Le radici comunitarie della riforma italiana del mercato del lavoro
La perduta occasione di una autentica sussidiarietà
di Torquato G. Tasso
[14] ) E’ il caso del job sharing, realtà esistente (anche se poco diffusa nel nostro territorio) ma regolamentata esclusivamente, come avremo modo di vedere, da una circolare ministeriale.
[15] ) Già il Libro Bianco, infatti, prevedeva il possibile "riconoscimento di una congrua indennità cosiddetta di disponibilità a favore del lavoratore che garantisca nei confronti del datore di lavoro la propria disponibilità allo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, (…) eventuale non obbligatorietà per il prestatore di rispondere alla chiamata del datore di lavoro, non avendo quindi titolo a percepire la predetta indennità ma con diritto di godere di una retribuzione proporzionale al lavoro effettivamente svolto”.
[16] ) In un passo del Libro Bianco, si legge infatti. "Appare opportuno un intervento legislativo che consenta di inquadrare questo fenomeno non tanto come sottospecie del part time, bensì come ideale sviluppo del lavoro temporaneo tramite agenzia, da inquadrarsi non necessariamente nello schema del lavoro subordinato. La versione più persuasiva è senz’altro quella olandese che imposta appunto il lavoro intermittente o a chiamata” come una forma contrattuale che a fronte della disponibilità del prestatore a rendersi disponibile alla prestazione, prevede la corresponsione a carico del datore di lavoro di una “indennità di disponibilità”, similmente a quanto accade nell’ipotesi di lavoro interinale". Si deve anche notare che il legislatore intende, in questo modo, evitare quelle figure contrattuali che, ad oggi, hanno trovato ampia diffusione nel mercato essendo però sostanzialmente elusive del dettato normativo che, prima della legge delega, non consentiva un vero e proprio job on call. Molti lavoratori inquadrati come parasubordinati hanno costituito, di fatto, numerose fattispecie di job on call (stand-by workers) realizzando anche in questo caso forme di elusione della normativa.
[17]) Si legge nella citata circolare ministeriale che "Al fine di puntualizzare la posizione dello scrivente Ministero in ordine ad una serie di quesiti formulati da vari Uffici periferici circa l’ammissibilità, alla stregua della normativa vigente, di un contratto di lavoro subordinato con il quale due o più lavoratori si assumano in solido l’adempimento di un’unica obbligazione lavorativa si ritiene di dover fornire i seguenti chiarimenti.
Giova precisare, in via preliminare, che il lavoro ripartito, sorto negli Stati Uniti sul finire degli anni sessanta e ora espressamente tipizzato dalla legislazione di alcuni Paesi europei, è riconducibile alla tendenza, che va sempre più affermandosi anche nel nostro mercato del lavoro, di modernizzare la normativa in materia di regimi di orario, rimodulando progressivamente i tempi di lavoro. Questa peculiare forma di lavoro si presenta infatti come uno strumento di flessibilizzazione dell’orario di lavoro che appare proficuo sia per le imprese, posto che garantisce normalmente una maggiore intensità e produttività del lavoro riducendo gli effetti delle assenze, sia per gli stessi lavoratori, a cui viene contrattualmente garantita una ulteriore possibilità di gestione dei tempi di vita (esigenze familiari, di studio, ecc.) e dei tempi di lavoro.
La figura del lavoro ripartito non ha ancora trovato una compiuta e specifica regolamentazione nel nostro ordinamento; tuttavia, a parere dello scrivente Ministero, la mancanza di una legge non pregiudica affatto la legittimità del ricorso a questo schema negoziale per talune particolari categorie di lavoratori, purché naturalmente non si tratti di un mero espediente per aggirare la normativa vigente del lavoro subordinato in generale e del lavoro a tempo parziale in particolare. Non esistono, infatti, norme di legge o principi generali della materia contrattuale che precludano, esplicitamente o implicitamente, la possibilità per due o più lavoratori di assumere in solido un’unica obbligazione lavorativa subordinata. Nessuno ostacolo, in particolare, può essere ricollegato al carattere essenzialmente personale della prestazione lavorativa: pur in presenza del vincolo fiduciario che caratterizza la figura in esame, ogni lavoratore resta infatti personalmente e direttamente responsabile dell’adempimento dell’intera obbligazione, anche se la stessa si può poi estinguere, "ratione temporis", in virtù dell’adempimento di uno solo dei due coobbligati.
