Figure dell’ordinamento.
Dalla piramide alla rete, e oltre…
di Elvio Ancona

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Introduzione – Nel corso del Novecento, a partire dalle ricerche di Ivor Armostrong Richards (The Philosophy of Retoric, London 1936), la metafora si è trasformata da topos retorico in strumento di conoscenza, modalità efficace per rappresentare una visione del mondo.

Il suo studio si è pertanto rivelato prezioso per indagare, dal punto di vista delle loro implicazioni linguistiche, la storia delle idee.

Come è stato notato, in questo studio è raro osservare che alcune metafore subentrino d’un colpo ad altre, sostituendovisi completamente; “in genere – scrive una delle maggiori specialiste della metaforologia politica – si assiste a un lungo periodo di coesistenza di più campi metaforici tra loro, prima che a uno di essi riesca di scavalcare gli altri insendiandosi al loro posto” (F. Rigotti, Il potere e le sue metafore, Milano 1992, p. 204).

E’ quanto si sta verificando nel caso della rappresentazione dell’ordinamento politico-giuridico, dove l’attuale mutamento di paradigmi è efficacemente rappresentato dal lento ma inesorabile avvicendarsi di due immagini: quella della piramide e quella della rete (cfr. M. Losano, Diritto turbolento. Alla ricerca di nuovi paradigmi nei rapporti fra diritti nazionali e normative sovrastatali, “Riv. Intern. Filos. Diritto”, 2005, pp. 403-430; F. Ost, M. Van de Kerchove, De la piramide au réseau? Pour une théorie dialectique du droit, Bruxelles 2002). Come nota Ugo Pagallo in un saggio specificamente dedicato all’emergere dei nuovi paradigmi giuridici, nell’era della globalizzazione e della rivoluzione informatica inevitabilmente affiora anche “la crisi della metafora con cui Kelsen e, con lui, generazioni di studiosi di diritto positivo hanno voluto rappresentare la struttura formale e normativistica dell’ordinamento” (U. Pagallo, Introduzione a Prolegomeni d’informatica giuridica, Padova 2003, p. 25).

 

La concezione piramidale dell’ordinamento

Sotto l’influenza della “reine Rechtslehre” di Hans Kelsen, la piramide è divenuta il simbolo stesso del diritto.

Essa rappresenta efficacemente la concezione dell’ordinamento come “costruzione a gradini” (Stufenbau) che Kelsen, perfezionando alcune tesi di Adolf Merkl sviluppa compiutamente nella seconda delle sue opere maggiori, la Dottrina generale dello Stato (Allgemeine Staatslehre) del 1925.

Secondo questa concezione la validità di ogni norma (a partire da quelle che Kelsen chiama “norme individuali”, che sono gli atti amministrativi e giurisdizionali) deriva da una norma superiore. Così, per esempio, la sentenza di un tribunale è valida, ossia ha esistenza come norma, perché esiste un’altra norma che attribuisce validità alle sentenze dei tribunali; e questa seconda norma a sua volta è valida, perché posta in essere da organi ai quali la possibilità di emanare norme valide è attribuita da un’altra norma ancora, superiore ad essa.

Ma questo processo “a gradini”, per il quale ogni norma trova il proprio fondamento di validità in una norma superiore, non può essere infinito: al suo culmine deve esserci una “norma fondamentale” (Grundnorm), che sia il fondamento di validità di tutto il sistema di norme che costituisce un ordinamento giuridico (cfr. H. Kelsen, General Theory of Law and State, Cambridge (Mass.) 1945, trad. it. Milano 2000, p. 116).

La validità di una norma, pertanto, non dipende dal suo contenuto di giustizia, ma dal titolo formale di chi l’ha posta in essere, sulla base di un’ulteriore norma gerarchicamente sovraordinata, fino ad arrivare alla norma fondamentale, presupposta come valida.

La norma fondamentale, infatti, non è norma come lo sono tutte le altre norme presenti nell’ordinamento, “non è posta, ma ipotetica e presupposta” (Ivi, p. 408). Costituisce l’apriori della teoria pura del diritto, il cui compito è quello di rappresentare l’insieme degli imperativi del sovrano, sulla base di una convenzione, e dunque convenzionalmente, come sistema ordinato di norme valide, geometricamente disposto in virtù di una struttura razionale rigorosamente ipotetico-deduttiva.

“Ciò significa – afferma Francesco Gentile – che l’ordinamento giuridico non è reale, ma puramente virtuale. Non corrisponde a qualcosa di sostanziale, ma è una costruzione artificiale” (F. Gentile, L’ordinamento giuridico tra virtualità e realtà, 3. ed., Padova 2005, p. 9).

