Analisi del leading case Maxwell [1978][1]
Dolo di concorso e “concorso anomalo”, tra diritto penale inglese ed italiano.
Profili sintetici di teoria generale del reato e della pena
di Gabriele Civello

A tal proposito, nel caso Hyde and others[12], concernente il concorso in furto sfociato in omicidio, il giudice Lane afferma: “perché il concorrente (the secondary party) sia colpevole, occorre dimostrare che egli si è prestato all’impresa criminale che implicava di arrecare un grave danno oppure la morte o che egli ha avuto un’intesa tacita o espressa con l’autore principale (the actual killer) in virtù della quale siffatto danno o morte sarebbe stato inflitto, se necessario. Se, tuttavia, il concorrente è consapevole, senza essersi preliminarmente accordato in relazione al tipo di condotta da porre in essere, del fatto che l’autore principale potrebbe uccidere o infliggere gravi ferite e nondimeno continua a cooperare con lui nell’impresa, ciò sarà elemento soggettivo sufficiente perché egli possa essere considerato colpevole di murder qualora, naturalmente, l’autore principale, con il necessario intent, cagioni un omicidio nel corso dell’impresa criminale”.

In un altro caso, avente ad oggetto una rissa sfociata in omicidio, si poneva l’interrogativo circa la possibilità di imputare a tutti i partecipanti alla rissa l’evento morte cagionato dall’unico coltello, detenuto da un solo rissante; in tal caso, Lord Simonds disse: “non riesco a vedere alcuna ragione per un’ulteriore estensione del termine «complice». In particolare, non vedo alcuna ragione per cui, se una mezza dozzina di ragazzi si scontrano con un altro gruppo di persone ed uno di loro estrae un coltello e ferisce a morte un avversario, gli altri componenti del suo gruppo debbano essere trattati come complici nell’uso del coltello e nell’inflizione di una ferita mortale con quel mezzo, a meno che non sia fornita la prova che gli altri volessero od almeno prevedessero un’aggressione a mano armata da parte di un componente del loro gruppo, al posto di un’aggressione semplice”[13]. In altri termini, parafrasando il caso Chang Wing-Siu, “un partecipe (secondary part) è responsabile per gli atti commessi dall’autore (primary offender) del tipo di quelli che aveva previsto ma non necessariamente voluto […] Questo principio ruota intorno alla considerazione preventiva (contemplation) o, per esprimere la stessa idea con parole diverse, alla condivisione (authorisation), che può essere esplicita ma che è più frequentemente implicita. È questo il caso di un reato previsto come avvenimento (incident) possibile del comune piano illecito. La responsabilità penale risiede nel partecipare alla vicenda con questa previsione”[14].

In quest’ordine di idee si collocano anche altre due recenti decisioni relative a due casi di omicidio: English e Powell.

Nel caso English[15], l’omonimo imputato ed un altro uomo, volendo “dare una lezione” ad un agente di polizia, lo aggredirono con delle mazze di legno con l’intenzione di causargli gravi lesioni personali; tuttavia, nella colluttazione, il complice estrasse inaspettatamente un coltello e colpì a morte il poliziotto.

Nel caso Powell[16], invece, l’appellante e due complici suonarono alla porta di un trafficante di droga e, quando questo aprì, uno dei complici lo freddò improvvisamente con un colpo di pistola.

In entrambi i casi, la Court of Appeal pronunciò condanna per omicidio a carico di entrambi gli imputati; a seguito di impugnazione, tuttavia, la House of Lords da un lato confermò la condanna a carico di Powell, dall’altro dichiarò non colpevole English: nel caso Powell, infatti, era stato accertato che l’imputato avesse concretamente previsto la possibilità che il complice commettesse un murder; nel caso English, invece, era stato provato che l’imputato ignorava la presenza del coltello addosso all’autore.

3. Comparazione con il diritto penale italiano: l’elemento soggettivo nel concorso di persone nel reato. Il c.d. “concorso anomalo.

All’interno del Codice Penale italiano del 1930, la norma fondamentale in tema di concorso di persone nel reato è l’art. 110, il quale stabilisce:

“Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di essere soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti”.

La disposizione testé citata, tuttavia, nulla dice all’interprete circa l’ubi consistam del concorso di persone nel reato e, con particolare riferimento all’elemento soggettivo, non chiarisce quale sia il nesso psichico, necessario ai fini della punibilità a titolo concorsuale, sussistente tra la condotta del concorrente ed il fatto di reato.

Generalmente, si ritiene che “dato il carattere autonomo della fattispecie plurisoggettiva, derivante dalla combinazione dell’art. 110 con la norma di parte speciale, anche il relativo elemento soggettivo va[da] determinato autonomamente, sulla base pur sempre dei principi generali in tema di elemento soggettivo del reato, ma altresì in rapporto alle caratteristiche proprie di tale fattispecie”[17].

