Letture sulla Giurisprudenza[1].
Diritto e giuristi, oggi
di Andrea Favaro
[21] Leggi “animi dubbiosi” (M. PLANCK, La conoscenza del mondo fisico, tr. it. e cura di E. Persico, III ed., Einaudi, Torino 1943, p. 291).
[22] M. PLANCK, La conoscenza del mondo fisico, cit., p. 292. In questa prospettiva pare interessante anche una asserzione di J-H. POINCARE’ «Gli uomini non si capiscono perché non parlano la stessa lingua e perché ci sono lingue che non si imparano. (…) Quando si tratta di sapere se un teorema possa avere un senso senza essere verificabile, chi potrà giudicare, dato che per definizione ci si impedisce di verificare? Non ci sarebbe altra risorsa che ridurre il proprio avversario ad una contraddizione. Ma l’esperimento è stato fatto e non ha dato risultati» (J-H. POINCARE’, Le mathematiques et la logique, in “Dernières Pensées” (cap. V), Flammarion, Parigi 1913, (tr. it. di F. Acerbi), “La matematica e la logica” in «Koinè», nn.1-2/2002, p. 253).
[23] M. PLANCK, La conoscenza del mondo fisico, cit., p. 292. Il professore di fisica teorica a Berlino prosegue asserendo che il pericolo «più grave che possa minacciare uno scienziato e di cui non si può tacere» è «il pericolo che i materiali di cui si dispone invece di essere correttamente interpretato sia interpretato in modo partigiano o addirittura ignorato. Allora la scienza si trasforma in pseudo-scienza, in una costruzione vuota che crolla al primo violento urto. Di fronte a questa pericolo che già fatto e innumerevoli vittime fra giovani e vecchi scienziati entusiasti delle loro convinzioni scientifiche, (…), non c’è chi una difesa efficace: il rispetto dei fatti» (Op. cit., pp. 294-295).
[24] Invero, le scienze che si fondano sull’astrazione cercano l’essenza delle cose, da cui procedere all’analisi delle proprietà del proprio oggetto e così costruire l’edificio scientifico delle dimostrazioni e conclusioni in cui si manifesta e si espande la virtualità dell’essenza stessa.
[25] Utili sul punto le disamine del Casa circa gli studi sulla giurisprudenza del Leoni e le sue ricerche sui confini tra razionale e irrazionale nella scienza del diritto (cfr. F. CASA, Sulla giurisprudenza come scienza, cit., soprattutto pp. 284-288). Nonché, sempre sulle teoresi leonina, cfr. il recentissimo contributo di C. LOTTIERI, Le ragioni del diritto. Libertà individuale e ordine giuridico nel pensiero di Bruno Leoni, Rubbettino – L.Facco, Soveria Mannelli 2006, pp. 100-119.
[26] In questa prospettiva pare potersi inserire il richiamo alla “dotta ignoranza” adottato anche da Ugo Pagallo nelle sue ultime fatiche: cfr. U. PAGALLO, Teoria giuridica della complessità, Giappichelli, Torino 2006, pp. 115-135 dove peraltro è chiaro il richiamo al doveroso sforzo umano del conoscere per il conoscere, comunque, poiché «occorre cercare di capire come funziona il diritto, l’economia e, in genere, la società, partendo da “la natura e la portata della nostra ignoranza nei suoi riguardi, benchè non sia possibile vedere nel buio, dobbiamo riuscire a tracciare i limiti delle aree buie”» (Op. cit., p. 113 – corsivo nostro, dove viene espressis verbis mutuato F.A. HAYEK, La società libera [1960], tr. it., Seam, Milano 1999, p. 54); nonché ID., Postfazione, in G. CHAITIN, Teoria algoritmica della complessità, Giappichelli, Torino 2006, in specie pp. 87-102).
[27] U. PAGALLO, Introduzione alla filosofia digitale. Da Leibniz a Chaitin, Giappichelli, Torino 2005, p.129 – corsivo nostro – (la citazione è expressis verbis recuperata da PLATONE, Leggi, tr. it. a cura di A. Zadro, in “Opere complete”, Laterza, Bari-Roma 2001, vol.VII, 903 B-C, p.342).
[28] Cfr. soprattutto, il capitolo sugli studi di teoria generale e dogmatica (F. CASA, Sulla giurisprudenza come scienza, cit., pp. 113-173).
[29] Abbiamo mutuato il giudizio di S. COTTA, Il valore del sistema, in «Diritto e Società», 1984, p. 402.
[30] Vedasi S. COTTA, Il valore del sistema, cit., p. 399, dove l’autore afferma che, a causa della ipertrofia legislativa, «l’oggetto diritto sta diventando un oggetto misterioso». Stesso appellativo è utilizzato per descrivere, criticandolo, il sistema legislativo a tutela dei diritti umani, da F. GENTILE, La selva dei diritti dell’uomo, in Intelligenza politica e Ragion di stato, Giuffrè, Milano 1984, pp. 73-96; tema questo ripreso dall’autore in ID., Sulle aporie dei c.d. “diritti umani” equivoci e paradossi delle Dichiarazioni, dalla statunitense del 1976, in ID., Politica aut/et statistica, cit., pp. 157-168.
