UNA “GIUSTA AUTONOMIA” PER IL “GOVERNO DI UOMINI LIBERI E UGUALI”.
LA LEGGE COME CAUSA ESEMPLARE DELL’ATTO UMANO.*
di Gonzalo Letelier Widow
(Università di Padova)

Il nominalismo riduce la relazione di causalità alla causa efficiente, perché non riconosce un rapporto reale tra due enti al di là di quello fisico. In questo contesto, essere causa può significare semplicemente muovere o creare. Di conseguenza, per la filosofia giuridica moderna, lo Stato non media, riconosce o tutela rapporti sociali reali, ma li stabilisce; non accetta diritto o giuridicità anteriori a se stesso, ma li crea dal nulla. “Il potere legislativo è onnipotenza umana” , [16] come disse Portalis ai legislatori francesi durante la rivoluzione.
Siccome la legge è vera causa dell’agire, ma l’unica causalità possibile è quella della causa efficiente, ci restano solo due alternative: 1) ridurre la legge a coazione, che è una forma di causalità efficiente degli atti di un altro, 2) oppure ricondurre la legge alla volontà individuale, che è causa efficiente delle proprie azioni. Entrambi i tentativi, abbiamo visto, falliscono in modo evidente; lo dimostrano con eloquenza le teorie contemporanee dell’obbligo giuridico, le quali neppure tematizzano il problema .
[17] L’atrofia nominalistica del principio di causalità, concepito come un puro meccanismo di azione e reazione, fa della legge, anche di quelli scaturita dalla propria volontà, una forma particolare della costrizione.
Una vera causalità della legge sugli atti dell’uomo, deve essere in grado di salvare quei due termini apparentemente incompatibili: il governo politico e la libertà. Deve causare realmente l’atto del cittadino, ma, al tempo stesso, riconoscere come principio delle sue azioni la sua volontà libera. La ragione ultima di questi requisiti non può essere più semplice: è ciò che ci manifesta l’esperienza quotidiana. Tutti i giorni ci comportiamo in un certo modo perché la legge lo comanda e perché l’abbiamo scelto. Perché mi è stato comandato e perché io voglio, simultaneamente e senza alcuna incompatibilità. La tesi di fondo della filosofia classica è che queste due ragioni non sono contrarie perché, in realtà, sono solo una: si obbedisce perché e nella misura in cui si sceglie la legge.
Il problema della legge positiva, pertanto, è quello di spiegare questa identità elettiva fra il giudizio imperativo dell’autorità e il giudizio prudenziale che determina l’azione. L’analisi di questa tesi costituirà la struttura delle prossime riflessioni.

VI
Che questi due giudizi siano identici manifesta la causalità reale del comando giuridico sull’atto di imperium singolare . [18] Entrambi i giudizi (la legge e l’imperium prudenziale) sono in certa misura identici proprio perché uno è causa dell’altro: omne agens agit sibi simile. L’efficacia causale della legge consiste precisamente nel rendere simile il giudizio singolare del cittadino a se stessa. Cioè, l’imperium prudenziale prende la sua forma dal giudizio universale della legge, il quale è come il suo modello.
L’identità di due giudizi pratici consiste in una identica ordinazione di “ciò che è per il fine” rispetto ad un identico fine. Ma, evidentemente, ci sono diversi gradi di precisione nel determinare “ciò che è per il fine” .[19] E più universale è il giudizio, maggiore è anche l’indeterminazione. Ciò che il giudizio più universale della legge lascia indeterminato, verrà determinato dal ragionamento prudenziale secondo le circostanze del caso. L’essenziale è che l’atto d’imperium prudenziale di chi obbedisce alla legge “dice la stessa cosa” che il giudizio della legge.
In una parola, la legge è modello o causa esemplare dell’atto singolare, vale a dire, quello a somiglianza del quale l’azione umana si ordina al suo fine proprio.

VII
In questo contesto, si può stabilire una perfetta analogia di proporzionalità tra i primi principi della legge naturale e i suoi precetti secondari, tra questi precetti secondari e la legge umana derivata da essa per determinazione , [20] e tra quest’ultima e il giudizio prudenziale che costituisce l’azione concreta nella situazione contingente. Tutti questi livelli, ciascuno dei quali è causa o modello del precedente, consistono in un unico giudizio ogni volta più determinato.
Ma la legge non è la causa di tutto l’essere dell’effetto (ad eccezione, naturalmente, della legge eterna). Questo tipo di causalità implica che qualcosa degli atti ordinati e qualcosa delle relazioni stabilite dall’ordinazione sia anteriore alla legge, la quale si limita a determinare ciò che la loro natura lasciava indeterminato (come quando si stabiliscono i requisiti per la validità di un contratto) o a qualificarli in modo estrinseco a quella natura (come quando si dá rilievo giuridico ad un gesto particolare).
Cioè ogni precetto ordina a partire da qualcosa che è già ordinata dal precedente .
[21]