L’ordinamento assume così, in questa versione formale e virtuale, una struttura piramidale, per cui i rapporti gerarchici tra norme “attive” e “passive” del sistema giuridico, implicano, risalendo dalla base al vertice, un numero sempre più ridotto di norme sovraordinate, fino alla norma fondamentale, che è appunto unica (cfr. U. Pagallo, Alle fonti del diritto, Torino 2002, p. 110, n. 35).

Dalla piramide alla rete

Ai nostri giorni tuttavia, come osserva Mario Losano, riflettendo sui nuovi pardigmi dell’ordinamento, “nel ben calibrato ordinamento gerarchico della piramide, trova spiegazione soltanto una parte del diritto odierno, ma non tutto” (M. Losano, Diritto turbolento, cit., p. 427).

La concezione kelseniana della struttura gerarchica del diritto è stata infatti pensata per lo Stato nazionale sovrano del secolo XIX e della prima metà del secolo XX. A partire dalla metà del secolo XX il modello stato-centrico è stato però posto in crisi dallo sviluppo di poteri pubblici internazionali e organismi sovranazionali. Oggi il mondo è ormai pieno di ordinamenti ultrastatali e gli Stati nazionali hanno perso l’esclusiva della sovranità.

In un saggio significativamente intitolato “Gli Stati nella rete internazionale dei poteri pubblici” (pubblicato in S. Cassese, La crisi dello Stato, Roma-Bari 2002), Sabino Cassese, esaminando l’influenza sulla vita degli Stati dei nuovi poteri pubblici ultrastatali, considera quattro conseguenze:

1) Gli Stati sono condizionati, nell’esercizio della sovranità, da istituzioni superiori. Infatti qualunque decisione interna, dal settore postale a quello del trasporto aereo a quello ambientale, è condizionata dal rispetto di standards e criteri posti in sede internazionale o sovranazionale.

2) Gli Stati perdono l’esclusività delle loro funzioni, dovendo condividerle con altri organismi.

3) Gli apparati esecutivi statali, una volta organi di esecuzione di decisioni statali, divengono ora anche organi di esecuzione di decisioni di altri organismi.

4) Gli organi giudiziari nazionali si adeguano in vario modo all’esistenza di organi giudiziari superiori e divengono così potenti veicoli dell’attuazione del diritto sovranazionale all’interno degli Stati (cfr. Ivi, pp. 62-3).

Questa situazione determina “un nuovo assetto dei poteri pubblici” che assume l’aspetto di un “ordinamento su più livelli e a rete”: “In altre parole, – scrive l’insigne amministrativista – alla moltiplicazione dei poteri pubblici non ha fatto riscontro una loro gerarchizzazione, per cui ruoli, compiti e posizioni sono solo parzialmente definiti; non vi sono chiare linee di confine per aree o materie, ma interdipendenza strutturale e funzionale; le procedure non sono sequenze articolate lungo chiare linee di autorità, ma azioni svolte a supporto reciproco” (Ivi, p. 64).

Questo mondo meno razionale (ma ancor più dominato dal diritto di quanto non lo fossero gli Stati) tende lentamente a sostituirsi al modello Westfalia, secondo il quale soggetti del diritto internazionale erano solo gli Stati e i principi della sovranità degli Stati e della loro eguaglianza giuridica erano assoluti. Se il modello di Westfalia aveva ridotto il numero dei poteri pubblici (basti pensare che gli oltre 500 poteri pubblici indipendenti che vi erano nel XVI secolo in Europa si erano ridotti, all’inizio del XX secolo, a 25), quello che ora tende a prevalere lo aumenta.

Un altro aspetto del nuovo assetto riguarda la sua “fluidità e incompiutezza”: i poteri pubblici, ai diversi livelli, si sovrappongono e intrecciano, ma i conflitti vengono evitati grazie all’incompiutezza e fluidità, per cui, come nell’ordinamento dell’Europa medievale, nessuna istituzione è totalizzante e prevale l’“indirect rule” (cfr. Ivi, p. 64).

Tuttavia – osserva Cassese in conclusione – “una soddisfacente formula di sintesi per indicare il nuovo regime internazionale… non è stata ancora sviluppata. E’ stata affacciata quella, che dà il titolo a un libro (ed. by J.N. Rosenau and E.-O. Czempiel, Cambridge 1992, ndr.), di Governance without Government. Ma questa tradisce in parte la realtà che vuole cogliere e sintetizzare, sia perché nella realtà sono presenti poteri pubblici ancor più numerosi che in passato, sia perché la formula sottintende la ricerca di un centro mondiale di governo che non esiste e non può esistere in un ordinamento a rete” (Ivi, p. 65).

