“La sussidiarietà delle istituzioni”
di Paolo Duret
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Il volume di Lucio Franzese su “Ordine economico e ordinamento giuridico. La sussidiarietà delle istituzioni” disvela le ragioni profonde, antropologiche prima che giuridico-formali, che ci vedono riuniti oggi in questo seminario[*].
Il Benvenuti, nelle pagine dedicate al metodo, ricorda che anche il diritto subisce “l’influenza dei valori propri e cioè dell’ottica epistemologica e temporale dell’osservatore”, valori che, peraltro, sono anch’essi “giuridici (e non politici o sociali)”.
Franzese esibisce chiaramente le premesse epistemologiche e la prospettiva assiologica del discorso: esiste una modalità di conoscenza “di tipo dialettico e sostanziale” che “elabora un sapere strutturato in modo an-ipotetico e con funzione puramente conoscitiva” (un sapere per sapere) al modo della conoscenza filosofica ed una modalità “di tipo convenzionale e operativa” (“un sapere per operare, secondo i dettami della conoscenza scientifica”).
L’Autore rimprovera ai giuristi una “deriva scientistica” con l’affermarsi della scienza giuridica moderna: ci si interessa al diritto “in termini esclusivamente ipotetici (come se) per conseguire determinati risultati (al fine di)”. Alla modernità si obietta, inoltre, di aver rotto l’originaria unità dei saperi, considerando in particolare i due poli sui quali si incardina il libro (e cioè il diritto e l’economia) come “due mondi scissi, incomunicanti e al limite opposti”, ma, soprattutto (sulla scorta delle riflessioni di Francesco Gentile) di aver “delineato delle astratte geometrie legali, le quali dalla convenzione del singolo allo stato di natura hanno desunto l’incapacità individuale a relazionarsi, ritenendo così di poter giustificare la pretesa statalistica di monopolizzare la dimensione giuridica”, così smarrendo il carattere “ontico” del fenomeno giuridico, realtà vivente nel profondo d’una società.
Il filo rosso della geometria legale corre da Hobbes fino alla Reine Rechtslehre kelsensiana, al positivismo giuridico ed allo stesso Stato sociale o del benessere, in realtà dispensatore di un “benessere di Stato”.
La geometria legale presuppone quell’ “inettitudine dell’individuo a disciplinarsi, che conduce ad identificare l’ordine delle relazioni intersoggettive con la volontà del sovrano, quale unico modo per creare un regolarità, quella artificiale imposta dalla legge, laddove vi sarebbe soltanto anomia”.
Emergono qui le premesse antropologiche del percorso argomentativo.
Da un lato l’antropologia fondativa del giusnaturalismo moderno, con la sua scissione tra l’Io ed il Noi (che si doppia poi nella speculare dicotomia “privato/pubblico”, categorie che Franzese chiama “figlie legittime del razionalismo giuridico”). Qui il singolo appare quale soggetto “anomico” appunto, in quanto dominato dagli impulsi egoistici, ciò che tuttavia appare come il “presupposto convenzionale” da cui prendere le mosse per “fondare un monismo giuridico statale”.
Di contro la necessità di una “nuova antropologia” (ma è in fondo il recupero del concetto platonico dell’ “essere padrone di sé”, come attitudine dell’uomo ad autoregolarsi) su cui, come si vedrà, fa leva l’approccio sussidiario. Questa antropologia valorizza l’autonomia e la capacità dei singoli; una capacità non “ottriata, frutto cioè di un concessione del potere”, ma che rampolla dallo spontaneo autoregolarsi della persona umana.
In ordine alle considerazioni che ho brevemente riassunto mi limito a porre l’interrogativo se non sia forse riduttiva la visione che si offre dell’ “esprit positiviste” e se non si possa pensare allora ad una sintesi, ad una Aufhebung, che ne recuperi il meglio, (segnatamente la possibile valenza garantistica), depurato dalle derive formalistiche. Quanto alla critica alla “deriva scientistica”, ci si può, inoltre domandare se essa non vada piuttosto focalizzata su quale metodo delle scienze naturali o fisico-matematiche sia stato utilizzato: il progresso del metodo delle scienze naturali e le acquisizioni più recenti dell’epistemologa possono, infatti, suggerire il superamento di “modelli euclidei e newtoniani uniformi ed elementari, per sostituirli con una geometria di curve irregolari e di dimensioni frattali” (Predieri), di un universo statico con uno evolutivo.
In ogni caso, dalle premesse epistemologiche ed antropologiche che l’Autore pone discende coerente l’analisi del tema “ordine economico e ordinamento giuridico”, analisi che corre sul filo della contrapposizione tra “artificio” e “natura delle cose” (nonché umana), tra un “diritto disincarnato dalla realtà sociale ed economica” che plana “dall’alto su una materia informe e bisognosa di essere disciplinata”, una legge immaginata “come una camicia di forza della vita economica, imposta per neutralizzarne le forze cieche” ed un diritto viceversa plasmato sulla realtà della natura umana, “consustanziale ai rapporti di cui rappresenta il profilo normativo”.
