‘Platone o il legislatore persuasivo’
di Giacomo Gavazzi

A rinforzare il tutto, entra in campo un ultimo argomento che fa leva sul desiderio di immortalità del singolo. Il desiderio individuale nel frattempo è stato ricondotto come si è visto alla immortalità del genere umano, ed elevato perciò da mero desiderio a principio generale. Ora, la “divina legge può consentire che ci si sottragga a un tale principio”? È chiaro che chi non prende moglie e non procrea, si sottrae al principio. Perciò il nostro legislatore punirà chi incurante dell’immortalità si apparta da quel genere umano il quale, per un principio della divina legge, è partecipe di immortalità.

Ma non basta: la struttura argomentativa non si limita ad investire la parte precettiva della legge. Essa tocca, sia pure in forma assai più semplificata, anche la parte sanzionatoria. La multa infatti viene minacciata non come semplice male per il reo ma affinché questi non creda che “il celibato gli rechi un qualche profitto o vantaggio”, mentre d’altro canto l’atimia viene presentata come una perdita di prestigio morale e sociale, che si presume rappresenti un forte stimolo19.

Può darsi che il cattivo cittadino (la massa che non filosofa e che non si lascia filosofare) sia insensibile al desiderio d’immortalità, può darsi anche che egli sia indifferente a pagare la multa; ma non sarà probabilmente insensibile alla “privazione dei pubblici onori che, quando si presenti il caso, i giovani rendono ai più anziani”.

La struttura ora analizzata, forse con qualche forzatura, descrivendo e disponendo in ordine i vari argomenti che Platone ha abilmente orchestrato per persuadere i celibi riottosi a sposare fra i trenta e i trentacinque anni, è fuor di dubbio una argomentazione di tipo retorico: non occorre insistere sul fatto che essa sta o cade nella misura in cui raggiunge il suo fine che è dichiaratamente e volutamente la persuasione.

Parrebbe necessario a questo punto tirar le somme, proponendo una valutazione della tesi platonica circa l’eccellenza del metodod persuasivo nelle materie legislative. Ma perciò occorrerebbe indagare il rapporto fra legislazione e retorica: il tentativo però sarebbe prematuro, perché isolerebbe nel contesto del pensiero platonico una tesi – quella dell’eccellenza della legislazione persuasiva – che è definitiva per quanto riguarda il raffronto con la legislazione puramente imperativa, ma che è provvisoria rispetto a un terzo metodo che, inaspettatamente, viene proposto come il migliore, anche se, come viene esplicitamente sottolineato, esso “non è affatto in uso”20

Il terzo metodo a prima vista sembra risultare dalla semplice scissione dei due elementi che caratterizzano la legge imperativo-persuasiva, quello appunto imperativo e quello persuasivo, assegnando a ciascuno un’autonomia formale e di sede, senza con ciò intaccare la connessione funzionale tra i due elementi.

Anziché formulare la legge con un linguaggio misto, si trata di elaborare unpreludio: “eccitanti introduttive battute, che costituiscono come un abile punto di partenza, utile a ciò di cui poi si dovrà convincere”21. Il preludio è nel pensiero platonico una caratteristica di tutti i discorsi, di ogni attività in cui entra in funzione la voce. Anche il canto citaredico, come ogni altra forma di musica, è preceduto da preludi meravigliosamente elaborato. Solo alle leggi, lamenta Platone, nessuno ha mai premesso un preludio, né “composto che sia stato, nessuno lo ha mai pubblicato”, come se ciò non fosse naturale per le leggi.

Ecco dunque la tesi di Platone: alle leggi, tanto alle singole leggi quanto alle leggi in tutto il loro insieme, si dovrà premettere un preludio conveniente. Per le singole leggi questo dovrà essere adatto alla legge in questione e varierà secondo l’importanza della legge stessa22.

Ora c’è da chiedersi se la scissione fra testo di legge e preludio alla legge sia una semplice operazione formale – di sintassi del discorso – che distingue ciò che nella legge formulata col metodo doppio è semplicemente mescolato, o se, invece, non rappresenti qualcosa di più o di diverso. Che la funzione permanga identica non v’è dubbio: “far accogliere favorevolmente e quindi più docilmente l’ordine, cioè la legge stessa, a chi il legislatore indirizza la legge stessa”23.

In che consiste allora la novità del terzo metodo, novità in senso assoluto, sulla quale l’Ateniese insiste con fermezza (“Grazie ad un dio, esso è come già nato proprio da questa stessa conversazione di oggi”)?

La novità di cui possiamo occuparci ora – il che non esclude una seconda di cui mi occuperò più avanti – sta nel fatto che il preludio non è un qualsiasi discorso premesso ad una qualsiasi legge o ad un qualsiasi complesso di leggi: il preludio di cui parla Platone è il suo stesso discorso sul preludio e, più in generale, l’intera discussione del dialogo. Proprio introducendo l’argomento del preludio come terzo metodo, l’Ateniese esce in questa affermazione: “tutte le cose di cui abbiamo parlato fin qui non eran che preludi alle leggi”24

Tutto quello che fino allora era stato detto – sul culto verso gli dei, sul culto verso gli antenati – non era che l’avvio d’un preludio. Gli interlocutori del dialogo non se ne erano accorti, com’è naturale che accada in un preludio ben fatto. Erano stati irretiti dalle eccitanti battute, tanto è vero che Clinia ingenuamente osserva che il preludio deve cominciare da quel momento (“E dunque non stiamo più a dilungarci … e cominciamo da ciò che prima hai detto senza alcuna intenzione di dar corpo a un preludio vero e proprio … Ricominciamo da capo … con l’intenzione di dar corpo ad un preludio e non di far, come dianzi, il primo discorso che capiti”25). È interessante come l’Ateniese non raccolga l’osservazione, ed anzi esplicitamente la respinga: “Allora il preludio che sopra abbiamo composto sugli dei, su coloro che vengono dopo gli dei, sui genitori, vivi o morti, è, come ora dici, un sufficiente preludio ..”26.

