Le radici comunitarie della riforma italiana del mercato del lavoro
La perduta occasione di una autentica sussidiarietà
di Torquato G. Tasso
Il Libro bianco, è, infatti, una sorta di genere letterario che ha avuto precedenti radicati nell’esperienza europea e, in particolare, nel mondo anglosassone. Con esso un governo presenta il proprio programma (sotto forma di progetto) in un settore determinato della sua azione: programma che intende, successivamente, arricchire con i suggerimenti ed i contributi scaturenti dal dialogo con le parti sociali, prima di formulare le proposte legislative, concrete e dettagliate.
Un Libro Bianco è, quindi, una forma di contrattazione preventiva che dovrebbe avere come obiettivo quello di ridurre il conflitto sociale in relazione alle riforme legislative di settore.
Già da un punto di vista metodologico, quindi, la riforma italiana si poneva in una ottica internazionale europea, attingendo alla consolidata tradizione specie anglosassone.
[6] ) "Tuttavia, l’Italia, con un tasso di occupazione che nel 2000 è ancora al 53,5%, sconta un ritardo pesante rispetto a tutti gli altri paesi europei. La causa principale del gap italiano è ascrivibile al Mezzogiorno, che dista dagli attuali livelli medi UE di oltre venti punti percentuali sia per il totale sia per la componente femminile. Nondimeno, anche nelle regioni del Centro-Nord i livelli occupazionali rimangono inferiori rispetto ai livelli medi dell’UE (59,9% contro 63,3% per il totale e 48% contro 53,4% per la componente femminile).
Il divario territoriale deve essere sommato ai problemi di carattere generazionale. Le prospettive dei giovani per un rapido accesso al mercato del lavoro, pure se migliorate negli ultimi anni grazie alle maggiori flessibilità disponibili appaiono ancora contraddistinte da difficili processi di transizione dalla scuola al lavoro, dal lavoro alla formazione e dalla formazione al lavoro. I lavoratori anziani, penalizzati dagli scarsi incentivi alla prosecuzione dell’attività lavorativa e che non appaiono beneficiare delle tipologie contrattuali flessibili adottate, continuano a ridurre la loro quota ufficiale nella popolazione lavorativa.
Le donne, per le quali la crescita occupazionale nell’ultimo quinquennio è stata più consistente, specie nel Centro-Nord, continuano a soffrire di una difficile condizione di accesso e di permanenza sul mercato del lavoro".
[7] ) "Sulla dimensione dei divari occupazionali complessivi rispetto ai risultati attuali, e ancora di più rispetto agli obiettivi programmatici dell’Unione Europea nel suo insieme, continua ad incidere pesantemente la situazione del Mezzogiorno. Va peraltro detto che nell’ultimo biennio sono emersi nell’area segnali incoraggianti, pur se ancora piuttosto timidi, anche per quanto attiene alla componente femminile.
E’ da segnalare come il contributo del lavoro atipico all’aumento dell’occupazione, particolarmente elevato nel corso del 2000, si è progressivamente ridotto nel corso del 2001, mentre è aumentata la quota di lavoro a tempo indeterminato (2,6 per cento).
Questa inversione di tendenza può essere in parte attribuita agli effetti della legge 388/00 relativa al credito di imposta, che incentiva le assunzioni a tempo indeterminato, e in parte al processo di naturale trasformazione dei contratti atipici. Di conseguenza, l’incidenza complessiva di queste ultime forme contrattuali continua ad essere largamente inferiore alla media europea.
Forte continua ad essere la quota di lavoro autonomo presente in Italia nonché la crescita dell’occupazione nelle piccole e medie imprese: circa il 30 per cento dei lavoratori dipendenti risulta impiegato nelle imprese di dimensioni non superiori ai 15 dipendenti. Lo sviluppo e il rafforzamento di queste caratteristiche segnalano l’importanza di un tessuto di micro imprenditorialità fortemente legata al territorio e alle sue dinamiche. Nel contempo, però, sono il segnale di una regolazione inefficiente che spesso ostacola la crescita dimensionale delle imprese e ne indebolisce la capacità competitiva”.
[8] ) La qualità del lavoro è un argomento molto sentito nell’Unione Europea. Il Consiglio europeo di Lisbona (2000) e quello di Stoccolma (2001) hanno evidenziato l’importanza del tema dei more and better jobs per permettere la realizzazione di un effettivo progresso verso occasioni di migliore qualità per il lavoratore evitando così l’esclusione sociale e la disoccupazione, specie se di lunga durata.
