Diritto e terrore *
di Gabriele Civello **

La quinta conclusione cui perviene Alberto Berardi è qualificata “alla ricerca del definitivo”: l’Autore, infatti, dopo avere laboriosamente “scavato” nelle profondità del fenomeno terroristico, giungendo via via a quattro conclusioni interlocutorie, dialetticamente messe in discussione e problematizzate, è giunto ad una “barriera teorica”: quest’ultima, benché sia astrattamente suscettibile di essere abbattuta, resta pur sempre qualificabile come un “sbarramento” che oppone una pervicace resistenza allo “scalpello” dell’amante del sapere. Dopo avere sondato i meandri più reconditi del terrorismo, alla ricerca del suo ubi consistam e, dunque, dopo avere “setacciato” ed escluso per colum quegli aspetti che accomunano il fenomeno terroristico ad una serie di altri fenomeni criminosi di matrice differente, lo studioso incontra un limite invalicabile: tale limite è costituito da una sorta di “fondo definitorio”, oltre il quale non può procedersi, a meno di non volere, addirittura, “uscire” dal problema. In proposito, potrà forse giovare una metafora di carattere sperimentale: è come se, al termine di un esperimento chimico, la sostanza analizzata fosse stata così sezionata e manipolata, da risultare del tutto esausta, consumata, non suscettibile di ulteriore analisi; o ancora: è come se, setacciata la materia analizzata ed eliminate le scorie e le impurità, il filtro fosse rimasto del tutto vuoto ed intonso, non residuando nulla all’attività di filtrazione.

È, infatti, evidente che ove il gius-filosofo giunga alla conclusione – se pure astrattamente confutabile – che, nel petto del terrorista, non batta più alcun “cuore politico” e non risieda nemmeno la più spietata sete di potere, ma di contro abbiano ivi albergo nientemeno che l’amore per il nulla e l’attrazione morbosa per il male, per la morte, per il nihil, ebbene in tal caso l’oggetto della ricerca assume tutte le sembianze di un monstrum, un corpo informe il quale non solo non sembra più esser degno di ricerca intellettuale, ma non è nemmeno più suscettibile di essa.

In altri termini, se alle radici del terrorismo non si rinviene che il “nulla” (rectius, la cieca pulsione verso il nulla), il thema disputandum si trasforma da fatto umano – in quanto tale, recante uno spessore assiologico – a fatto bestiale del tutto “insignificante” (o, comunque, a fatto umano del tutto aberrante e patologico): cosa v’è, infatti, di (fisiologicamente) umano nel sacrificare con un ordigno esplosivo una indiscriminata moltitudine di innocenti, per presunti ed aberranti finalità personali, siano esse politiche, religiose o di altra natura? Vi è forse una differenza assiologicamente apprezzabile tra la decapitazione di un ostaggio o di un avversario politico e l’uccisione della preda da parte del lupo? In quest’ultimo caso, l’unica differenza risiede nel fatto che l’azione umana letifera è frutto di libertà (recte, di abuso della libertà), mentre l’azione bestiale non è sorretta da tale “soffio vitale”; pur tuttavia, resta comunque lo scandalo di dover riconoscere, nell’azione umana terroristica, un quid di para-bestiale, apparentemente sprovvisto di una ragione “umana” fondante[27].

Ecco, dunque, il motivo per il quale l’indagine sul terrorismo, ov’essa pervenga all’equazione tra quest’ultimo ed il “culto della morte”, si incunea in un vicolo cieco pressoché insuperabile; ciò in quanto l’oggetto dell’indagine risulta così sfibrato ed esangue, da sembrare aver perso del tutto il “colore” ed i connotati dell’umanità ed essersi trasformato in “cieco frammento della natura”, al pari di una saetta o di un moto tellurico.

Terenzio disse, in una celebre e storica massima: “homo sum, humani nihil a me alienum puto”[28]; ebbene, anche il filosofo più scrupoloso, che abbia assunto a principio della propria ricerca l’incessante ed instancabile studio del “fenomeno umano”, rimane ammutolito di fronte al trascolorare del proprio thema disputandum, di talché tertium non datur: o si mette in discussione il finale approdo ermeneutico; o si deve rassegnatamente ammettere che l’oggetto che ci si è sforzati di studiare confluisce, per il tramite di una serie di “fiumi carsici” sotterranei, nella sterminata e diabolica fucina del Male e del nulla, la quale resta forse aggredibile intellettualmente mediante l’escatologia o, comunque, mediante un sapere di carattere ultimativo, ma non certo più tramite la pura e semplice filosofia del diritto.

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* A proposito di A.Berardi, Il diritto e il terrore – alle radici teoriche della “finalità di terrorismo”, Cedam, Padova 2008.

