Spoliatus ante omnia restituendus
Quaestio disputata sul procedimento possessorio come paradigma del processo di matrice geometrica
di Torquato G. Tasso
Qualcuno potrà dire che questa sarebbe una rivoluzione copernicana, una rivoluzione che ci porterebbe a rovesciare radicalmente la visione della tutela possessoria così come maturata nei secoli, portandoci da una rappresentazione virtuale della realtà possessoria a una rappresentazione giuridica della realtà stessa.
In verità, tale assetto non sarebbe per nulla nuovo e tanto meno rivoluzionario, ma sarebbe un semplice recupero dell’originaria e originale intuizione dei maestri del nostro diritto, ossia dei giuristi romani.
Non dobbiamo, infatti, dimenticare che, anche nel diritto romano, e in particolare già nello ius civile esisteva l’istituto del possesso, come situazione di fatto che aveva una sua valenza e rilevanza giuridica; il possesso, nel diritto romano, trova tutela da parte del pretore, mediante particolari mezzi processuali, c.d. interdicta, che trovano probabilmente la loro origine storica in provvedimenti di carattere amministrativo a tutela dell’antica possessio dell’ager publicus ben presto estesi ai rapporti privatistici; i giuristi romani furono i primi che si posero il problema della tutela del possesso, e che si chiesero se la tutela possessoria dovesse tutelare, sic et simpliciter, il possesso o se, viceversa, avrebbe dovuto estendesi a valutare il fondamento giuridico di quella situazione di fatto e della sua corrispondenza all’ordinamento giuridico ( [35] ); questi conclusero che in tema di tutela del possesso andava distinta la possessio iusta, vale a dire una situazione giuridica di fatto che corrispondeva ad un diritto di cui il possessore era titolare, dalla possessio iniusta, vale a dire una situazione giuridica di fatto alla quale non corrispondeva un legittimo diritto in capo al possessore, in quanto acquistato vi, clam o precario riconoscendo solo alla prima la tutela possessoria ( [36] ).
Nel caso di scuola, quindi, il ladro di biciclette non avrebbe potuto chiedere, ad un giudice romano, la tutela del possesso nel caso in cui il proprietario, a suo tempo derubato, gli avesse strappato, con la forza, la bicicletta che gli era stata rubata mesi prima, in quanto la sua possessio sarebbe apparsa “iniusta” e, quindi, non meritevole di tutela.
Tale prospettiva cominciò forse a vacillare proprio nell’esperienza successiva medioevale, in cui si giunse a distinguere due definizioni di possessio ( [37] ), ossia possessio naturalis e possessio civilis ( [38] ). Il giurista medioevale, infatti, era “stretto tra le esigenze postegli dall’osservazione della giuridicità naturale dei fatti e quelle partecipate dal testo antico e autorevole. Il diritto vivo nella prassi richiede la diretta validità del possesso fattuale, della relazione immediata e diretta fra il soggetto e la cosa, il segno attorno al quale il medioevo costruisce naturalmente la più gran parte della sua civiltà giuridica. Il diritto del Corpus Iuris, sedimento cristallizzato di un’esperienza diversa e lontana, portatrice di metodologie superiori ma ormai vuote di un vero contenuto, procede invece dall’esigenza di ricostruire la relazione fattuale tra soggetto e cosa a partire dal concreto titolo di legittimazione” ( [39] ).
Tale bipartizione fu al centro del dibattito giuridico della dottrina medioevale, originato dalla prima indicazione a cura della Summa Trecensis ( [40] ), alimentato dai contributi di Giovanni Bassiano ( [41] ), dell’allievo di lui Azone ( [42] ) per giungere, attraverso numerosi e frequenti interventi, anche autorevoli ( [43] ), all’insegnamento di Bartolo da Sassoferrato ( [44] ) che sviluppa ulteriormente la tradizione introducendo un terzo tipo di possessio, ossia la possessio corporalis. Già nel Medioevo, quindi, questa contrapposizione tra normatività del fatto e valenza normativa e regolatrice del testo di legge positum e autorevole, cominciava ad essere avvertita, aprendo le porte, proprio nell’istituto del possesso, terreno particolarmente fertile, all’affermazione di quella prospettiva giuridica che troverà la sua celebrazione proprio nell’età moderna.
Sarebbe, invece, semplice e al contempo necessario recuperare e sviluppare ulteriormente ( [45] ) l’insegnamento dei giuristi romani e rivedere l’attuale regolamentazione dell’istituto della tutela possessoria, concedendo una maggiore libertà ricostruttiva del fatto possessorio ai giudici, che si estenda anche al fondamento giuridico del fatto stessa, attraverso una lettura autenticamente giuridica del possesso. Nel caso contrario, continueremo, nella quotidiana esperienza processuale, ad imbatterci in pronunce possessorie, giuridicamente coerenti ma, di fatto, lontane (e, in alcuni casi, molto lontane) dalla giuridica realtà del fatto oggetto del giudizio, così lontane da realizzare (come nei casi illustrati) un’autentica ed essenziale (perchè riferita all’essere) ingiustizia.
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[1] ) Vedi l’Opuscolo di ANCONA E. e FRACANZANI M. Struttura e svolgimento della Quaestio, Padova, 1998.
[2] ) Cfr GENTILE F. Filosofia del Diritto, Le lezioni del quarantesimo anno raccolte dagli allievi, Padova, 2006.
