Arcipelago di autorità, per quale libertà?
di Andrea Favaro[1]

[26] B. LEONI, Freedom and the Law, cit., p. 145 (corsivo nostro). Il giusfilosofo prosegue affermando che «Nel nostro tempo, l’estensione dell’area in cui sono ritenute necessarie, o anche convenienti, le decisioni collettive è stata grossolanamente sovrastimata, e l’area in cui gli adattamenti individuali spontanei sono stati ritenuti necessari o convenienti è stata circoscritta ben più severamente di quanto non sia consigliabile se vogliamo conservare il significato tradizionale dei grandi ideali dell’Occidente» (Ibidem). Circa l’elemento di mera necessità intrinseco allo strumento della legislazione, pare interessante verificare un parallelo con la posizione di Platone sul tema. Nel dialogo che Platone dedica alle questioni inerenti alla scienza del diritto e della politica, nonchè al sapere dell’uomo di governo e del legislatore (Politico), egli applica alla teoria della legislazione la sua dottrina dell’etica e della politica come sapienza e scienza regia. La principale deduzione che se ne può dedurre è un ruolo subordinato delle leggi, per loro natura generiche ed approssimative, rispetto alle direttive che possono scaturire dall’applicazione della rigorosa scienza pratica alla singola circostanza da parte di un saggio reggitore. Per essere coerenti, afferma Platone, anche se «in un certo modo è chiaro che la legislazione è parte dell’arte regia, (…) la cosa migliore è che abbiano forza non le leggi, ma l’uomo regale dotato di saggezza (…), la legge non potrebbe mai ordinare con esattezza la cosa migliore, comprendendo in sé ciò che è buono e più giusto per tutti» (Cfr. PLATONE, Politico, tr. it., BUR, Milano 1989, 294 a-b). Ivi, Platone aggiunge «le differenze degli uomini e delle azioni, e il fatto che, per così dire, mai nessuna delle cose umane è immobile in riposo, non permettono che una qualunque arte in nessuna occasione enunci una norma semplice e valida in ogni caso e per ogni tempo» Proprio per il fatto che l’uomo può attingere alla prudenza regia solo tramite mediazioni successive e sempre provvisorie, appare il ruolo della legge, la quale, con la sua fissità, indi positività, che lo fa rassomigliare «ad un uomo prepotente e ignorante, che a nessuno permette di fare qualcosa contro i suoi ordini» (Idem, 294-c) consente agli uomini in società di praticare «quella suprema forma di giustizia che si accompagna con l’intelligenza e la ragione, che non soltanto li protegge, ma da peggiori che erano li fa diventare (…) migliori». Lo stesso Platone, acuto osservatore della realtà quotidiana, si trova però a qualificare la sua teoria, ammettendo la relativa utilità di regole legislative di massima, regole pratiche che valgono solo nella maggior parte dei casi. È indubbio che «se, per una sorte divina, un uomo generato con una natura adeguata fosse capace di comprendere» la prevalenza dell’interesse comune su quello individuale, «egli non avrebbe bisogno di leggi che lo governino. Nessuna legge e nessun ordinamento, infatti, è più forte della scienza» (Cfr. PLATONE, Leggi, tr. it. a cura di A. Zadro, in «Opere complete», Laterza, Bari-Roma 2001, IX, 875c-d. – corsivo nostro –).

[27] B. LEONI, Freedom and the Law, cit., p. 27 ove si legge «il problema del nostro tempo sembra essere esattamente il contrario: non di accontentarsi di regole inadatte per una fondamentale scarsità e “fame di regole”, ma di sbarazzarsi di una gran quantità di regole dannose o inutili a causa di una terribile sazietà, anzi, per così dire, per indigestione di norme». Ancora illuminante è l’osservazione esposta nel paragrafo conclusivo della Premessa: «D’altra parte, nessun principio funziona bene da sé: la gente deve sempre fare qualcosa per farlo funzionare. Questo vale per i principi da me proposti non meno che per gli altri. Non cerco di cambiare il mondo, ma solo di presentare delle modeste opinioni che dovrebbero essere considerate accuratamente prima di concludere, con i sostenitori dell’inflazione legislativa, che la situazione non è mutabile, ed è l’inevitabile risposta, seppure non la migliore, ai nostri bisogni nella società contemporanea» (B. LEONI, Freedom and the Law, cit., p. 29).