Le proposte della Commissione Europea sono contenute in una comunicazione dal titolo Employment and social policies: a framework for investing in quality, indirizzata al Consiglio ed al Parlamento europeo in vista del Consiglio Europeo di Laeken.
[9] ) Si riporta, per completezza d’indagine, uno stralcio della Legge 21 aprile 2000 n. 181 così come modificata dal Decreto legislativo 19 dicembre 2002 n. 297. – Disposizioni per agevolare l’incontro fra domanda ed offerta di lavoro, in attuazione dell’art. 45, comma 1, lettera a), della legge 17 maggio 1999, n. 144 che già, poco prima, era intervenuto ad apportare ulteriori modifiche alla materia:.
Articolo 1 Finalità e definizioni.
1. Le disposizioni contenute nel presente decreto stabiliscono:
a) i princìpi fondamentali per l’esercizio della potestà legislativa delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano in materia di revisione e razionalizzazione delle procedure di collocamento, nel rispetto di quanto previsto dal decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, in funzione del miglioramento dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro e con la valorizzazione degli strumenti di informatizzazione;
b) i princìpi per l’individuazione dei soggetti potenziali destinatari di misure di promozione all’inserimento nel mercato del lavoro, definendone le condizioni di disoccupazione secondo gli indirizzi comunitari intesi a promuovere strategie preventive della disoccupazione giovanile e della disoccupazione di lunga durata (…) (1).
(1) Art. 1 sostituito dall’art. 1, d.lg. 19 dicembre 2002, n. 297. Vedi, anche, il comma 2 dell’art. 3 dello stesso decreto.
(…) Articolo 3 Indirizzi generali ai servizi per l’impiego ai fini della prevenzione della disoccupazione di lunga durata.
1. Le Regioni definiscono gli obiettivi e gli indirizzi operativi delle azioni che i servizi competenti, di cui all’articolo 1, comma 2, lettera g), effettuano al fine di favorire l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e contrastare la disoccupazione di lunga durata, sottoponendo i soggetti di cui all’articolo 1, comma 2, ad interviste periodiche e ad altre misure di politica attiva secondo le modalità definite ed offrendo almeno i seguenti interventi:
a) colloquio di orientamento entro tre mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione;
b) proposta di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo o di formazione o di riqualificazione professionale od altra misura che favorisca l’integrazione professionale:
1) nei confronti degli adolescenti, dei giovani e delle donne in cerca di reinserimento lavorativo, non oltre quattro mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione;
2) nei confronti degli altri soggetti a rischio di disoccupazione di lunga durata, non oltre sei mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione (1).
(1) Articolo così sostituito dall’art. 4, d.lg. 19 dicembre 2002, n. 297.
(Articolo 4 Perdita dello stato di disoccupazione.
1. Le Regioni stabiliscono i criteri per l’adozione da parte dei servizi competenti di procedure uniformi in materia di accertamento dello stato di disoccupazione sulla base dei seguenti princìpi:
a) conservazione dello stato di disoccupazione a seguito di svolgimento di attività lavorativa tale da assicurare un reddito annuale non superiore al reddito minimo personale escluso da imposizione. Tale soglia di reddito non si applica ai soggetti di cui all’articolo 8, commi 2 e 3, del decreto legislativo 1° dicembre 1997, n. 468;
b) perdita dello stato di disoccupazione in caso di mancata presentazione senza giustificato motivo alla convocazione del servizio competente nell’àmbito delle misure di prevenzione di cui all’articolo 3;
c) perdita dello stato di disoccupazione in caso di rifiuto senza giustificato motivo di una congrua offerta di lavoro a tempo pieno ed indeterminato o determinato o di lavoro temporaneo ai sensi della legge 24 giugno 1997, n. 196, con durata del contratto a termine o, rispettivamente, della missione, in entrambi i casi superiore almeno a otto mesi, ovvero a quattro mesi se si tratta di giovani, nell’àmbito dei bacini, distanza dal domicilio e tempi di trasporto con mezzi pubblici, stabiliti dalle Regioni;
d) sospensione dello stato di disoccupazione in caso di accettazione di un’offerta di lavoro a tempo determinato o di lavoro temporaneo di durata inferiore a otto mesi, ovvero di quattro mesi se si tratta di giovani (1).
(1) Articolo così sostituito dall’art. 5, d.lg. 19 dicembre 2002, n. 297.
Articolo 4 bis Modalità di assunzione e adempimenti successivi.