Inoltre, “il contributo alla realizzazione comune, qualsiasi forma esteriore esso assuma, deve essere qualificato da due connotati soggettivi: la volontà di assumere la condotta come proiettata verso la realizzazione comune (la c.d. coscienza del concorso); l’atteggiamento subiettivo tipico richiesto nella fattispecie del reato che si attribuisce”[18].

Stante la lacunosità, in tema di elemento soggettivo, di cui è affetta la disposizione dell’art. 110 c.p., non può che soccorrere, sul punto, la generale clausola definitoria dell’art. 43 c.p., il quale stabilisce, al primo alinea del primo comma:

“Il delitto è doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”.

Orbene, è di tutta evidenza come, in ragione del combinato disposto degli artt. 43 e 110 c.p., ai fini della punibilità del concorrente nel reato, è necessario che costui – qualunque sia obiettivamente il tipo di apporto causale, materiale o morale – preveda e voglia l’evento di reato, come conseguenza del proprio contributo commissivo od omissivo. Sebbene, infatti, la fattispecie ex art. 110 c.p. si caratterizzi, dal punto di vista oggettivo, per una sorta di “de-tassativizzazione” della condotta punibile – stante la relativa atipicità dell’azione concorsuale – non v’è alcuna disposizione di legge che consenta all’interprete di postulare la sussistenza, in materia di concorso di persone nel reato, di una deroga ai principi generali in materia di elemento soggettivo.

Così, a titolo esemplificativo, nel caso in cui Tizio accompagni in banca Caio, sprovvisto di patente di guida, onde consentirgli di effettuare un’operazione di conto corrente, qualora Caio, varcata la soglia dell’agenzia bancaria, estragga improvvisamente una pistola ed effettui una rapina, Tizio non sarà certamente imputabile del reato ex art. 628 c.p., stante la totale assenza, in capo al medesimo, del dolo di rapina: in tal caso, infatti, pur sussistendo una condotta materiale lato sensu ausiliaria (ossia l’avere accompagnato Caio in banca), tale azione non assurge alla tipicità del delitto di rapina, giacché difetta radicalmente ogni nesso psichico tra la condotta di Tizio ed il reato commesso materialmente da Caio.

Pertanto, come nella common law inglese, così nel diritto penale italiano è necessario, ai fini della punibilità a titolo concorsuale, che sussista in capo al compartecipe il dolo (la mens rea) del delitto, non potendo configurarsi concorso nel reato per il solo fatto della oggettiva e materiale condotta di ausilio o sostegno.

In proposito, peraltro, si ritiene che “la coscienza del concorso potrà indifferentemente manifestarsi o come previo concerto (così nella maggior parte dei casi), o come intesa istantanea, ovvero ancora come semplice adesione all’opera di un altro che ne rimane ignaro”[19].

Maggiori problemi sorgono in tema di c.d. “concorso anomalo”, il quale si verifica allorché, a seguito del pactum sceleris, taluno dei concorrenti commetta un reato diverso da quello originariamente concordato; sul punto, l’art. 116, comma 1, c.p. stabilisce:

“Qualora il reato commesso sia diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l’evento è conseguenza della sua azione od omissione”.

Per inciso, tale disposizione costituisce l’eccezione che conferma la regola: se, infatti, il legislatore ha ritenuto di dovere introdurre, in tema di “concorso anomalo”, un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in deroga ai generali principi di imputazione soggettiva del reato, ciò è sicuro indice del fatto che, nell’ambito dell’ordinario concorso di persone nel reato, rimane fermo il dettato degli artt. 42 e 43 c.p. in materia di elemento soggettivo.

Orbene, alla luce della littera del citato art. 116 c.p., emerge come, quantomeno nell’intentio del legislatore del 1930, il “reato diverso da quello voluto da taluno dei concorrenti” dovesse imputarsi al “concorrente anomalo” a titolo di mera responsabilità oggettiva: in proposito, infatti, è patente l’identità tra la formulazione dell’art. 116 c.p. (“[…] se l’evento è conseguenza della sua azione od omissione”) e la disposizione dell’art. 40 c.p. in tema di causalità (“se l’evento dannoso o pericoloso […] non è conseguenza della sua azione od omissione”), identità letterale dalla quale sembra inferirsi la riconducibilità del “concorso anomalo” alle ipotesi di cui al terzo comma dell’art. 42 c.p. (“la legge determina i casi nei quali l’evento è posto altrimenti a carico dell’agente come conseguenza della sua azione od omissione”).

A titolo esemplificativo, pertanto, secondo la rigida e letterale applicazione dell’art. 116 c.p., in un’ipotesi di pactum sceleris avente ad oggetto la commissione di un furto in abitazione, nel caso in cui uno solo dei concorrenti commetta, motu proprio et manu propria, altri reati (quali rapina, danneggiamento, violenza sessuale, percosse, lesioni personali, omicidio, e così via), dovrebbe sostenersi senza dubbio l’addebitabilità di tali differenti fatti di reato anche al concorrente che pur non abbia partecipato né moralmente né materialmente alla loro commissione, in ottemperanza all’antico brocardo “qui in re illicita versatur, tenetur etiam pro casu”.

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