Analisi del leading case Maxwell [1978][1]
Dolo di concorso e “concorso anomalo”, tra diritto penale inglese ed italiano.
Profili sintetici di teoria generale del reato e della pena
di Gabriele Civello
In proposito, giova riportare brevemente un caso affrontato di recente dalla Suprema Corte.
B. e S. fissavano un appuntamento con B.G. al fine di minacciarlo e di “dargli una lezione”[28]; tuttavia, nel corso dell’incontro ed all’insaputa di S., B. estraeva improvvisamente una pistola e freddava B.G..
Entrambi i concorrenti venivano imputati di porto illegale d’arma da fuoco ed omicidio volontario (S. nella forma di concorso anomalo in omicidio); a seguito dei gradi di merito, S. proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza di condanna e, in ultima istanza, veniva assolto per il reato di porto d’arma e condannato ex art. 116 c.p. per il delitto di omicidio volontario.
Nella sentenza della Suprema Corte[29], così si legge:
“il nesso soggettivo necessario e sufficiente [ai fini del concorso ex art. 116 c.p.: n.d.r.] consiste nella mera prevedibilità, cioè nella possibilità, valutata alla stregua delle concrete circostanze secondo la logica e la scienza dell’uomo medio, che alla psiche dell’agente il reato diverso si rappresenti, nei suoi essenziali elementi, come sviluppo logico di quello voluto, pur senza una concreta previsione[30].
In sostanza l’ipotesi di concorso anomalo si fonda su un atteggiamento psichico colposo, consistente nell’inosservanza, da parte del coimputato, di regole di prudenza per essersi affidato, nella realizzazione del reato voluto, alla condotta altrui non suscettibile di controllo e non aver previsto un eccesso prevedibile.
[…]
L’impugnata sentenza desume, congruamente, la prevedibilità che il coimputato <B.> portasse con sé la propria pistola, per usarla a scopo intimidatorio, da fatti significativi (l’intima amicizia, la conoscenza che il <B.> non si separava mai dalla sua arma, l’assenza di motivi per uscire disarmato quella notte in cui si doveva impartire la lezione al <B.>) e disattende la tesi difensiva avanzata solo al dibattimento (in ordine al reiterato invito, rivoltogli in generale dal ricorrente, di non uscire – in sua compagnia – armato) con una motivazione congrua che discerne criticamente le diverse risultanze processuali, comprese le dichiarazioni testimoniali dei fratelli <S.>.
Si sostiene ancora dal ricorrente che le modalità della condotta del <B.> (scarica mortale che aveva colpito alla schiena la vittima mentre i tre camminavano in fila indiana senza che si fosse verificato il minimo alterco) configurerebbe l’evento atipico che esclude la responsabilità del compartecipe ex art. 116 c.p..
La censura è priva di fondamento.
Invero, la giurisprudenza di questa Corte afferma costantemente che la responsabilità del compartecipe ex art. 116 c.p. può essere esclusa solo quando il reato diverso e più grave si presenti come evento atipico, dovuto a circostanze eccezionali e del tutto imprevedibili, non collegato in alcun modo al fatto criminoso su cui è innestato, oppure quando si verifichi un rapporto di mera occasionalità idoneo ad escludere il nesso di causalità[31].
La rottura del nesso causale viene, pertanto, ipotizzata nell’evento definito atipico sempre in relazione alla sua eccezionalità o totale imprevedibilità rispetto al reato concordato, sicché – nel caso in cui era prevedibile l’uso di una rivoltella per l’esecuzione della minaccia concordata – non può ritenersi conseguenza di circostanze eccezionali e non ricollegabili al reato meno grave il fatto che la pistola sia stata usata dal coimputato immediatamente e direttamente per uccidere, senza alcuna previa minaccia.
Per la configurabilità del concorso anomalo non è indispensabile, infatti, la commissione del reato meno grave, ma – da una parte – il nesso puramente causale tra l’apporto materiale di chi ha voluto solo quello ed il reato più grave e – dall’altra – un necessario coefficiente di colpevolezza concepito come nesso psichico in termini di prevedibilità dello sviluppo logico verso un fatto più grave non direttamente voluto.
Anche il terzo motivo è inconsistente.
Il ricorrente parte dalla pronuncia di assoluzione con formula ampia dal concorso nel porto di arma da fuoco (capo B) per dedurne che non sapeva, non aveva previsto e non poteva prevedere il porto d’arma fuori dell’abitazione.
Invero è di per sé erroneo il sillogismo che pone a confronto due entità riferibili a reati distinti (pronuncia di assoluzione sul porto illegale e giudizio in ordine alla prevedibilità del fatto omicidario), senza affrontare il necessario approfondimento sulla compatibilità delle motivazioni poste a supporto delle sottostanti valutazioni ed evitando le necessarie distinzioni in punto di atteggiamento psicologico.
L’assoluzione, basata su mancanza di prova sulla conoscenza che la sera dell’omicidio il <B.> fosse in possesso della pistola, va rapportata all’elemento soggettivo che nel reato in esame si atteggia a dolo nel concorso, onde la conoscenza (la cui prova è mancata) poteva essere effettiva (dolo diretto) o prevista con accettazione del rischio (dolo eventuale), laddove ogni diverso nesso psicologico (come la prevedibilità) avrebbe dovuto comportare necessariamente l’assoluzione.
