Letture sulla Giurisprudenza[1].
Diritto e giuristi, oggi
di Andrea Favaro

[4] P. GROSSI, Scienza giuridica italiana. Un profilo storico 1860-1950, cit., p. XVI (corsivo nostro). Utili e curiosi sono due osservazioni. Innanzi tutto, sebbene i precisi e comuni richiami testuali farebbero pensare altrimenti, il Grossi non fa mai menzione esplicita dell’opera del Caiani. Inoltre, nel prosieguo si vedrà come la tematica, seppur affrontata da studiosi di discipline giuridiche certamente non contigue, è sviscerata utilizzando metodi simili e soprattutto con la comune preoccupazione sia del filosofo che dello storico di guardare dentro la scienza del diritto positivo, non per questo del positivismo, accorgendosi di essere in una posizione al contempo privilegiata ed estranea.

[5] F. CASA, Sulla giurisprudenza come scienza, cit..

[6] F. CASA, Sulla giurisprudenza come scienza, cit., la nota 89 a p. 29 dove, recuperando E. FAZZALARI, Conoscenza e valori. Saggi, Giappichelli, Torino 2004, pp. 25-26, esplica tutta la sua peculiare attenzione al contributo del giurista inteso però non come «teorico del diritto» nemmeno come «scienziato del diritto», quanto invece come «colui che partecipa al dibattito [anche] de iure condendo».

[7] Le antinomie e i paradossi della filosofia e della scienza del diritto non sono, così, che aspetti particolari e peculiari delle antinomie e dei paradossi della cultura contemporanea; e attestano tuttavia un punto non contestabile: che filosofia e scienza del diritto sono congiuntamente, anche se diversamente, connesse ai moti che agitano la condizione e la vita degli uomini, e alla delineazione del principio dialettico, e del senso della processualità storica, che a quei moti dovrebbe presiedere. Cfr. B. ROMANO, Scienza giuridica senza giurista: il nichilismo perfetto, Giappichelli, Torino 2006 ove si legge anche che «Il processo culturale proprio della fine della Filosofia e della Filosofia del diritto ha il suo nucleo nella “spiegazione scientifica dell’uomo”» (Op. cit., p. 17).

[8] Circa una disamina sulla funzione del diritto, interessanti rimangono le osservazioni di S. COTTA, Ha il diritto una funzione propria? (Linee di un’analisi onto-fenomenologica), in «Rivista Internazionale di Filosofia del Diritto», 1973, pp. 398-412. Si confronti con N. BOBBIO, Dalla struttura alla funzione. Nuovi studi di teoria del diritto, Comunità, Milano 1977.

[9] Come dimostrano gli stessi autori dai quali abbiamo preso le mosse. Dapprima il Caiani (cfr. L. CAIANI, La filosofia dei giuristi italiani, cit., passim) che sviluppa le sue meditazioni da teorico generale partecipando dell’esperienza propria del Carnelutti (pp. 79-111), del Satta, del Calamandrei, del Capograssi (pp. 113-128), dello Ascarelli (pp. 129-162), nonché del Betti (163-199). Negli ultimi scorci del secolo scorso il Grossi (cfr. P. GROSSI, Scienza giuridica italiana, cit., passim) ugualmente appronta il suo affresco sulla scienza giuridica italiana dipanando un’immensa matassa di sapere giuridico (pratico) raffigurato da studiosi del calibro di, inter alios, Chironi, Polacco, Orlando, Vivante, Mortara, Coviello, Messina, Romano, Rocco, Manzini, Chiovenda, Carnelutti, Jemolo, Calamandrei, Ascarelli, Panunzio, Asquini, Mossa, Giannini, Santoro-Passarelli, Miele, Satta, Bettiol, Antolisei, Ruffini, D’Avack, Pugliatti, Mortati, Esposito, Betti. In vista dell’alba del secondo lustro del XXI secolo, infine, il Casa raccoglie la sfida e per parlare di “giurisprudenza” raffigurata «come la “Jurisprudenz” della cultura giuridica tedesca, intesa come dogmatica scientifica del diritto» (cfr. F. CASA, Sulla giurisprudenza come scienza, cit., p. 408) offre la lettura comparata, diremmo, di analisi filosofiche e di diritto positivo quali, a mero titolo esemplificativo, quelle di Carnelutti, Jemolo, Pugliatti, Gorla, Asquini e Maggiore.

[10] P. GROSSI, Scienza giuridica italiana, cit., p. 22. Lo storico prosegue asserendo «e di farlo elevando il tono della voce. I tempi appaiono fertili anche se molti semi si isteriliranno e avranno vita nascosta o attecchiranno tardi».

