Spoliatus ante omnia restituendus
Quaestio disputata sul procedimento possessorio come paradigma del processo di matrice geometrica
di Torquato G. Tasso

E’ evidente che i risultati paradossali evidenziati, sono diretta conseguenza, dei particolari caratteri della tutela possessoria.

La detta tutela, infatti, è la tutela del “fatto” inteso come lo status quo ante dell’intervenuto spolio e la cui unica preoccupazione è il ripristino della situazione anteriore allo spolio stesso.

Tale fatto, inoltre, è il possesso, ossia il “potere” sulla cosa. Ricordiamo, infatti, che la definizione codicistica di possesso ( [23] ) è, proprio il “potere” sulla cosa. Oggetto della tutela è quindi un rapporto di potere, di dominio sulla cosa che prescinde da una lettura giuridica del rapporto tra il titolare del possesso (del potere quindi) e il bene oggetto del possesso stesso.

Come abbiamo avuto modo di evidenziare, poi, tale tutela prescinde da ogni valutazione (anche sommaria) dell’esistenza di un fondamento giuridico del possesso. Anche a questo proposito, non si può non notare la singolare e significativa differenza tra il procedimento possessorio e gli altri procedimenti a cognizione sommaria, cautelari e d’urgenza, presenti nel nostro ordinamento processuale civile, in ordine ai quali, viceversa, il giudice è chiamato, malgrado la necessaria (per motivi di tempo) sommarietà dell’indagine, a valutare anche il c.d. fumus boni iuris, ossia il fondamento giuridico della domanda di cui si chiede tutela provvisoria, rifiutandola quando, ab initio, si appalesi la non corrispondenza della stessa ad una pretesa giuridicamente fondata.

La sapienza dei brocardi, nella loro mirabile capacità di sintesi, infatti, ci ricorda, come i due aspetti fondamentali ora evidenziati della tutela possessoria siano da un lato il fatto che è sufficiente dimostrare il possesso e non la sua fondatezza (possideo quia possideo) ( [24] ) e dall’altro come un’eccezione petitoria, ossia la prova (anche evidente e immediata) della fondatezza del diritto di chi ha attuato lo spolio e l’insussistenza di un diritto in capo allo spoliato (il c.d. feci sed de iure feci) non sia, invece, per nulla rilevante ( [25] ).

La tutela possessoria del nostro codice non lascia alternativa al giudice. Questi deve decidere il caso attraverso una rappresentazione del fatto storico – puro e semplice – senza attingere all’intrinseca giuridicità del fatto storico stesso, che viene così considerato privo di giuridicità (o la cui giuridicità non viene considerata rilevante e quindi è come inesistente);

Sempre il giudice è chiamato a decidere sulla base di una rappresentazione meramente virtuale della realtà, virtualità intesa come ricostruzione sommaria ed astratta del fatto che, in tal modo e per quanto appena detto, si separa dalla reale giuridicità del fatto rappresentato, prescindendone totalmente. Si giunge, infine, alla paradossale conseguenza che il giudice deve decidere in un determinato modo, pur avendo acquisito la piena consapevolezza della diversa giuridicità della cosa e l’impossibilità di dare, nel seguito del processo, una tutela petitoria alla pretesa possessoria.

II. La tutela possessoria come paradigma della tutela giudiziaria di tipo geometrico

I risultati paradossali a cui conduce la soluzione della traccia sono, a nostro avviso, ascrivibili alla matrice culturale geometrica che è sottesa alla disciplina della tutela possessoria.

Innanzi tutto è evidente come, in questa prospettiva, il fatto sia una realtà priva di una sua giuridicità, una materia prima informe che deve essere plasmata dall’opera del legislatore (o, nel caso del processo, dal giudice); si può dire che la realtà del possesso viene vista solamente per la sua fisicità senza però domandarsi l’ordine giuridico sotteso a detto fatto; il giudice, nella sua pronuncia, deve prescindere da una lettura della giuridicità del fatto da regolare, dovendosi solo domandare quale fosse la situazione di fatto prima della lamentata lesione, ricostruendola nella sua astratta fisicità, attraverso l’esercizio del proprio potere autoritativo.

Altrettanto geometrica è l’attenzione che il legislatore, tramite il giudice “patentato” ( [26] ), pone sui rapporti di potere sull’oggetto del contendere. Viene dato valore prioritario e preponderante proprio al potere, come misura del dominio di fatto (e per questo, esclusivo ossia escludente quello della controparte) sulla cosa. Dovendo ripristinare il possesso, il giudice viene chiamato a valutare chi avesse il potere, il dominio sulla cosa senza valorizzare alcun altro aspetto, ancor meno se giuridico ( [27] ). Proprio perchè la pronuncia possessoria riconosce rilievo al potere (rectius dominio) sulla cosa, non permette la comunicazione delle parti (attraverso il reciproco riconoscimento del diritto sulla cosa) e, per l’effetto, impedisce la trasformazione del conflitto in controversia ( [28] ), alimentando semmai proprio quel potenziale conflitto che il suo intervento sarebbe chiamato in realtà a sedare; appare evidente che dare tutela immediata (anche se provvisoria) anche laddove ictu oculi colui che chiede la tutela del possesso non ha (o peggio ancora non invoca) un diritto corrispondente al suo possesso, non fa altro che rendere ancora più conflittuali i rapporti tra le parti, in quanto l’uno si fa scudo della tutela possessoria per protrarre il proprio (ci sia consentito illegittimo) possesso nel tempo il più possibile, mentre lo spoliante (legittimo titolare del proprio diritto) vede allontanarsi (per opera del legislatore) sempre di più il momento in cui potrà esercitare il proprio diritto.

