Spoliatus ante omnia restituendus
Quaestio disputata sul procedimento possessorio come paradigma del processo di matrice geometrica
di Torquato G. Tasso
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Premessa una ricostruzione sintetica del contesto storiografico in cui il tema del procedimento possessorio può essere oggi trattato, nel presente contributo si intende evidenziare la crisi del formalismo di stampo positivistico e la contrapposta istanza di una fondazione realistica dell’ordinamento giuridico; l’indagine, che prende le mosse attingendo all’esperienza personale e professionale di un caso concreto, realmente affrontato nella quotidiana frequentazione delle aule giudiziarie, si svilupperà partendo dalla formulazione di un problema, per il quale prenderò in considerazione almeno due tesi alternative.
Non sfuggirà come questo modo di procedere segua, a grandi linee, la struttura della Quaestio tomistica che, per altro, come è stato notato da Elvio Ancona e Marcello Fracanzani ( [1] ), integrata dalla ricerca delle aporie della geometria legale così come metodologicamente strutturata nel libro Filosofia del Diritto di Francesco Gentile ( [2] ), si presenta come la forma tipica di problematizzazione processuale. Quanto alla determinazione delle conclusioni mi limiterei alla definizione dei principi, per un verso con attenzione particolare al linguaggio utilizzato con lo scopo di superarne la polisemia, che è la principale fonte di equivoci nella prassi e, per altro verso, evidenziandone il dinamismo teleologico, considerando che la definizione dialettica si dà in base al fine, alla causa finale, alla forma compiuta di ciò che viene definito e quindi con la consapevolezza dell’inesauribile varietà delle opinioni e dell’inesausta attualità dei principi.
Se la tutela possessoria riconosca o non riconosca giuridicita’ al fatto oggetto del procedimento (Utrum Sit)
Il caso concreto
Il possesso della servitù di scarico
Tizio si rivolge al proprio legale rappresentando la circostanza che il suo vicino di casa, Caio, aveva intrapreso nei suoi confronti un’azione possessoria.
Tizio – infatti – aveva iniziato dei lavori per la rimozione della tubatura (di sua proprietà) ed interrata nel proprio fondo attraverso la quale avveniva uno scarico di acque saponate (e quindi inquinanti) che provenivano dalla sua abitazione, tubatura alla quale, circa nove anni prima, senza averne alcun titolo, si era, abusivamente, collegato Caio. La tubatura di Tizio, quindi, conduceva le acque (inquinanti) provenienti dalle due abitazioni (quella di proprietà di Tizio e quella di proprietà di Caio) e le faceva confluire nel vicino fiume;
Tizio evidenziava come aveva eseguito questi lavori perchè il Comune, alla luce di una recente legge regionale, già entrata in vigore, aveva emesso un’ordinanza con cui intimava ai due confinanti di allacciarsi alla condotta comunale e di cessare con l’immissione inquinante entro un termine da molto tempo spirato.
Si deve necessariamente premettere che la scelta della traccia, occasione della presente indagine, è stata suggerita dalla circostanza che il possesso è una fattispecie nella quale, probabilmente con maggior forza, si pone e propone il problema relativo al potenziale conflitto tra giuridicità del fatto e qualificazione giuridica del fatto ad opera della norme.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che il principio primo su cui si fonda la concezione moderna del diritto è la capacità (ed esclusività) della norma positiva di dare una qualificazione ai fatti materiali. La norma “posita” riesce a dare ordine nel disordinato vivere quotidiano delimitando per un verso i fatti che possano avere giuridica rilevanza e, per altro verso, regolamentandone i rapporti. In questa prospettiva la relazione tra norma e fatto è sempre univoca, procedendo dalla norma verso il fatto: la concezione moderna del diritto si basa, infatti, proprio sull’idea che la norma giuridica è frutto della volontà del sovrano e non certo lettura della forza normativa dei fatti stessi ( [3] ).
Come avremo modo di sottolineare in seguito, invece, la forza normativa dei fatti è stato un momento pregnante dell’esperienza giuridica precedente a quella moderna, nella quale, a differenza di questa, come è stato osservato in dottrina ( [4] ), “la vitalità dei fenomeni materiali è tale da divenire immediata effettività giuridica, senza il benchè minimo apporto di volontà da parte di un soggetto qualsivoglia, posto che quei secoli non ne vedono alcuno che possa sovraordinarsi all’ordine naturale delle cose”.
Il caso prospettato, quindi, ripropone l’eterna contrapposizione tra fatto e diritto, tra realtà e norma, acuendone, però, gli aspetti problematici in quanto la detta contrapposizione trova il suo apice proprio nella quotidiana applicazione pratica nel procedimento possessorio, ove le questioni giuridiche vengono inevitabilmente amplificate.
Passando all’analisi della traccia, si deve immediatamente dire che il caso che ci viene prospettato appare essere, nella sua ricostruzione storica, di estrema semplicità. Si tratta di un caso nel quale Tizio, rimuovendo la tubatura collocata nella sua proprietà e alla quale illo tempore Caio si era allacciato, viene ad impedire lo scarico che Caio stava effettuando, malgrado i divieti, attraverso la detta tubatura.