Da tali considerazioni derivano le due seguenti conseguenze:
1) l’assoluzione dal concorso nel porto illegale per non aver commesso il fatto, pur essendo esatta in quanto nel concorso morale il venir meno del nesso soggettivo porta inevitabilmente a tale formula, lascia del tutto impregiudicata la questione in ordine all’atteggiamento psichico nel concorso anomalo ex art. 116 c.p. per l’omicidio;
2) non sussiste alcuna contraddizione tra quell’assoluzione e la condanna impugnata, trovando quest’ultima fondamento nella prevedibilità del porto e – di conseguenza – del fatto più grave commesso dal coimputato, nesso psichico ben più labile rispetto al dolo, siccome ricadente nell’area della colpa per non aver previsto; ampiamente motivata nella sentenza […]”.
Ebbene, la sola sommaria lettura della succitata motivazione fa comprendere come l’attuale “diritto vivente”, nonostante lo squillante monito della Corte Costituzionale[32], stia continuando ad interpretare l’art. 116 c.p. in chiave eminentemente – ed occultamente – oggettivistica.
Da un lato, infatti, la Suprema Corte afferma che, ai fini della condanna per porto illegale d’arma, è necessario che il concorrente sappia – o quantomeno accetti il rischio[33] – che il complice porti con sé una pistola; dall’altro lato, viceversa, ai fini del concorso ex art. 116 c.p. nel ben più grave reato di omicidio volontario, è sufficiente che il “concorrente anomalo” possa genericamente prevedere che il complice esca armato dalla propria abitazione ed intraprenda un’azione omicida, in ragione della “intima amicizia, della conoscenza che il <B.> non si separava mai dalla sua arma, dell’assenza di motivi per uscire disarmato quella notte in cui si doveva impartire la lezione al <B.>”.
Un simile caso, probabilmente, sarebbe stato giudicato in modo differente da una corte di giustizia inglese: come sopra evidenziato, infatti, nell’ambito dell’ordinamento penale britannico, ai fini della punibilità del “concorrente anomalo”, è necessario provare che in capo a costui fosse “presente non il semplice sospetto, ma la consapevolezza che un reato di quel genere fosse nelle intenzioni del reo e che l’equipaggiamento fosse stato acquistato a quello scopo”[34]; come disse Lord Scarman (citando la decisione del presidente Lowry), nel procedimento D.P.P. for Northern Ireland v. Maxwell [1978] 3 All E.R. 1140 innanzi alla House of Lords: “il presidente Lowry continua dicendo che «il reato in questione deve essere previsto dal complice e solo in casi eccezionali sarà possibile trovare una prova sufficiente a sostenere l’accusa secondo la quale il complice avrebbe consegnato al reo un assegno in bianco». Il principio così formulato ha un grande merito. Focalizza l’attenzione sullo stato mentale dell’accusato: non su ciò che egli avrebbe dovuto prevedere, ma su ciò che fu da lui effettivamente previsto”[35].
Secondo la giurisprudenza italiana, invece, non è nemmeno necessario provare che il “concorrente anomalo” sospettasse in concreto o prevedesse effettivamente la commissione del reato diverso, ma è sufficiente che tale commissione fosse genericamente prevedibile.
Ecco, quindi, che, nel caso affrontato in Cassazione Penale, Sez. V, 25 ottobre 2002, n. 42861[36], l’imputato S., uscito con l’amico B. con il semplice accordo di minacciare il “nemico” B.G., ha la ventura di essere imputato di omicidio volontario, stante “l’assenza di motivi per uscire disarmato quella notte in cui si doveva impartire la lezione al <B.>”[37]!
4. Il “concorso anomalo” ex art. 116 c.p.: profili sintetici di teoria generale del reato e della pena. La compatibilità con i principi costituzionali.
La tematica del c.d. “concorso anomalo” di cui all’art. 116 c.p. suscita – quantomeno nell’interprete particolarmente attento alle radici teoretico-dogmatiche degli istituti penalistici – non pochi interrogativi afferenti, in special modo, alla natura sostanzialmente “eccentrica” di tale particolare responsabilità concorsuale; in particolare, il fulcro del problema consiste nella palese “sfasatura” tra l’autore materiale del “fatto diverso” ed il soggetto cui viene imputato tale fatto di reato (il c.d. “concorrente anomalo”).
Ebbene, il concorso ex art. 116 c.p., oltre ad essere tema penalistico ex se complesso e multiforme, rappresenta un interessante “terreno di coltura” per la sperimentazione delle contrapposte concezioni dell’ordinamento giuridico, dell’illecito penale e della sanzione criminale; a tal proposito, basti solo evidenziare come l’art. 116 c.p., disposizione sconosciuta al codice Zanardelli (emanato in epoca c.d. “liberale”)[38], abbia ricevuto dal legislatore autoritario del 1930 un’impronta radicalmente oggettivistica (strettamente connessa alle radici tecnico-giuridiche del Codice Rocco)[39] per poi subire, successivamente all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, una curvatura ermeneutica tendenzialmente personalistica e soggettivistica: ebbene, tale evoluzione dell’istituto vale a dimostrare lo stretto nesso sussistente tra il medesimo ed i più generali orientamenti politico-giuridici e latamente gius-filosofici.