Vero è che la Corte costituzionale, con sentenza n. 210 del 4-11 maggio 1992, ha escluso l’ammissibilità di contratti di lavoro a tempo parziale nei quali la distribuzione, e cioè la collocazione temporale della prestazione ridotta, non sia stata predeterminata con riferimento ai parametri temporali, con ciò stesso escludendo così l’ammissibilità di qualunque clausola di "flessibilità" o "elasticità" dell’orario di lavoro (vedi in tal senso quanto rilevato dallo scrivente nella circolare n. 37 del 2 aprile 1993). Ma è anche vero che il contratto di lavoro ripartito deve essere chiaramente distinto dal contratto di lavoro a tempo parziale di cui all’art. 5 della legge n. 863/1984: il contratto "de quo" non può essere, infatti, semplicemente considerato come originante da due distinti rapporti di lavoro a tempo parziale, posto che in questo caso ogni lavoratore è in solido obbligato per l’intero della prestazione lavorativa dedotta in contratto.
In mancanza di una auspicabile regolamentazione della fattispecie da parte della contrattazione collettiva nazionale e aziendale, la disciplina del lavoro ripartito sarà dunque rimessa all’autonomia negoziale delle parti, ferma restando in ogni caso l’applicabilità della normativa generale del rapporto di lavoro subordinato, per quanto non incompatibile con la particolare natura del rapporto "de quo".
A parere dello scrivente Ministero, per evitare sospetti di elusione della normativa vigente del diritto di lavoro, nel contratto di lavoro ripartito andranno indicati la misura percentuale e la collocazione temporale del lavoro giornaliero, settimanale, mensile o annuale che si prevede venga svolto da ciascuno dei due lavoratori, ferma restando la possibilità per gli stessi lavoratori di determinare discrezionalmente, in qualsiasi momento, la sostituzione ovvero la modificazione consensuale della distribuzione dell’orario di lavoro. Conseguentemente, la retribuzione verrà corrisposta a ciascun lavoratore in proporzione alla quantità di lavoro effettivamente prestato. Ai fini della possibilità di certificare le assenze, i lavoratori devono informare preventivamente il datore di lavoro sull’orario di lavoro di ciascuno dei due lavoratori con cadenza almeno settimanale. In ogni caso, salva diversa pattuizione, il datore legittimamente pretenderà l’adempimento dell’intera prestazione dovuta da ciascuno dei lavoratori solidalmente obbligati".
[18] ) In qualche modo, sembra riprendere l’istituto della certificazione previsto dalla normativa sul lavoro artigiano e sul riconoscimento della natura artigiana di una impresa La legge 443/85 prevede un apposito organo competente a "certificare", previa verifica, la natura artigiana, ossia la Commissione Provinciale dell’Artigianato, la quale, nel caso di specie, ha riconosciuto tale natura iscrivendo nell’apposito albo la società ricorrente.
L’art 7 della citata legge prevede infatti che "La commissione provinciale per l’artigianato di cui al successivo articolo 9, esaminate l’istruttoria e la certificazione comunale di cui all’articolo 63, quarto comma, lettera a), del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, delibera sulle eventuali iscrizioni, modificazioni e cancellazioni delle imprese artigiane dall’albo provinciale previsto dal precedente articolo 5, in relazione alla sussistenza, modificazione o perdita dei requisiti di cui ai precedenti articoli 2, 3, 4 e 5, terzo comma.
La decisione della commissione provinciale per l’artigianato va notificata all’interessato entro sessanta giorni dalla presentazione della domanda. La mancata comunicazione entro tale termine vale come accoglimento della domanda stessa.
La commissione, ai fini della verifica della sussistenza dei requisiti di cui ai precedenti articoli 2, 3, 4 e 5, terzo comma, ha facoltà di disporre accertamenti d’ufficio ed effettua ogni trenta mesi la revisione dell’albo provinciale delle imprese artigiane (…)”.
