Il ruolo della filosofia nella formazione del giurista•
di Francesco Gentile
117 A mio avviso è questo il solo modo oggi praticabile per recuperare la grande nozione di “diritto naturale”, stravolta dal cosiddetto giusnaturalismo moderno e compromessa dalla tentazione ditrarre, per deduzione astratta, il diritto positivo da un diritto naturale, ipoteticamente assunto come a priori. Cfr. in proposito il mio Su natura e diritto ovvero della difficile intercettazione di un U.F.O.: il diritto naturale in Politica aut/et statistica, cit. pp. 199 ss.
118 Sull’argomento potrebbe essere utile vedere W. WALSTEIN, Saggi sul diritto non scritto, Cedam, Padova, 2002 e soprattutto U. VINCENTI, L’universo dei giuristi, legislatori, giudici. Contro la mitologia giuridica, Cedam, Padova, 2003.
119 Sarà facile riconoscere qui il testo dall’Enchiridio di Pomponio (D. 1,2,2,6) dove si parla delle Leges duodecim tabularum da cui cominciò a fluire quel “diritto che nacque senza scrittura, composto dai giureconsulti, che non si chiama con qualche particolare denominazione come le altre parti sono indicate con propri nomi, date alle altre parti le loro peculiari denominazioni, ma si chiama con nome comune diritto civile”
120 Si veda in proposito le acute pagine di Vittorio Mathieu su Le vicende della Teodicea poste ad introduzione del volume G.G. LEIBNIZ, Teodicea, a cura di V. Mathieu, Zanichelli ed., Bologna, 973, pp. 3 ss.
121 A. CAMUS, L’homme révolté, tr. it., Bompiani, Milano, 2005³, p. 327.
122 Questa domanda tormenta l’uomo in rivolta di Albert Camus, le cui parole dovrebbero, tuttavia, essere lette per intero se se ne vuole intendere sino in fondo l’autentica tensione. “Per dire che la vita è assurda, bisogna che la coscienza viva” e ancora “Se era dunque legittimo tener conto della sensibilità assurda, fare la diagnosi di un male quale lo si trova in sé e negli altri, è impossibile vedere in questa sensibilità, e nel nichilismo che essa implica, nient’altro che un punto di partenza. Una critica vissuta, l’equivalente sul piano dell’esistenza, del dubbio sistematico. Dopo di che bisogna spezzare i giochi fissi dello specchio ed entrare nel moto irresistibile mediante il quale l’assurdo supera se stesso”.
123 C. SCHMITT, Politische Theologie. Vier Kapitel zur Lehre der Souveranität, citato da C. SCHMITT, Le categorie del politico’, a cura di G. Miglio e P. Schiera, Il Mulino ed., Bologna, 1984, p. 61. Nonché cfr. C. SCHMITT, Politische Theologie II. Die Legende von der Erledigung jedere Politiche Theologie, tr. it. A cura di A.Caracciolo, Giuffré ed., Milano, 1992.
124 Cfr. C.J. ERRÁZURIZ M., Il diritto e la giustizia nella Chiesa. Per una teoria fondamentale del diritto canonico, Giuffré ed., Milano, 2000.
125 Del termine metánoia il vocabolario dà una serie di traduzioni assai diverse, sovvertimento di pensiero, cambiamento di senso, rivolgimento di vita, pentimento ecc. Quella di “conversione” sembra tuttavia la più congrua e comunque la più conveniente per la radicalità che è capace di veicolare. Tale radicalità risulta ancor più accentuata nell’accezione cristiana del termine come s’intende solo che si mettano a confronto il pentimento con la conversione: il primo, d’impronta tipicamente greca, può riguardare infatti un singolo atto del pensare, del sentire o del volere mentre la seconda, d’impronta tipicamente cristiana, riguarda la vita nella sua interezza ed implica un rinnovamento fino nella profondità dell’essere. Volendo approfondire il ragionamento bisognerebbe riflettere sul termine greco di epistrophé, usato specificamente per conversione, che designa il movimento circolare ossia, come osserva anche Platone, il movimento perfetto appartenente agli dei, al cielo e alla terra. Il circolo, infatti, segna il ritorno dell’esistenza su se stessa. Lo stoicismo e il neoplatonismo, faranno della epistrophé, del ritorno all’unità del reale, il principale postulato morale, donde l’idea che l’uomo per poter ritrovare se stesso abbia bisogno del movimento globale di rivolgimento e quindi debba convertirsi, per ricondurre la sua vita dalla dissipazione nell’esteriorità al raccoglimento nell’interiorità. E tanto basta per intendere come in realtà i Padri della Chiesa abbiano potuto avvicinare l’ epistrophé della filosofia classica alla metánoia della fede.