[1] Marino Gentile, Trattato di filosofia, Napoli, Esi, 1987, 104.

[2] Francesco Gentile, Le lezioni del quarantesimo anno raccolte dagli allievi, Padova, Cedam, 2006, 197.

[3] Francesco Gentile, Politica et/aut statistica. Prolegomeni di una teoria generale dell’ordinamento politico, Milano, Giuffré, 2003, 43.

[4] Cfr. Aristotele, Politica, V.3, 1303a: “i mutamenti di costituzione avvengono a volte per un indebito accrescimento di qualche elemento della città. Il corpo consta di membra che devono crescere proporzionatamente perché l’insieme conservi la simmetria: altrimenti questa va distrutta, come quanto si avesse un piede di quattro cubiti e il resto del corpo di due spanne […]. Così anche la città è costituita di parti, una delle quali può a volte crescere in modo sproporzionato senza che ci si accorga di essa, come avviene, per esempio, della massa di poveri nelle democrazie e nei regimi costituzionali”.

[5] Così, testualmente, in Francesco Gentile, Intelligenza politica e ragion di Stato, Milano, Giuffré, 1984, 127 e segg..

[6] Potere Operaio, Che cos’è Potere Operaio, in Potere Operaio, n. 45, mensile, dicembre 1971, 37-39, il cui titolo di copertina recita lo slogan “Democrazia è il fucile in spalla agli operai”.

[7] Foglio di Lotta della sinistra proletaria del 28.10.1970, in Soccorso Rosso, Brigate Rosse. Che cosa hanno fatto, che cosa hanno detto, che cosa se ne è detto, Milano, Feltrinelli, 1976, 35-37.

[8] Sul pericolo del “relativismo” in tema di distinzione tra cittadino e straniero e tra cittadino e nemico, si veda Aristotele, Politica, III. 2, 1275b: “un problema ben più grave è rappresentato da quelli che hanno ottenuto il diritto di cittadinanza dopo un rivolgimento costituzionale [metabolès ghenoménes politeias], come avvenne ad Atene quando Clistene, dopo la cacciata dei tiranni, iscrisse tra i cittadini molti stranieri e molti schiavi come meteci. In questi casi la difficoltà non sta nel determinare chi sia cittadino, ma nel determinare se chi lo è lo sia giustamente o no”. Inoltre, circa i pericoli derivanti da una distinzione tra ordinamento giuridico e atto terroristico che rappresenti una mera “ratifica” dell’esito del conflitto sociale, cfr. M Fini, Manifesto contro la Democrazia, Venezia, Marsilio, 2004, 103: “nata da rivoluzioni violente (inglese, francese, americana), che hanno abbattuto i vecchi regimi spargendo fiumi di sangue, la democrazia, ora che è essa stessa egemone, rifiuta, anche concettualmente, che le possa essere resa la pariglia e dichiara inammissibili, inaccettabili, “terroristiche” le rivoluzioni. Si autopropone come sistema definitivo o […] come fine della Storia”.

[9] G. Fassò, voce Rivoluzione, in Novissimo Dig. It., XVI, Torino, Utet, 1969, 240.

[10] A. Cloots, cit. in F. Volpi, Il nichilismo, Bari, Laterza, 1996, 22.

[11] Necaev, Il catechismo del rivoluzionario, in M. Confino, Il catechismo del rivoluzionario – Bakunin e l’affare Necaev, Milano, Adelphi, 1976, 125.

[12] Sul punto, si veda fra tutti “Il partigiano divino”, in Francesco Gentile, Intelligenza politica e ragion di Stato, cit., 97.

[13] Sul punto, si veda fra tutti “La struttura utopica”, in Francesco Gentile, op. ult. cit., 107.

[14] W.T. Krug, Dizionario manuale delle scienze filosofiche, 1969: III, 63 e 1969: V, II, 83, cit. in F. Volpi, Il nichilismo, Bari, 1996, 23.

[15] Cit. in F. Volpi, ibidem: l’Autore, inoltre, riporta l’interessante pensiero di Jules-Amédée Barbey d’Aurevilly, il quale, in Les prophètes du passé (1851), collega il fenomeno nichilistico al soggettivismo egologico della filosofia cartesiana, il quale sta alle origini della modernità.

[16] Potere Operaio, Che cos’è Potere Operaio, 37-39.

[17] Brigate Rosse, Proletariato metropolitano e movimento di resistenza proletario offensivo, in Risoluzione della direzione strategica, febbraio 1978, in G. Bocca (a cura di), Moro. Una tragedia italiana, Milano, Bompiani, 1980 (ora in www.bibliotecamarxista.org).

[18] Brigate Rosse, Proletariato metropolitano e movimento di resistenza proletario offensivo, in Risoluzione della direzione strategica, aprile 1975, in www.bibliotecamarxista.org.

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