominciando, presenterò soltanto alcuni esempi generali, eventuali percorsi di ricerca nei quali si potrà valutare il loro vero peso teorico.
Francesco Gentile considerava questa idea di “autonomia” del singolo come il vero “fulcro”, punto di appogio e principio pratico fondamentale, di tutto l’ordinamento giuridico delle relazioni intersoggettive . [54] Se questo è vero, come penso che lo sia, allora l’efficacia della legge come partecipazione dell’imperium è un fatto reale, e non un mero principio teorico o un ideale da raggiungere; un fatto così determinante, che addiritura sarà presente perfino quando venga espressamente negato e metodicamente ignorato. Non altro affermava lo stesso Gentile quando faceva notare che la Gründnorm kelseniana suppone appunto quell’eticità o “senso del dovere” la cui negazione rende possibile e necessaria una dottrina pura del diritto; oppure quando metteva in rilievo che la stessa affermazione assoluta dell’individuo astratto, premessa di tutta la filosofia politica moderna, implica strutturalmente il riconoscimento dell’altro, la constatazione empirica del comune nel diverso .[55] In termini sintetici, il nocciolo di queste aporie è il fatto che le geometrie legali della modernità hanno avuto tanto di coerenza, ragionevolezza e praticabilità quanto hanno avuto di non-geometrico.Una riproposizione di questi principi, che non potevano altro che essere sempre presenti in modo occulto e sotterraneo in ogni riflessione veramente scientifica sul diritto, getterebbe nuova luce su tutti gli ambiti della conoscenza giuridica . [56]Così, ad esempio, nel diritto privato il contratto si mostrerebbe come una vera e propria “fonte di diritto”, perché la decisione delle parti di stabilire e "servare pacta sua" non è una cosa sostanzialmente diversa da quegli atti mediante i quali l’autorità promulga una legge e il singolo fa di essa il principio delle sue azioni. In realtà, si tratta sempre dell’ordinazione degli atti singolari verso un bene che non può che essere comune alle parti e alla società in quanto tale . [57] Nel diritto penale, la dottrina della partecipazione spiega come mai la pena possa essere richiesta ed applicata al malfattore contro la sua volontà. Perché non si tratta qui soltanto di un bene della società, rispetto del quale il delinquente diverrebbe uno strumento, ma di un bene che è veramente comune a tutti i membri, anche (e in primo luogo) all’autore del reato; un bene che, infatti e nonostante le apparenze, lui ama come ama il suo proprio bene particolare. E così, chi ha subito una giusta pena è di nuovo partecipe del bene comune che respingeva, anche se continuassi a respingerlo .[58] Nella stessa filosofia politica, il principio è indispensabile per riconoscere la propria funzione e rilevanza al necessario consenso dei membri della società, consenso che, pur non essendo causa della legittimità dei regimi, come vuole il liberalismo, è condizione assolutamente indispensabile per la costituzione della società politica. In ultima analisi, la concordia politica ci si manifesta come vera e propria causa efficiente dello Stato . [59] Infine, questa tesi permette di comprendere la giurisprudenza come un sapere pratico, cioè direttivo dell’azione, e l’intera esperienza giuridica come ordine e ordinazione delle condotte interattive[60] o delle relazione intersoggettive, il cui ripristino costituisce il compito centrale del giurista .[61] In primo luogo perché, come affermava Capograssi [62] e la sua scuola, essa riporta alla luce la centralità del processo nell’esperienza giuridica, il quale diventa il locus paradigmatico dell’ordinazione, il momento in cui l’ordine razionale delle relazioni sociali, minacciato da un conflitto fra interessi incompatibili, è repristinato per l’intera società attraverso l’opposizione dialettica delle ragioni di tutti gli interessati, ai quali si permette ed esige di far pubblicamente presente il modo in cui intendono il giusto concreto, oppure, il che è lo stesso, il modo singolare in cui si considerano partecipi di quel bene comune che tutti cercano. Così, la soluzione del processo, con tutti i limiti della conoscenza umana, non sarà già una decisione imposta da qualcuno che è più forte di tutte le parti, ma una scoperta in comune del suum cuique, di ciò che è dovuto a ciascuno secondo il modo concretissimo della sua reale partecipazione nella società .[63] Ma soprattutto, ci fa capire quella concrezione abituale e spontanea dell’ordine giuridico, fisiologica e non già patologica, vero cuore dell’esperienza giuridica, che è l’obbedienza ordinaria e quotidiana delle leggi. L’efficacia della legge come partecipazione reale dei suoi fini nella comunità politica spiega come non sia necessaria una intenzione espressa di obbedienza, perché ogni atto virtuoso è ordinato al bene comune nella precisa misura in cui è virtuoso, e pertanto, realizza spontaneamente l’ordine della giustizia legale, che è l’ordine delle leggi. In questo modo, riporta il problema dell’efficacia della legge a quell’ambito dal quale non sarebbe mai dovuta uscire: quello della normale vita sociale dell’uomo comune, fatta semplicemente di lavoro, amichevole convivenza e virtù, il quale obbedisce naturalmente e senza mai accorgersi ad un numero sterminato di leggi la cui esistenza nemmeno conosce, e che (magari) non vedrà in vita sua un tribunale di giustizia dall’interno.
Cioè spiega in che modo l’autonomia del singolo è il vero fulcro dell’ordine giuridico.