[31] Cfr. PLATONE, Politico, cit., 294 a-b. Ivi, Platone aggiunge «le differenze degli uomini e delle azioni, e il fatto che, per così dire, mai nessuna delle cose umane è immobile in riposo, non permettono che una qualunque arte in nessuna occasione enunci una norma semplice e valida in ogni caso e per ogni tempo» Proprio per il fatto che l’uomo può attingere alla prudenza regia solo tramite mediazioni successive e sempre provvisorie, appare il ruolo della legge, la quale, con la sua fissità, indi positività, che lo fa rassomigliare «ad un uomo prepotente e ignorante, che a nessuno permette di fare qualcosa contro i suoi ordini» (Politico, 294-c) consente agli uomini in società di praticare «quella suprema forma di giustizia che si accompagna con l’intelligenza e la ragione, che non soltanto li protegge, ma da peggiori che erano li fa diventare (…) migliori».
[32] Cfr. PLATONE, Leggi, cit., IX , 875c-d. (il corsivo è nostro).
[33] Interessanti, in questo senso, le note critiche che il Grossi riesce a far emergere nel capitolo circa “Ripensamenti e rinnovamenti dottrinali degli anni trenta”, in P. GROSSI, Scienza giuridica italiana, cit., p. 236 ove si legge: «La visione individualistica del contratto era in crisi da tempo (…) e comincia a maturare la innovativa riflessione di Emilio Betti sul tema generale del negozio giuridico (…) come regolamentazione di interessi socialmente rilevanti” costituendo “il tentativo riuscito di superare il principio della sovranità dell’individuo in nome di un più comprensivo ideale di solidarietà sociale, designando una autonomia privata che non si esaurisce in un fatto psicologico individuale, che attiene invece alla vita di relazione». Di seguito il Grossi, provocatoriamente, rileva la diatriba sulla natura “contrattuale” del c.d. “contratto collettivo” mutuando il giudizio in tema di Francesco Cornelutti: «Insomma il contratto, diventando collettivo resta ancora un contratto?» e proseguendo «giacché il contratto collettivo, contratto normativo, da quell’autocomando che sembra essere la quiddità di ogni fattispecie contrattuale, si è cambiato in un eterocomando» (cfr. ID., Op. cit., pp. 237-238).
[34] Cfr. A. ASQUINI, L’unità del diritto commerciale e i moderni orientamenti corporativi, ora in ID., Scritti giuridici, vol. I, p. 52, citato in P. GROSSI, Scienza giuridica italiana, cit., p. 238.
[35] Anche, rectius soprattutto, per quest’ordine di motivazioni, riteniamo che non porti a nessun risultato se non ad aporie, qualsiasi teoria che, a partire da Hobbes, abbia professato una scienza pura del diritto, se per pura si intenda una scienza formale, avalutativa, divisa dall’esperienza giuridica.
[36] Pare indicativo rilevare che pure lo Hobbes si era reso conto di tale assunto quando afferma che «mentre la sensazione e la memoria sono soltanto conoscenza del fatto (…), la scienza è la conoscenza delle conseguenza, della dipendenza di un fatto da un altro. Per suo mezzo, muovendo da quanto possiamo fare al presente, sappiamo come fare qualcosa d’altro quando lo vorremo, o qualcosa di simile in un altro momento» (cfr. T. HOBBES, Leviatano, cit., pp. 38-39).
[37] PLATONE, Minosse, 313c-314b, trad. it. di R. Radice, in Tutti gli scritti, a cura di G. Reale, cit., p. 1437.
[38] Cfr. quanto afferma circa la razionalità del diritto e alcune sue interpretazioni L. CAIANI, La filosofia dei giuristi italiani, cit., pp. 40-58.
[39] Cfr., inter alios, N. IRTI – E. SEVERINO, Dialogo su diritto e tecnica, Roma-Bari 2001, passim, e la critica alla stessa impostazione, sia del filosofo sia del civilista, che propone U. PAGALLO, Alle fonti del diritto. Mito, Scienza, Filosofia, cit., pp. 9-13.
[40] Vedansi, a guisa di prosecuzione anche della disamina di L. CAIANI, La filosofia dei giuristi italiani, cit., passim, B. ROMANO, Fondamentalismo funzionale e nichilismo giuridico, Giappichelli, Torino 2004; ID., Scienza giuridica senza giurista, cit.; nonché il già a tutti noto N. IRTI, Nichilismo giuridico, Laterza, Roma-Bari, 2004; ma vedasi pure la posizione di O. DE BERTOLIS, Il “Nichilismo giuridico”, in «La Civiltà Cattolica», 156/3 (2005) pp. 399-410; nel recente passato vedasi, A. CARRINO, Esperienza giuridica e nichilismo, in «Democrazia e diritto» 1987, soprattutto pp. 297-298.
[41] Per un approfondimento e al contempo per una disamina dell’applicazione al diritto della teoria popperiana, vedasi A.M. CAMPANALE, Razionalità scientifica e razionalità giuridica. Profili introduttivi, Giappichelli, Torino 2005, pp. 107-169.
[42] In effetti, è di per sé parziale perché non esplica la domanda di fondo, perché nemmeno se la pone: perché la cd. “crisi del diritto”? In effetti la elaborazione, come la creazione, del diritto è operata da legislatori (e giuristi), “in virtù” parrebbe dell’ordinata convivenza degli uomini, viene tracciata come opera della ragione, ma soprattutto perché la sua essenza intrinseca pare risiedere nella radice intellettuale dell’uomo e nella sua capacità di ridurre, parafrasando Hegel, il reale a razionale allo scopo di fornire concrete risposte ai problemi dell’esperienza (comune).
[43] F. CASA, Sulla giurisprudenza come scienza, cit., p. 394.
[44] Cfr. P. GROSSI, Scienza giuridica italiana, cit., pp. 276-277.
[45] Cfr. P. GROSSI, Scienza giuridica italiana, cit., p. 281.