Tuttavia, si badi bene, la “naturalità” cui l’Autore si riferisce non va confusa con la “stato di natura”, mera ipotesi o convenzione, come si è già accennato, che approda però ad una regolamentazione “eteronoma” dei rapporti; d’altra parte l’autonomia a sua volta non si riduce, anche sul piano della conduzione della vita economica, alla “signoria della volontà individuale”, né si presta ad essere assolutizzata come una realtà autoreferenziale: sull’humus della naturale propensione dei soggetti a “darsi norme da sé” e ad attenervisi si innesta il ruolo sussidiario delle istituzioni, chiamate a sopperire alle deficienze dei regolamenti autonomamente predisposti e, soprattutto, a riaprire i canali della “comunicazione”, della ricerca di ciò che unisce e di ciò che divide. Attenta dottrina (Arena) ha già evidenziato come la sussidiarietà sia un concetto eminentemente “relazionale”; nel volume di Franzese colpisce l’insistenza sul registro della comunicazione tra i soggetti che mediante l’autoregolamento vogliono relazionarsi. L’individuo mosso dalla signoria della volontà, nel quadro di un diritto concepito come sistema di limiti reciproci, confligge non comunica con le altre monadi; qui, invece, la comunicazione ritrova la propria ontologica centralità nell’esperienza umana, fino ad ipotizzare “un ordinamento intersoggettivo instaurato dagli interessati”, sul quale si adagia l’intervento sussidiario delle istituzioni con funzione ortopedica e/o “di orientamento verso quanto risulti opportuno, conveniente, indispensabile per il benessere della vita comunitaria”.
Appaiono in definitiva espressione di artificialità e di geometria legale secondo l’Autore:
– la Costituzione economica;
– le modalità di direzione pubblica dell’economia, con il tradizionale apparato di sanzioni e limiti, ovvero di premi ed incentivazioni;
-lo stesso diritto privato siccome divenuto, a seguito del processo di codificazione, “un formidabile strumento di coartazione della volontà individuale”;
– la concezione “legalistica” del contratto, che obbliga in virtù della preminente volontà pubblica (si parla anche di “riduzione positivistica del contratto”, che si rattrappisce nelle norme poste dal potere sovrano);
– in generale un diritto che smarrisce la centralità della persona, sostituita dalla centralità della fattispecie, letteralmente intesa come immagine del fatto, a significare “la trasformazione della realtà nel passaggio dalla natura al diritto” (P. Rescigno);
– la previsione legislativa, nel quadro dei processi di privatizzazione delle imprese pubbliche, di società di diritto speciale, nelle quali riemerge, ad esempio nella golden share, la “mano minacciosa del Leviatano” (G. Rossi.);
– la prospettazione di un codice europeo dei contratti, espressione della sovranità di un costruendo Stato Europa, specularmente alle codificazioni nazionali, espressioni tutte di un ostracismo nei confronti dell’autonomia soggettiva;
– nel quadro della contrattualizzazione dell’attività amministrativa, la tesi sulla necessità di funzionalizzare il contratto all’interesse pubblico, riducendolo così ad “un simulacro, mercé l’attribuzione di prerogative all’amministrazione”;
-.la spinta ad una “normalizzazione” del mercato dopo gli scandali recenti, anche per neutralizzare il “conflitto epidemico” (Guido Rossi) fra gli attori della scena economica.
Per contro appaiono conformi alla natura delle cose (ovvero all’ “ordine naturale delle cose”) ed alla sussidiarietà:
– la “nuova Costituzione economica”, con il riconoscimento dell’“utilità sociale del mercato”;
– una regolazione soft in campo economico, tesa a valorizzare la capacità di autoregolazione degli imprenditori, mediante le Autorità indipendenti, le quali segnano il passaggio dal tradizionale diritto pubblico dell’economia ad un emergente “diritto sociale dell’economia”;
– l’intervento ortopedico della legge, in presenza di squilibri fra le parti, ma volto comunque a facilitare l’“affermarsi di un’attività economica diretta alla regolazione dialettica degli interessi in gioco”;
– l’affermarsi di codici di autoregolamentazione, nonché di “processi autodisciplinari” (come in campo urbanistico, dell’informazione, nel mondo sportivo e nella deontologia professionale);
– l’apertura alla gestione dei servizi pubblici da parte dei singoli;
– la valorizzazione del ruolo del cittadino come coamministrante o come autoamministrante alla stregua delle riforme dell’azione amministrativa intervenute negli ultimi anni (si pensi in particolare all’apertura verso la partecipazione procedimentale, gli accordi, nonché le dichiarazioni sostitutive degli atti di consenso o il silenzio assenso) fino a riconoscergli la responsabilità dell’individuazione stessa dell’utilità generale, della fissazione degli obiettivi nel quadro di un welfare della società civile;
– la contrattualizzazione (vera) dell’attività amministrativa;
– la riforma del diritto societario, con una visione contrattuale del diritto commerciale, nel senso del suo fondamento nell’autoregolazione degli operatori;
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