[19] ) Le parti potrebbero agire in giudizio esclusivamente per far accertare l’erronea qualificazione del programma negoziale da parte dell’organo preposto alla certificazione e la difformità tra il programma negoziale effettivamente realizzato dalle parti e il programma negoziale concordato dalle parti in sede di certificazione. Negli altri casi, la certificazione dovrebbe, in via preventiva, evitare il contenzioso. All’ente certificatore, ad ogni modo, viene attribuita, nelle previsioni del legislatore delegante, anche una competenza in materia di conciliazione stragiudiziale che, ad oggi, è riservata in via esclusiva alla Commissione Provinciale di Conciliazione istituita presso l’Ufficio Provinciale del Lavoro e della Massima Occupazione. Lo stesso, infatti, prevede di far espletare il tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dall’articolo 410 del Codice di Procedura Civile, innanzi all’organo preposto alla certificazione quando si intenda impugnare l’erronea qualificazione dello stesso o la difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione, prevedendo che gli effetti dell’accertamento svolto dall’organo preposto alla certificazione permangano fino al momento in cui venga provata l’erronea qualificazione del programma negoziale o la difformità tra il programma negoziale concordato dalle parti in sede di certificazione e il programma attuato.
[20] ) Particolare rilevanza viene data a questa fase se lo stesso legislatore ritiene necessario precisare che nel caso in cui, fallita la conciliazione, si introduca il giudizio, si deve prevedere l’"introduzione dell’obbligo in capo all’autorità giudiziaria competente di accertare anche le dichiarazioni e il comportamento tenuto dalle parti davanti all’organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro";
[21] ) Sul punto vedi Gentile F. Ordinamento giuridico tra virtualità e realtà, Padova, 2001 pg. 81 e segg
[22] ) Gentile F. Ordinamento giuridico tra virtualità e realtà, Padova, 2001 pg. 86
[23] ) E così nascono (anche) i problemi interpretativi e applicativi. Non si comprende, per esempio, sempre nel caso del job sharing, come vada regolata la sostituzione di un lavoratore all’altro quando uno dei due sia in malattia; non si comprende, poi, la regolamentazione dello straordinario, quando il datore di lavoro lo chieda, sia in termini di obbligo che di retribuzione.
[24] ) Sul punto, chiaro e corrispondente era l’originario (poi smarrito) intento di riforma illustrato nel Libro Bianco (ispirato dall’insegnamento di Biagi): Occorre precisare che il riconoscimento di questi diritti fondamentali a tutti i lavoratori che svolgano prestazioni a favore di terzi (datori di lavoro, imprenditori, enti pubblici, committenti, etc.) non risponde solo edesclusivamente a istanze di tutela della posizione contrattuale e della persona del lavoratore. E’ vero anzi che il riconoscimento di standard minimali di tutela a beneficio di tutti i lavoratori rappresenta — oggi più che nel passato — anche una garanzia dei regimi di concorrenza tra i soggetti economici, arginando forme di competizione basate su fenomeni di dumping sociale (dal lavoro nero tout court a forme di sfruttamento del lavoro minorile, etc.). Partendo dunque dalle regole fondamentali, applicabili a tutti i rapporti di lavoro a favore di terzi, quale che sia la qualificazione giuridica del rapporto, è poi possibile immaginare, per ulteriori istituti del diritto del lavoro, campi di applicazione sempre più circoscritti e delimitati, operando un’opportuna graduazione e diversificazione delle tutele in ragione delle materie di volta in volta considerate e non (come nel vecchio ordinamento) a seconda delle tipologie contrattuali di volta in volta considerate. Dunque non si tratta di sommare al nucleo esistente delle tutele previste per il lavoro dipendente un nuovo corpo normativo a tutela dei nuovi lavori (ivi comprese le collaborazioni coordinate e continuative).(…)
Individuato, dunque, un nucleo essenziale di norme e di principi inderogabili (soprattutto di specificazione del dettato costituzionale), comuni a tutti i rapporti negoziali aventi ad oggetto esecuzione di attività lavorativa in qualunque forma prestata, occorrerà procedere a una rimodulazione delle tutele caratteristiche del lavoro dipendente. Al di sopra di questo nucleo minimo di norme inderogabili, sembra opportuno lasciare ampio spazio all’autonomia collettiva e individuale, ipotizzando una gamma di diritti inderogabili relativi, disponibili a livello collettivo o anche individuale (a seconda del tipo di diritto in questione).
A ciò dovrà aggiungersi un corrispondente riassetto delle prestazioni previdenziali. L’avvicinamento dei regimi previdenziali contribuirebbe peraltro a sdrammatizzare il problema qualificatorio delle singole fattispecie.