[11] Carattere ontologico, questo, che non può essere rintracciato nella concezione giuridica del positivismo. Poiché avviene per il giuspositivismo, nell’ambito che gli è proprio, ciò che avviene per la scienza in generale; e cioè, in quanto sapere convenzionale, di attribuire a presupposti metodologici e logici un rilievo talmente alto e una portata così determinante per il significato della scienza, da disconoscere ogni problematica in essa esistente e concernente il rapporto con la realtà e con l’esperienza del diritto globalmente considerata. E si propone ancora il problema del rapporto tra scienza del diritto e filosofia del diritto, nell’ambito del generale problema dei rapporti tra scienza e filosofia, come problema della funzione autonoma della scienza e come ricerca, cui essa è chiamata, del senso specifico e della portata dell’esperienza giuridica e del suo principio, da un lato, e come configurazione, dall’altro, della filosofia del diritto quale coscienza vigile di quel senso e di quella autonomia. Sul concetto di convenzionalità del sapere scientifico, basata sul carattere ipotetico e non problematico, cfr. F. GENTILE, Filosofia e scienza del diritto, Pubblicazioni dell’Accademia Militare, Modena 1988, il quale afferma che è proprio del sapere scientifico «lanciare ipotesi attorno cui coagulare l’esperienza stessa» (il corsivo è nostro). Nel testo si cita anche l’affermazione di Einstein, secondo il quale «una teoria può solo essere inventata», indi si comprende bene come nella formulazione delle “presunzioni generali”, id est teorie scientifiche, sussiste un assoluto, ma soprattutto necessario, rifiuto della problematizzazione. Il tema è recuperato a più riprese dal Casa nella Sua ultima fatica (cfr. F. CASA, Sulla giurisprudenza come scienza, cit., in particolare pp. 31, 39-40 e passim).

[12] P. FILIASI CARCANO, Epistemologia delle scienze umane, in «Giornale critico della filosofia italiana», LV (1976), p. 166.

[13] Per un approfondimento della deriva “virtuale” che assumerebbe l’intero ordinamento giuridico secondo l’impostazione della geometria legale, vedasi F. GENTILE, Ordinamento giuridico tra virtualità e realtà, III ed., Cedam, Padova 2005, soprattutto pp. 1-37. Per quella che potrebbe essere una sorta di evoluzione della cifra critica gentiliana messa alla prova dell’influsso in ambito socio-giuridico delle nuove tecnologie, vedasi la definizione che Pagallo offre di “virtualità al quadrato” come metafora della idea di ordinamento giuridico come “strumentalità raddoppiata” (cfr. U. PAGALLO, Introduzione, in ID. (a cura di), Prolegomeni d’informatica giuridica, Cedam, Padova 2003, pp. 6-12, ma soprattutto pp. 10-12).

[14] Il tema qui solo accennato meriterebbe una più approfondita riflessione che la brevità della presente disamina non permette.

[15] Sul tema dell’antigiuridismo contemporaneo si veda, inter alios, D. CASTELLANO, Razionalismo e diritti umani : dell’antifilosofia politico-giuridica della modernità, Giappichelli, Torino 2003; S. COTTA, Perché la violenza? Un’interpretazione filosofica, Japadre, L’Aquila 1978; sul nesso tra antigiuridismo, secolarizzazione e libertinismo si vedano D’AGOSTINO, Una filosofia della famiglia, Giuffré, Milano 1999.

[16] Sul tema dei limiti intrinseci dell’individualismo, estremamente valide sono le riflessioni del Gentile (cfr. F. GENTILE, Sull’aporia dell’individualismo ovvero dell’alienazione dell’uomo al mondo per la pretesa di dominarlo, in ID., Politica aut/et statistica, cit., pp. 178-181; nonché ID., Filosofia del diritto, Cedam, Padova 2006, pp. 135-142 ove semplice ed efficace è l’analisi per la quale «quando l’“unico” si accorge dell’esistenza di “qualche cosa d’altro”, cade nell’infelicità e desidera rimuovere l’“altro”, l’alterità, mediante assimilazione» (Op. cit., p. 136) ed ancora «Si badi bene che l’idea di risolvere il rapporto dell’io con ciò che gli sta attorno, sottoponendolo al proprio potere, non è qualche cosa di patologico oppure di fisiologico, ma è perfettamente fisiologico, logico, coerente con la costruzione dell’uomo come “unico”» (Op. cit., p. 137).

[17] Concetto quello di “pretesa” che in ambito giuridico italiano ha avuto tra i suoi più qualificati propugnatori Bruno Leoni (cfr., inter alios, B. LEONI, Freedom and the Law, III ed. foreword by A. Kemp, Liberty Fund, Indianapolis 1991; nonché ID., Law as Claim of the Individual, in «Archiv für Rechts und Sozialphilosophie», 1964, pp. 45-58).