[28] C. LOTTIERI, Le ragioni del diritto, cit., p. 322. Il concetto di “porre in essere un diritto”, viene dallo stesso Lottieri illustrato affermando che le leggi «non constatano qualcosa di preesistente, ma intendono instaurare ex nihilo istituti, facoltà e diritti che prima non c’erano e che i legislatori, d’altra parte, possono in ogni momento revocare» (Ibidem). Lo studioso senese richiama in nota 142 la posizione sull’argomento di F. BASTIAT, Proprietà e legge [1848], in F. BASTIAT – G. de MOLINARI, Contro lo statalismo, Liberilibri, Macerata 1994, pp. 17-42.

[29] Cfr. C. LOTTIERI, Le ragioni del diritto, cit., pp. 320 ss.

[30] Oltre a quelle già descritte pare utile evidenziarne almeno un’altra, quella relativa alla teoria “federalista” del Leoni, non del tutto coerente con le sue premesse liberali. Gli scritti più rilevanti in cui il Nostro tratta del tema sono: B. LEONI, Attualità del federalismo, in «Il Politico», 1958, n. 1, pp. 98-115; ID., L’idea federale e il significato effettivo della C.E.E. per una Europa unificata, in «Il Politico», 1962, n. 3, pp. 481-494; ID., A “Neo-Jeffersonian” Theory of the Province of the Judiciary in a Democratic Society, in «UCLA Law Review», 1963, n. 4, pp. 965-984.

[31] Numerosi, difatti, sono i teorici liberal che fondano la loro disamina su una definizione “de-moralizzata” del concetto di “libertà”. Su questo argomento il Lottieri (C. LOTTIERI, Le ragioni del diritto, cit., p. 324 nota 146), ad esempio, rimanda alle seguenti opere: F.E. OPPENHEIM, Dimensioni della libertà [1961], Feltrinelli, Milano 1964; H. STEINER, An Essays on Rights, Blackwell, Oxford 1994; E. DICIOTTI, Limiti ragionevoli delle libertà: un quadro concettuale, in «Ragion Pratica», giugno 2003, vol. 20, pp. 111-148; I. CARTER, La libertà eguale, Feltrinelli, Milano 2005. Per una definizione quanto mai esplicita di tale posizione è quella espressa da Hillel Steiner: «Un individuo è non-libero se, e solo se, il fatto che egli compia una qualsiasi azione è reso impossibile dall’azione di un altro individuo» (H. STEINER, Libertà individuale, in I. CARTER – M. RICCIARDI (a cura di), L’idea di libertà, Feltrinelli, Milano 1996, p. 100).

[32] Su Felix E. Oppenheim, vedasi il fondamentale contributo A. PASSERIN d’ENTREVES (a cura di), La libertà politica, Ed. Comunità, Milano 1974 (con contributi di Oppenheim, Passerin d’Entreves, Croce, Bobbio, Della Volpe, Berlin, Scarpelli). Nell’ambito della filosofia politica il tema della “libertà” così com’è impostato richiama da vicino anche il dibattito circa il concetto di “potere”. In tema, vedansi U. PAGALLO, Il fatto del potere, nonché Il potere di fatto, entrambi in ID., Alle fonti del diritto, Giappichelli, Torino 2003, rispettivamente pp. 206-215 e pp. 215-230.

[33] Su tale tematica è interessante un confronto con la posizione di Rothbard (cfr. M.N. ROTHBARD, Proprietà e scambio, in ID., For a New Liberty. The Libertarian Manifesto [1973] tr. it., liberilibri, Macerata 1996, pp. 47-76).