VIII
La legge è causa esemplare dell’ordine, e la causa è sempre diversa dal suo effetto. Per questa ragione, così come l’imperium prudenziale non è l’atto, ma la forma dell’atto, così la legge è ordinazione, cioè principio dell’ordine, e non ordine . [22] L’ordine reale si realizza negli atti singolari e nelle relazioni sociali a partire dal modello in cui consiste la legge; ma la legge non è l’ordine.
La legge è modello, ordine ideale alla cui somiglianza si debbono realizzare le condotte sociali; ma é un modello imperativo, cioè vera causa dell’ordine sociale reale; un ordo ordinans che genera l’ordo ordinatum.
In altri termini, la legge è causa formale estrinseca o causa esemplare dell’atto, cioè la sua forma universale, il suo ordine intrinseco, in quanto intellettualmente separato dalla cosa reale e presente nella mente dell’agente.
I questo modo, a) “la legge è alla prudenza quello che l’esemplare è all’arte” . [23] E siccome la prudenza legislativa è architettonica , [24] , in questa misura è anche essa stessa un’arte la cui opera è il bene comune sociale .[25] In questo livello d’analisi, può dirsi che una buona legge è un’opera d’arte.
Allo stesso modo, b) nell’ordine della prudenza politica (che è quella propria di chi obbedisce ), [26] la legge è un modello dell’ordinazione degli atti di ogni singolo artista nella produzione di quell’ordine singolare in cui consiste la propria virtù politica. In questo secondo livello, una buona legge è causa esemplare dell’ordine degli atti individuali.
In altri termini, la legge è a) strumento per la realizzazione del bene comune politico e b) modello dell’atto giusto.
La legge umana è vera causa perché esprime la dimensione giuridica dell’atto singolare astrattamente dalla sua concretizzazione reale, cioè l’essenza della giuridicità dell’atto, che è la sua ordinazione al bene comune. Così, la legge fa in modo che l’atto si adegui ad essa, la imiti, e in questo modo partecipi all’ordine che essa comanda. La legge funziona come un Idea in senso platonico .
[27] In quanto modello, esemplare o Idea, la legge è universale mentre l’atto è singolare; è astratta mentre l’atto è concreto; è fissa ed immobile mentre l’esperienza umana è dinamica e variabile. La legge comanda sempre allo stesso modo, senza considerare le circostanze; di conseguenza, molte volte sbaglia e si mostra, in parole di Platone, come “un uomo prepotente e ignorante, che a nessuno permette di fare qualcosa contro i suoi ordini” . [28] Perché è un modello di ordine, non la forma intrinseca dell’ordine; perché è ordinazione della ragione , [29] non ordine delle cose .[30] La legge e l’atto conforme ad essa differiscono o si assomigliano tra di loro come il modello rispetto all’opera; come il piano di un architetto rispetto alla casa; come una ordinazione della ragione rispetto all’ordine reale dell’esperienza giuridica.

IX
L’identità tra il giudizio singolare e la legge è elettiva; in questo consiste appunto la causalità della legge. Una causa esemplare è vera causa nella misura in cui l’artifice sceglie di adeguare la sua opera al modello.
Di conseguenza, l’individuo (anche quello cattivo) obbedisce alla legge perché e nella misura in cui rende propria liberamente quell’ordinazione in cui essa consiste. È quello che, dalla Veritatis Splendor in poi, si suole chiamare “giusta autonomia”.
Naturalmente, questa identità di giudizi o “giusta autonomia del singolo” ammette gradi diversi. Dall’identità più perfetta, quella di chi obbedisce alla legge perché ama gli stessi fini e ritiene convenienti gli stessi mezzi (colui per il quale, secondo il locus classico, non c’è legge , [31] egli è legge a se stesso ), [32] fino alla identità più imperfetta, quella di chi ama solo la sua parte dei fini comuni e accetta solo i mezzi che non gli sono insopportabili.
L’ordinamento giuridico, per la sua esteriorità, richiede mediante coercizione solo l’identità minima, ma pretende quella massima; vuole “rendere buoni gli uomini” , [33] ma solo esige loro con la forza soltanto di non essere cattivi. E appunto perché non è forza, la legge può utilizzarla quando sia necessario.

X
La causalità esemplare opera attraverso un’“assimilazione” volontaria, in virtù della quale la persona si appropria dell’ordinazione in cui consiste la legge e la fa principio dei suoi atti. Cioè la legge opera mediante la partecipazione dell’ordine attraverso l’atto d’imperium .
[34] Di qui l’importanza di insistere sul fatto che la legge e l’imperium sono atti della ragione, non della volontà. È possibile comunicare ragioni, non elezioni. L’atto di volontà è per definizione incomunicabile, al punto che l’amore del Bene può essere trasmesso ad un altro solo a partire da una previa comunione nella Verità. Il punto è centrale per tutta la pedagogia, compresa quella delle leggi. In effetti, è notevole che lo stesso San Tommaso non affronti il problema dell’azione di un uomo su un altro quando studia la legge, ma nella quaestio “De Magistro” e in altri luoghi paralleli , [35] cioè quando studia l’atto di insegnare. Infatti, anche se l’insegnare è assolutamente diverso dal comandare , [36] non c’è comando senza insegnamento. La nozione classica di legge diventa incomprensibile se si prescinde della sua funzione educativa . [37] Questa partecipazione “esterna”, politica, ha una profonda dimensione “interna”, morale. Perché suppone il governo della parte migliore dell’anima su quella peggiore (come dice Platone ), [38] della parte propriamente razionale su quella che partecipa della ragione (come dice Aristotele );[39] in sintesi, esige la virtù morale, e soprattutto la temperanza o sofrosyne, alla quale si oppone precisamente la a-krasia , [40] che non è solo “incontinenza”, ma soprattutto mancanza di governo e autocontrollo. In altri termini, può partecipare dell’ordine e del governo della città soltanto colui che prima è governante, padrone e ordinatore di se stesso; colui che è “autonomo” . [41]

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