Commenta Pagallo: “Mentre la metafora della piramide implica tradizionalmente i rapporti di gerarchia impliciti nella ripartizione statica delle competenze e nell’unidirezionalità delle relazioni tra regola e regolato, l’immagine reticolare del diritto suggerisce invece una “moltiplicazione dei poteri pubblici” che sfugge alle gerarchie tradizionali. L’“interdipendenza strutturale e funzionale” tra i diversi snodi della rete comporta una ripartizione dinamica delle competenze per cui, come nel caso della sussidiarietà, “ruoli, compiti e posizioni sono solo parzialmente definiti” e “non vi sono chiare linee di confine per aree o materie” (U. Pagallo, Introduzione a Prolegomeni d’informatica giuridica, Padova 2003, p. 29).

La concezione reticolare dell’ordinamento

D’altra parte, la metafora reticolare dell’ordinamento ancora più efficacemente rispecchia la progressiva informatizzazione del diritto, per lo meno nella misura in cui il mondo del diritto diventa sempre più un mondo digitale. Così nota Pagallo che “l’aspetto più paradossale dei temi dell’informatizzazione del diritto dipende dalla circostanza che le raffigurazioni usuali del sistema giuridico, con i “nodi” e con le “reti”, saranno sempre meno considerate semplici “metafore” e, più spesso, “metafore assolute”… Si prepara un futuro in cui l’interazione comunicativa dei soggetti sarà mediata da “centri” terminali disposti reticolarmente” (Pagallo, Introduzione, cit. p. 61). E così Paolo Heritier osserva che le trasformazioni indotte dalla telematizzazione della società determinano il passaggio “dal diritto della rete alla rete del diritto” (P. Heritier, La rete del diritto, Torino 2001, pp. 8, 159). E’ sufficiente citare dallo Studio di fattibilità per la realizzazione del progetto “Accesso alle norme in rete” del Ministero della giustizia. Dopo aver rilevato che gli indici per soggetti devono rispondere a criteri di rigorosa scientificità, ma anche alle esigenze pratiche del cittadino medio, si afferma: “In proposito può essere particolarmente importante rilevare che la stessa struttura ipertestuale di World Wide Web consente finalmente di superare la rigidità delle strutture gerarchiche verticali di tipo arboriforme: infatti, percorsi concettuali, in cui si proceda gradualmente da categorie più generali ad altre più specifiche, potranno essere integrati dalla compresenza “virtuale” (in quanto ottenuta non con la ripetizione della stessa sottocategoria, bensì mediante la moltiplicazione di link ad essa collegati) di una stessa sottocategoria all’interno di più categorie generali distinte. Sotto l’aspetto tecnico ciò importa che gli Indici sistematici di risorse risultino strutturalmente simili piuttosto a “grafi” che ad “alberi”: a uno stesso nodo si può arrivare attraverso percorsi tutti alternativi, tutti ugualmente validi” (in “Informatica e diritto”, 2000, p. 23). Espressa con l’immagine del passaggio dagli alberi ai grafi, piuttosto che con quella del passaggio dalla piramide alla rete, la riconfigurazione del sistema normativo in forma ipertestuale trova comunque nella figura del nodo il suo simbolo più significativo. Come scrive ancora Pagallo: “La rappresentazione reticolare dell’ordinamento, che si prospetta con i temi dell’informatica giuridica, abbandona il concetto di “vertice” tipico dei modelli teorici imperniati sul principio di sovranità, e analizza il significato dei vecchi e nuovi centri decisionali con il concetto chiave di “nodo”. Affrontando le nuove frontiere tecnologiche del diritto secondo questa prospettiva, l’elemento costitutivo della rete coglie infatti il genus proximum delle fattispecie maturate a seguito della informatizzazione del diritto secondo quel denominatore che hanno in comune i (per ora contrastanti) fenomeni emersi dall’indagine di Cassese; vale a dire, la presenza di “centri decisionali” di potere che implicano il “mutuo riconoscimento” tra le parti del tutto, e il permanere di rapporti orientati gerarchicamente con il passaggio da una struttura ordinata dall’alto a un congegno autordinantesi” (Pagallo, Introduzione, cit., p. 32). La figura del nodo evidenzia pertanto il modo in cui i media elettronici mettono in discussione la tradizionale versione geometrica delle istituzioni e riconfigurano il principio fondativo del diritto nel senso, appunto, di una “rete”.

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