[18] Su cui vedasi pure J. HABERMAS, Il discorso filosofico della modernità, tr. it., Laterza, Bari 1987, pp. 357 s.; e pure S. COTTA, Il diritto nell’esistenza. Linee di ontofenomenologia giuridica, Giuffré, Milano 1991, pp. 42 ss.

[19] Si mostrerebbe alquanto superficiale in questa sede una compiuta analisi del concetto di “diritto naturale”, per il quale ci limitiamo a rimandare il lettore a: F. GENTILE, Su natura e diritto ovvero della difficile intercettazione di un U.F.O.: il diritto naturale, in ID., Politica aut/et statistica, cit., pp. 199-209; ID., Su di una nuova pedagogia del diritto naturale, in ID., Ordinamento giuridico, cit., pp. 149-170; nonché J. HERVADA, Introduzione critica al diritto naturale, Giuffrè, Milano 1990, soprattutto per la disamina puntuale al cap. VIII circa “la scienza del diritto naturale” (pp. 193-199); U. PAGALLO, Modelli dell’imperituro, ma anche Paradigma classico, modello geometrico, in ID., Alle fonti del diritto. Mito, scienza, filosofia, Giappichelli, Torino 2002, pp. 231-239 e 62-69; M. VILLEY, Dialectique et droit naturel, in “Rivista internazionale di Filosofia del diritto” (1973), pp. 821-831. É opportuno, comunque, sviscerare cosa si intenda con il riferimento al concetto di “natura” (non ipotetico). Doveroso è rammentare che domandarsi cos’è “natura”, non «concerne la conoscenza della natura nella guisa in cui si conoscono o si cercano le cose-della-natura, supponendone il concetto e situandosi all’interno dell’orizzonte che esso presigna» (cfr. G.R. BACCHIN, Natura e naturalismo, in Anypotheton, Roma 1975, p. 286) altrimenti si corre l’inevitabile rischio della deriva “geometrica” perché quel che ci chiediamo è cos’è la “natura” in senso filosofico, e con l’apparato concettuale precipuo di questo, e non scientifico (per un primo approfondimento vedasi R.M. PIZZORNI, Sulla nozione di diritto naturale, in «Aquinas» 1970, pp. 113 s.). Dunque, assolta la summentovata precisazione metodologica, se la parola latina “natura” appartiene alla medesima area semantica di “nascor, natio, natus,” nel termine greco physis possiamo cogliere una radice sanscrita bhu, rappresentata nelle principali lingue indo-europee, il cui significato primo è crescere, svilupparsi. «Anche dalla lingua greca (…), deriva un’idea di natura come continuo autosviluppo, come materia-mater» (cfr., per lo studio di cui supra, R. FASSA, Quale giusnaturalismo? Problemi e ambiguità di un ritorno in «Fenomenologia e Società» (10), 1987, pp. 23 s.). Dalle profondità degli strati semantici della nostra lingua, echi di civiltà antiche delle quali spesso ci scopriamo debitori, emerge un concetto di natura come pregnanza di forze e quindi come qualcosa che le scienza naturali (appunto) possono studiare. Ma la “scossa” alla concezione stessa del termine (in base alla quale ci potremmo collegare alla concezione di un diritto naturale “dinamicamente evolventesi” nell’esperienza umana) ci viene offerta da ARISTOTELE, Fisica, A 2, 185° 12 (tr. it. di L. Ruggiu) Milano 1995, il quale riflette sulla realtà per cui «noi poniamo come assunto di fondo della nostra indagine che le cose che esistano per natura, o tutte o alcune, sono in movimento: questo è attestato dall’esperienza». Per questo se si vuol davvero indagare il concetto di “natura” e nel contempo non si vuol essere avviluppati nell’intrico scientificamente convenzionale, si deve essere pienamente accorti nel comprendere che la kìnesis, il movimento è decisivo nell’enucleazione del concetto di physis (peraltro tale, in sunto, è quanto afferma M. HEIDEGGER, Segnavia, Adelphi, Milano 1987, dove il filosofo tedesco vede, con accezione attinente al “Motore”, «nell’esser mosso (…) il modo fondamentale dell’essere» (Op. cit., p. 197).

[20] Cfr. P. GROSSI, Scienza giuridica italiana, cit., p. 276. Lo storico fiorentino prosegue di seguito asserendo che «torna il rilievo, fatto tanti anni prima [il rimando è agli anni venti e trenta del secolo scorso] della complessità dell’universo giuridico, della sua irriducibilità a linee troppo semplici, della innaturale riduzione disinvoltamente perpetrata, con il costo conseguente a ogni operazione snaturante».

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