La verità è che l’Ateniese fin dalle prime battute componeva intenzionalmente un preludio alle leggi: un preludio prima che alle leggi particolari, alla legge in generale.

La teoria delle leggi presuasive assume questa duplice funzione: di costituire un argomento fondamentale per il preludio alla teoria del preludio delle leggi, e di far sorgere negli interlocutori la consapevolezza che il preludio è già in atto. Ora, esaurito il preludio al preludio, con l’acquisita consapevolezza del preludio, bisogna cominciare “il canto (??µ??) vero e proprio o meglio bisogna schizzare le leggi su cui lo stato si costituisce”27.

Lo stato di cui si tratta è quello immaginario di Magnesia, immaginario ma pensato come stato storico (a differenza dello stato ideale – Callipoli – fondato nella Repubblica), alla ci costituzione debbono accingersi Clinia e altri nove cittadini di Cnosso.

In pratica il compito sarà assolto dal legislatore d’Atene (Platone) così che, al termine del dialogo, si troverà delineato un sistema di legislazione del tutto compiuto nella trama: dall’assetto sociale dello stato alla organizzazione politica, alla legislazione civile e penale. Clinia e i suoi collaboratori dovranno por mano all’ordinto, ma tale è la saggezza dell’Ateniese (il quale evidentemente reincarna l’idea del Re filosofo) che anche la sua partecipazione diretta all’istituzione della nuova polis è risultata ormai indispensabile28.

Il dialogo viene ad assumere nella seconda parte, che è quantitativamente la più estesa, una configurazione molto particolare; per ogni materia che per il filosofo costituisce la trama dello stato, le prescrizioni relative sono sistematicamente precedute da un più ampio e sovente abilissimo preludio: così il preludio pronunciato in 724 b sul “modo con cui bisogna avere maggiore o minor cura delle nostre anime, dei nostri corpi, dei nostri beni” o il lunghissimo preludio del Libro VIII sull’esistenza degli dei, che prepara le leggi sull’empietà.

Che in molti di questi preludi, a prescindere dalla loro funzione di preparare la prescrizione della legge, sia esposta la filosofia di Platone sull’argomento che in quel momento è in questione e che perciò siano vere e proprie pagine filosofiche ed anche belle, è un giudizio comune e difficilmente controvertibile. Ma non tutti i preludi di cui Platone ci ha lasciato l’esempio, hanno la struttura filosofico-argomentativa dei grandi preludi sopra citati. Alcuni sono brevissimi e si riducono a semplici esortazioni, come il preludio alla legge sul furto degli oggetti sacri29 o quello alla legislazione sui matrimoni30

Un’analisi comparativa della struttura argomentativa impiegata nei preludi platonici potrebbe essere estremamente interessante31 ed è da auspicare che venga avviata.

Con l’invenzione del preludio alla legge Platone ha sicuramente introdotto nella teoria della legislazione una grossa novità32 sull’importanza della quale non è lecito dubitare sol perché nobilmente relegata nel campo della speculazione e, anche in questo, pressoché isolata.

Il legislatore persuasivo non è una figura facilmente caratterizzabile; di esso possiamo per ora dire con certezza una cosa sola: è un personaggio che comanda e persegue l’obbedienza non solo o non principalmente con la minaccia delle pene, ma con la persuasione. Minaccia di pene e, in definitiva costrizione, da un lato, persuasione dall’altro. Una cosa ancora risulta con certezza: la persuasione come tecnica per ottenere l’obbedienza precede la costrizione: i passi al riguardo non lasciano dubbi33.

Abbiamo dunque in Platone l’anticipatore delle moderne teorie del controllo sociale, di quelle teorie che si fanno merito d’aver collocato al suo posto il controlo giuridico, basato sulle sanzioni e sulla costrizione, nel più vasto ambito delle tecniche di controllo sociale, cui meno si suole prestare attenzione ma per ciò non meno importanti?

Se per controllo sociale in senso ampio si intende qualsiasi tecnica che operando sugli atteggiamenti o direttamente (per es. mediante la costrizione, il controllo farmacologico, la suggestione) o indirettamente, agendo sulle credenze a quelli connesse (per es. con la dimostrazione o con la persuasione con la menzogna) produce comportamenti che prevedibilmente non si verificherebbero altrimenti, allora è fuori di dubbio che Platone era un eccellente conoscitore del controllo sociale. È superfluo ricordare l’importanza che Platone ha sempre attribuito all’educazione e più in generale alla psicagogia34 come arte di condurre le anime; è forse stucchevole richiamare la teoria della nobile menzogna35, ma non è inutile ricordare che quello stesso Platone critico severo delle fa?µa?e?a?36 che comprendono tutti gli interventi artificiali nella natura, avesse concepito la possibilità di usare e di approfittare dell’ebrezza per fini di controllo sociale37; che sempre quello stesso Platone che criticava la retorica sofistica perché menzognera38, ammettesse poi l’uso di miti, delle favole e delle menzogna a scopo educativo39. Non si vuol qui rilevare la contraddizione che quasi sicuramente non esiste, ma accertare soltanto la competenza di Platone in materia di controllo sociale.

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