[3] ) La fattualità del diritto come prospettiva centrale della visione del diritto nel medioevo è oggetto di un interessante analisi di GROSSI P. L’ordine giuridico medioevale, Roma Bari, 1995 p. 56 – 60.
[4] ) Ci si vuole richiamare alla profonda analisi del diritto comune di VOLANTE R., Fatto normativo e interpretatio iuris. La definizione del possesso nel Diritto Comune in AA.VV. Ordo iuris Storia e forme dell’esperienza giuridica, Milano, 2003
[5] ) Art. 934 c.c. Opere fatte sopra o sotto il suolo.
Qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo, salvo quanto è disposto dagli articoli 935, 936, 937 e 938 e salvo che risulti diversamente dal titolo o dalla legge.
[6] ) Per una completa bibliografia si richiama SACCO R., CATERINA R., Il possesso in Trattato di diritto civile e Commerciale diretto da CICU A. e MESSINEO F. e continuato da MENGONI L. Milano, 2000.
[7] ) Per un compiuta analisi dell’istituto, si rimanda a TROISI B. e CICERO C. I possessi, Napoli, 2005
[8] ) In particolare si rimanda a SAVIGNY F.C. von, Possesso in Commentario alle Pandette, § 25, Milano, 1895, pag. 287
[9] ) Tra le le opere dell’autore, particolare interesse nel nostro caso riveste JHERING R. von Sul fondamento della protezione del possesso: revisione della teoria del possesso, Milano, 1872.
[10] ) BARASSI L., Diritti reali e possesso, II, Milano, 1952, pag. 485; FUNAIOLI G.B., Enc. Del Dir. 134. Solo per una limitata (e nettamente minoritaria) parte della dottrina il possesso è un diritto.
[11] ) PERLINGERI P., Il Diritto civile nella legalità costituzionale, secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, Napoli, 2006, pagg. 599.
[12] ) Un caso simile ma non identico è stato già risolto dalla Cassazione a Sezioni Unite “Qualora il privato recinga un fondo per impedirvi l’accesso a terzi, in ottemperanza di un ordine, con il quale l’autorità amministrativa, per ragioni di sicurezza pubblica, abbia imposto tale recinzione, sia pure in via alternativa ad altre opere idonee ad eliminare una situazione di pericolo, l’esperibilità di un’azione di reintegrazione nel possesso, da parte di chi di fatto utilizzava detto bene, trova ostacolo non in ragioni di difetto di giurisdizione, tenuto conto che quel privato non ha agito come "longa manus" della amministrazione, alla quale anzi si contrappone come soggetto obbligato ad intervenire su un proprio bene, ma bensì nel venir meno dei presupposti del preteso spoglio, atteso che l’indicato ordine ha inciso autoritativamente sulla situazione in cui si concretava il dedotto possesso, precludendone l’ulteriore esercizio nello stato di fatto preesistente, e che inoltre il destinatario dell’ordine medesimo, di contenuto alternativo, non può ritenersi obbligato all’esecuzione di opere innovative, per riportare il fondo in condizione di utilizzabilità senza pericolo. Cassazione civile , sez. un., 07 febbraio 1981, n. 766.
[13] ) Anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000 all’Articolo 37 prevede come diritti fondamentale la Tutela dell’ambiente: “Un livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile”.
[14] ) Da sempre la Cassazione ha evidenziato tale elemento come imprescindibile nella tutela possessoria. Si veda, solo a titolo di esempio Cassazione civile , sez. I, 06 giugno 1983, n. 3827 “In materia di azione di reintegrazione, l’animus spoliandi non è escluso dalla presenza di un titolo di concessione amministrativa, poiché questa non fa venir meno l’intenzione di attendere al possesso altrui; pertanto ove il bene oggetto della concessione sia posseduto da altri, il concessionario non può farsi ragione da sè, sottraendo al detentore il materiale possesso della cosa, venendosi così a realizzare proprio quel comportamento perseguibile con l’azione di spoglio.
[15] ) Art. 392 Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose.
Chiunque, al fine di esercitare un preteso diritto, potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sè medesimo, mediante violenza sulle cose, è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a 516 euro.
Agli effetti della legge penale, si ha violenza sulle cose allorchè la cosa viene danneggiata o trasformata, o ne è mutata la destinazione.
Si ha, altresì, violenza sulle cose allorchè un programma informatico viene alterato, modificato o cancellato in tutto o in parte ovvero viene impedito o turbato il funzionamento di un sistema informatico o telematico.
Art. 393 Esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone.
Chiunque, al fine indicato nell’articolo precedente, e potendo ricorrere al giudice, si fa arbitrariamente ragione da sè medesimo usando violenza o minaccia alle persone, è punito, a querela dell’offeso, con la reclusione fino a un anno.
[16] ) Sul punto è pacifica la giurisprudenza. Vedi Cassazione civile, sez. II, 19 maggio 2000, n. 6510 “La reazione del soggetto che consideri lesi i propri diritti su di un bene a causa dell’abusiva utilizzazione di esso da parte di altri mediante attività corrispondenti all’esercizio di diritti reali, può consistere in comportamenti di fatto impeditivi di tale attività (ad esempio, apposizione di un cancello al proprio fondo illegittimamente utilizzato da altri come passaggio) solo nell’immediatezza del fatto, e non quando la situazione originata dall’altrui attività abbia raggiunto un anche minimo grado di stabilità, dovendo, in tali casi, ottenere la tutela delle proprie ragioni solo per via giudiziaria”.