Sorge il legittimo dubbio, che la previsione della tutela possessoria, ad opera del nostro legislatore, sia maggiormente preoccupata di legittimare e giustificare l’intervento dello Stato, unico legittimo detentore della forza, che è chiamato non a trasformare il conflitto in controversia ma a neutralizzare, con la forza, i conflitti;

sorge il dubbio ancora più legittimo che il legislatore sia stato più preoccupato di “punire” chi “osa” farsi giustizia da sè, sostituendosi nella funzione principale proprio al sovrano e, proprio per questo, non si preoccupi di leggere la giuridicità dei fatti; la pronuncia possessoria mira semplicemente a ribadire la posizione dello Stato geometrico, il più forte dei privati, il Partigiano Divino ( [29] ), unico legittimo detentore della forza, unico legittimato a usare la forza per neutralizzare i conflitti degli anomici individui;

la pronuncia del giudice, in sede possessoria, si basa, dunque, su una rappresentazione virtuale della realtà, alla luce dello schematismo ricostruttivo preordinato, dato dal sistema delle norme, mirante semplicemente a ripristinare la rappresentazione fattuale e virtuale interrotta dalla lite; nel momento in cui questa opera ricostruttiva dà vita a una rappresentazione del fatto completamente scissa dalla sua giuridicità sostanziale ed intrinseca, attraverso la quale andrebbe invece letto, la pronuncia del giudice possessorio, può raggiungere risultati paradossali come quelli evidenziati, ossia che, anche laddove emerge evidente la mancanza di un fondamento giuridico al possesso o al titolo del suo acquisto, ripristina la rappresentazione virtuale della realtà, priva di giuridicità.

Questo è il motivo principale per cui la pronuncia del giudice “patentato” conferma l’idea, tipicamente geometrica, dell’essere umano come incapace di leggere l’ordine giuridico delle cose, grazie alla propria autonomia, ma al quale si dovrà, con la forza, imporre l’ordine astratto voluto dal sovrano (o dal giudice che, del caso concreto, è il sovrano), unico legittimo detentore della forza.

III. Necessità di superamento della prospettiva geometrica e di recupero della giuridicità del fatto

Per venire a svolgere delle considerazioni conclusive, alla luce di quanto sino ad ora illustrato, appare evidente la necessità di evitare i risultati paradossali ai quali il sistema possessorio attuale ( [30] ) conduce; unica via da seguire appare essere quella del superamento della matrice culturale che ne ha determinato il dettato, quella geometrica, in vista di un recupero dell’autentica giuridicità del fatto possessorio.

L’opera del giurista, come è stato autorevolmente sottolineato ( [31] ), è quella di ordinare le relazioni intersoggettive, turbate dalla lite, ma non attraverso un’opera di sovrapposizione di un proprio ordine a quello rappresentato dalle parti, ma attraverso una attenta e sapiente lettura della giuridicità del fatto che deve essere giudicato, ossia del suo di ciascuno, unica via per far sì che il conflitto, basato sulla contrapposizione delle due volontà di potere delle parti, venga risolto attraverso la trasformazione dello stesso in controversia, basata sulla rappresentazione giuridica dei fatti oggetto della lite, e, quindi, presupposto, perchè le parti, attraverso il reciproco riconoscimento della fondatezza giuridica di quelle che prima erano vuote pretese di potere e dominio, possano effettivamente dialogare ( [32] ).

Come è stato acutamente indicato in dottrina ( [33] ), per fare questo, il giudice dovrà approcciarsi al fatto (anche possessorio) da giudicare con delle lenti, le c.d. lenti del giurista le quali, “che pure consentono di rappresentare e pertanto reinterpretare il fatto, non possono coincidere con le disposizioni legislative, seppure non se ne possa prescindere, dal momento che tali lenti altro non rappresentano se non ciò che fino a quel momento egli è riuscito a cogliere (e fissare) dell’esperienza giuridica che lo circonda, ma nella quel è anche immerso”.

Anche nel processo possessorio, sorge, quindi, ineludibile l’esigenza di una ricostruzione giuridica del fatto stesso, di una rappresentazione che colga non solo l’aspetto fattuale della realtà possessoria ma, più approfonditamente, anche il giuridico fondamento della stessa, la sua essenza, intervenendo a ripristinare un possesso solo dopo che, una lettura, anche se necessariamente sommaria, possa far ritenere fondata la pretesa di chi ha subito lo spolio, rispolverando, anche per le azioni possessorie, quel principio fondamentale, dei procedimenti d’urgenza, del fumus boni iuris.

Così il giudice non dovrebbe intervenire a ripristinare un possesso se, ictu oculi, sia privo di un fondamento giuridico, in quanto non corrispondente ad una situazione giuridica di diritto ritenuta meritevole di tutela (come il possesso del ladro) o, peggio ancora, se l’esercizio di quel possesso, a prescindere dal titolo d’acquisto dello stesso, configuri un illecito (come nel caso prospettato dello scarico inquinante) ( [34] );

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