126 R. GUARDINI, Das Gute, das Gewissen und die Sammlung (1933), tr. it. La coscienza, Morcelliana ed., Brescia 2001³, p. 25.
127 Riflettendo sulla particolare conformazione della prudenza, sui suoi “due volti”, Pieper opportunamente avverte che tali affermazioni “risulterebbero più chiare e significative se la parola prudenza ci richiamasse ogni volta alla memoria che, in un certo senso, al suo posto si potrebbe anche dire coscienza” (J. PIEPER, Traktat über die Klugheit, tr. it. di G. Pezzato, Morcelliana ed., Brescia, 1999, p. 33). In tal senso va ricordato come nella prospettiva scolastica quella che viene abitualmente chiamata “la coscienza” è “l’unità vivente di sinderesi e di prudenza”, l’una, la sinderesi, vertente sulla conoscenza dei principi universali del bene e del male, l’altra, la prudenza, vertente sulla scelta dei mezzi per giungere ai fini ultimi della vita umana. “La conscience droite et certaine n’est autre qu’un acte de la prudence, qui conseille, qui juge pratiquement et qui commande», scrive Garrigou-Lagrange (R. GARRIGOU-LAGRANGE, Du caractère métaphysique de la théologie moral de Saint Thomas, « Revue Thomiste », VIII (1925), p. 345, citato da J. PIEPER, Traktat über die Klugheit, cit., p. 354).
128 Dalla “Internationale katholische Zeitschrift Communio”, XVI (1987), p. 265.
129 Cfr. il mio Su linguaggio e diritto, secondo codicillo di Ordinamento giuridico tra virtualità e realtà, cit., pp. 121 ss.
130 R. GUARDINI, Der Herr. Betrachtungen über die Person und das Leben Jesu Christi (1937), tr. it. di G. Canobbio, Morcelliana ed., Brescia, 2005, p. 225.
131 Op. cit., p 226.
132 Op. cit., p. 227.
133 Scrive Joseph Ratzinger: “Se si può dire da un lato in forma accentuata che la chiesa è la comunità in quanto comunione sotto la presidenza del vescovo di Roma, il quale detiene l’ufficio di primo testimone istituito dal Signore, che essa come tale è visibile ed unica, dotata di confini chiaramente delineabili, da un altro lato, la teologia cattolica deve anche dire con molta più chiarezza che non finora che con la effettiva presenza della parola al di fuori dei suoi confini c’è anche la ‘chiesa’ in una qualche forma, e che i confini dell’azione dello Spirito santo non si identificano con quelli della chiesa visibile. Da un lato, lo Spirito, la grazia, alla cui piena signoria è ordinata la chiesa, può infatti mancare anche a uomini che vivono nella chiesa; da un altro lato, può invece agire efficacemente in uomini che vivono al di fuori della chiesa. Sarebbe pazzesco e falso, come disse giustamente Congar (Vraie et fauste riforme dans l’église, Paris, 1950, p. 482), identificare semplicemente l’opera dello Spirito santo con il lavoro dell’apparato ecclesiastico” (J. RATZINGER, Das neue Volk Gottes. Entwürfe zur Ecclesiologie, Queriniana ed., Brescia, 1992², p. 131).
134 R. GUARDINI, Der Herr, cit., p. 226.
135 Il formalismo è fraterno al nichilismo, insieme fattore determinante e conseguenza ineluttabile – ammonisce Irti – il nulla, che s’insedia nel diritto e ne attraversa le forme, è proprio nell’assenza di presupposti immutabili. Qui non c’è luogo a soluzioni transattive o eclettismi consolatori, ma duro e schietto aut-aut: o la radicale immanenza nella storia, nella finitudine, nella temporalità del divenire; o l’uscita verso l’alto, che sia divinità, o eterna natura, o stabilità ontologica delle ‘cose’. Il dovere di sincerità incombe anche sui critici del nichilismo”.