Volendo dare una rappresentazione giuridicamente più precisa, dovremmo sottolineare come, in virtù del principio dell’accessione, previsto e disciplinato dall’art. 934 c.c. ( [5] ), Tizio è proprietario della tubatura interrata nel proprio fondo e, sempre per il medesimo principio, anche della parte della tubatura che, partendo dalla casa di Caio, corre sotto il terreno (di proprietà di Tizio) collegandosi alla prima; mentre Caio esercita un possesso dello scarico di acque saponate, attraverso la tubatura di proprietà di Tizio.
La traccia sembra suggerire la questione di quale sia l’eventuale diritto di Caio in relazione all’attuato scarico, ossia se lo stesso abbia, a qualche titolo, acquistato una servitù o altro diritto (reale) che lo legittimi all’uso della tubatura di Tizio.
La soluzione del punto è semplice in quanto è la traccia stessa che ci dice che Caio non aveva alcun titolo e che si era collegato solo nove anni prima (tempo non sufficiente per un’eventuale usucapione). Tale questione, nell’economia del caso, sembra però avere un valore marginale o solo prospettico, in quanto, è evidente che, a prescindere dall’esistenza o meno di un diritto in capo a Caio, questione prettamente petitoria e che quindi potrebbe rilevare (eventualmente) solo in un secondo momento, non può essere revocato in dubbio che, ad ogni modo, Caio possedesse, esercitasse di fatto lo scarico attraverso la tubatura di Tizio e, giuridicamente, possedesse una servitù di scarico.
Ricordiamo, a questo proposito, che il possesso è una realtà certamente complessa ( [6] ) e, per certi versi, come è stato definito in dottrina, dal volto enigmatico e inafferrabile ( [7] ), nel quale convivono due aspetti uno prettamente oggettivo (c.d. corpus) ossia la relazione materiale con la cosa oggetto del possesso, l’altro soggettivo (c.d. animus possidendi), ossia il convincimento del soggetto di esercitare un proprio diritto.
Parallelamente, in dottrina, si sono evidenziate due correnti di pensiero; quella c.d. soggettiva, la cui origine si deve a Savigny ( [8] ), secondo la quale l’elemento essenziale del possesso è l’animus e quella c.d. oggettiva, che ha avuto in Jhering ( [9] ) il suo fondatore, secondo la quale l’animus non costituirebbe elemento essenziale ma si valorizza l’aspetto dell’apprensione e del rapporto di fatto con la cosa; qualunque sia la prospettiva nella quale ci si colloca, ad ogni modo, è pacifico che il possesso è una situazione giuridica soggettiva che, pur trovando tutela nel nostro ordinamento, non è un diritto ( [10] ) ed, anzi, sussiste in quanto, di fatto, si presenta come l’esercizio di un diritto, a prescindere che poi il possessore sia effettivamente titolare del relativo diritto.
Come è stato autorevolmente chiarito da Perlingeri, infatti, “il possesso non è la conseguenza automatica della titolarità del diritto, ma è esercizio concreto di un potere, attività effettiva espletata sia dal titolare del diritto (possesso come esercizio del diritto: ius possidendi), sia da chi non è titolare del diritto (puro possesso). In entrambe le ipotesi si ha un factum possessionis, che prescinde dalla circostanza che esso sia attuato dal titolare di un diritto. Dal factum sorge lo ius possessionis, cioè il diritto di possedere e d’invocare la tutela possessoria ( [11] ).
Ciò che, nella fattispecie descritta, è certamente singolare e merita una riflessione è la circostanza che lo scarico di acque, oggetto del detto possesso, sia giuridicamente illegittimo (inteso come contra ius), in quanto espressamente vietato (perchè inquinante) da una normativa regionale e, per giunta, oggetto di un’ordinanza comunale con cui l’ente pubblico ordinava l’allacciamento alla condotta comunale.
La vicenda come descritta, quindi, evidenzia un conflitto tra la tutela (a priori) del fatto possessorio e una tutela dello stesso alimentata da una visione della sua giuridicità. Valorizzando una prospettiva, quindi, si evidenzia l’esistenza di un possesso (quello di Caio) che, in quanto tale, in quanto pura situazione di fatto, a prescindere da ogni ulteriore valutazione giuridica, richiede tutela; valorizzando una seconda prospettiva si pone il problema della illegittimità dello scarico e del danno che tale scarico potrebbe arrecare alla comunità.
La prima ipotesi interpretativa: una (semplice) conciliazione tra gli interessi in gioco (Videtur)
Il caso che viene prospettato sembrerebbe poter avere una soluzione alquanto semplice. Una lettura, seppur sommaria, della traccia, infatti, ci fa comprendere come l’azione di Tizio (mirante alla rimozione della tubatura attraverso la quale sia il suo immobile che quello di proprietà di Caio scaricava nel vicino fiume le acque saponate) altro non sia che un atto con cui lo stesso ottempera ad un ordine dell’autorità ( [12] ), ossia all’ordinanza del Comune che invitava i confinanti ad allacciarsi alla condotta comunale. Non può sfuggire, quindi, come la condotta di Tizio sia, sotto una determinata prospettiva, un atto dovuto e, ad ogni modo, perfettamente conforme ed aderente alla normativa esistente.