[34] B. LEONI, Freedom and the Law, cit., p. 23. Ulteriore peggioramento per il Leoni sarebbe causato dalle teorie che negano in assoluto l’idea stessa di “proprietà” e con questa la tesi per la quale tale istituto assicura ai singoli la piena facoltà prepolitica a compiere certi atti. Una peculiare identificazione tra “diritto” e “proprietà”si rinviene anche in Antonio Rosmini Serbati, il quale afferma «quale è il principio da noi posto di limitazione all’attività naturale di ciascun uomo? Questo: di “non far male altrui”, ovvero di “non ledere l’altrui attività in quanto è personale”, ovvero di “non diminuire l’altrui proprietà”: perocché far male altrui non vuol dir altro, se non ledere la libertà personale, ovvero la proprietà. Io posso adunque operare ed opero sempre cose lecite fino a tanto che non diminuisco o intacco l’altrui proprietà» (A. ROSMINI, Filosofia del diritto [1841-1843], vol. I, Cedam, Padova 1967, p. 197 – corsivo nostro –). Per Rosmini la proprietà «è un vero e proprio prolungamento della persona» (F. CONIGLIARO, La politica tra logica e storia. Il pensiero filosofico-politico di Antonio Rosmini, Ila Palma, Palermo 1984, p. 94), dove i diritti speciali «si specificano per la loro diversa materia, la quale non si può considerare in sé stessa, ma solo in quanto ella è unita alla forma del diritto (…). Ora questa unione della materia del diritto colla forma di esso, questo nesso, che fa entrare la materia del diritto nella sfera di esso, fu da noi chiamato proprietà» (A. ROSMINI, Filosofia del diritto, cit., vol. I, p. 194). Senza coincidere, quindi, la proprietà in Rosmini è allora in rapporto strettissimo con diritto, persona e libertà (vedansi in tema le acute osservazioni di M. NICOLETTI, L’idea di libertà e le sue garanzie nel costituzionalismo rosminiano, in A. AUTERIO – A. GENOVESE (a cura di), Antonio Rosmini e l’idea di libertà, EDB, Bologna 2001, pp. 171-203). Il roveretano giungerà ad affermare che la proprietà deve essere considerata in un certo senso come “condizione” della libertà umana: «Così la proprietà si dimostra essere condizione della libertà, non potendosi la libertà concepire senza di quella. Il concetto adunque della libertà non esiste privo al tutto di ogni qualsiasi libertà» (A. ROSMINI, Filosofia del diritto, cit., vol. III, p. 595). In merito a quanto evidenziato in corsivo con il “non far male altrui” rosminiano, evidente è il parallelo con il richiamo alla c.d. “regola aurea” che il Leoni più volte recupera, proprio per illustrare il concetto di “libertà”: «Nella società contemporanea sembra essere stato violato un principio antichissimo, già enunciato dal Vangelo e, molto prima, dalla filosofia confuciana: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te.” Non conosco nessun’altra affermazione della filosofia moderna della libertà così notevolmente concisa. (…), il principio confuciano sembrerebbe ancora applicabile per restaurare e conservare la libertà individuale nel nostro tempo» (B. LEONI, Freedom and the Law, cit., p. 17). Tale posizione, tramite la quale Leoni afferma la sua preferenza per una definizione “negativa” di libertà (cfr. op. cit., pp. 18-20) è fortemente, e riteniamo correttamente, criticata da Rothbard, il quale denuncia come «nell’ipotesi in cui un sadomasochista torturi qualcuno, poiché egli amerebbe venire torturato, sotto la Regola Aurea negativa il suo atto non potrebbe venire considerato criminale» (cfr. M.N. ROTHBARD, Su “Freedom and the Law”, cit., pp. 35-36).

[35] E. BAGLIONI, L’individuo e lo scambio, ESI, Napoli 2004, p. 117 (corsivo nostro), dove il riferimento alle opere di Leoni comprende: B. LEONI, A proposito della teoria del diritto e del positivismo giuridico, in «Il Politico», 1966, n. 2,, p. 147 e ID., Oggetto e limiti della scienza politica, in «Il Politico», 1962, n. 4, p. 66.

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