Intorno ai fondamenti dei diritti fondamentali
di Francesco Gentile
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Con questo titolo curioso, che suona quasi come uno scioglilingua, il collega Luca Antonini, ideatore ed organizzatore efficientissimo di questo importante convegno su “Virtù e torti del diritto nelle società post-moderne”, ha voluto evidenziare quanto di paradossale vi sia dietro al fenomeno dei diritti umani. L’amico Umberto Vincenti avrebbe detto, ma lo sentiremo tra poco, dietro alla “mitologia dei diritti umani”.
Così come in termini paradossali ritengo vada letto l’aneddoto riportato da Jacques Maritain nell’introduzione all’inchiesta svolta dall’Unesco nel 1947[1]. “Si racconta che in una riunione della Commissione, in cui si discuteva dei diritti dell’uomo, qualcuno si meravigliasse che si fossero trovati tutti d’accordo, nel formulare una lista di Diritti, vari campioni d’ideologie violentemente avverse – Si, risposero, noi siamo d’accordo su questi Diritti, ma a condizione che non ci si domandi il perché (n. d. a.: il che significa a condizione che non ce se ne chieda il fondamento!). Col perché comincerebbe la baruffa”[2]. Maritain, peraltro, era del tutto favorevole alla proclamazione solenne di questi diritti, anche a tacere della loro giustificazione razionale, giudicata “indispensabile e tuttavia incapace di mettere accordo fra gli spiriti”[3], perché in tal modo si sarebbe fatto posto ad una philosophy of life, una concezione pratica dell’uomo e della vita, sulla quale sarebbe stato più facile convenire e che avrebbe dovuto consentire una convivenza più pacifica tra mondi ideologicamente distanti o, più esattamente, opposti. La guerra fredda, di qualche anno dopo, avrebbe rivelato il carattere illusorio della cosa.
Ma di paradosso sotteso ai diritti umani, in quanto prodotto del razionalismo politico-giuridico, si parla anche in un volumetto, un autentico pamphlet, che l’amico e collega Danilo Castellano ha pubblicato di recente[4]. Un lavoro che vuole essere, e si dichiara, “respingente”, in quanto respinge “la tesi secondo la quale le Dichiarazioni recepirebbero diritti essenziali, insiti nella natura dell’uomo e indispensabili per un consorzio autenticamente civile”[5].
Muovendo da prospettive diverse, anzi antitetiche, si conviene sul carattere paradossale di questi diritti, definiti umani quasi che ci fosse un diritto disumano, ed è appunto su questo paradosso che vorrei soffermarmi, sulla base di tre interrogativi, insieme storici e teorici che, nell’economia contenuta di questo intervento, saranno semplicemente accennati piuttosto che compiutamente svolti.
Perché fondamentali? In che senso si dicono fondamentali i diritti umani? In ragione di ciò su cui si fondano o in funzione di ciò che sono chiamati a fondare?
I diritti umani vengono detti fondamentali perché sono posti a fondamento della rivolta del popolo nei confronti del suo governo. La cosa risulta immediatamente evidente se si considera anche in maniera sommaria quella che può essere considerata come la prima dichiarazione dei diritti in senso politico-giuridico: la Dichiarazione di Filadelfia del 4 luglio 1776.
Com’è noto la Declaration by the Representants of the United States of America, comunemente conosciuta come Declaration of Indipendence, non contiene un elenco dettagliato di diritti umani ma ne dà una definizione sintetica e precisissima. “Quando nel corso degli eventi umani diventa necessario per un popolo sciogliere i legami politici che l’hanno legato ad un altro e prendere, fra le potenze della terra, un posto separato e uguale cui le leggi della natura e del Dio della natura gli danno diritto, per il rispetto dovuto all’opinione dell’umanità, esso deve dichiarare le cause che lo hanno determinato alla separazione”. E continua: “Noi consideriamo come incontestabili ed evidenti per se stesse le seguenti verità: tutti gli uomini sono creati uguali; dotati dal Creatore di certi diritti inalienabili; tra questi diritti sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità. I governi sono stabiliti fra gli uomini per garantire questi diritti, e il loro giusto potere emana dal consenso dei governati. Tutte le volte che una forma di governo diviene distruttiva di questo scopo, il popolo ha il diritto di cambiarlo o abolirlo, e di stabilirne uno di nuovo, fondandolo sui principi e organizzandolo nelle forme che gli sembreranno le più convenienti ad assicurargli sicurezza e felicità”[6]. Segue un lungo elenco degli abusi e delle usurpazioni[7], di cui il popolo dei coloni del Nord America riteneva d’essere rimasto vittima del governo inglese, che si conclude: “Noi non abbiamo mancato di riguardo verso i nostri confratelli inglesi. Li abbiamo avvertiti dei tentativi fatti dal loro legislatore di estendere su di noi un’ingiusta giurisdizione. Abbiamo ricordato loro le circostanze per le quali siamo emigrati e ci siamo stabiliti qui. Abbiamo fatto appello alla loro giustizia e alla loro magnanimità naturale, li abbiamo scongiurati, in nome della comune origine, di sconfessare queste usurpazioni che inevitabilmente erano destinate ad interrompere i nostri legami e i buoni rapporti. Essi sono rimasti sordi alla voce della giustizia e della consanguineità. Noi dobbiamo rassegnarci alla necessità che comanda la separazione e ci obbliga a guardare a loro, come al resto dell’umanità: nemici in guerra e amici in pace”[8].
D’allora, sul modello di quella statunitense, le dichiarazioni dei diritti hanno sempre avuto a che fare con una guerra, di secessione o d’indipendenza, guerreggiata o fredda, sempre ideologicamente condizionata, in prospettiva conservatrice o progressista secondo le circostanze. Guardando attentamente dietro alla facciata ideologica, assai varia e variegata, è tuttavia riconoscibile un dato costante di natura strettamente giuridica: i diritti umani, così utilizzati operativamente, si presentano teoreticamente come in qualche modo antagonisti di quello che Paolo Grossi ha efficacemente definito l’assolutismo giuridico[9], ossia la riduzione del diritto a legge del sovrano e, in genere, della giuridicità ad instrumentum regni, monopolio dell’occasionale detentore del potere.
In altri termini, ne fossero o meno consapevoli i dichiaranti, lo volessero o non, i diritti umani hanno finito, originariamente, per costituire una sorta di barriera opposta alla piena e incondizionata esplicazione del potere giuridico sovrano e con il loro, seppur vago ed ambiguo, riferimento ad una giuridicità “pre-legale” hanno velato, ma forse sarebbe più corretto dire compromesso, l’assunto fondamentale del positivismo giuridico, condensato icasticamente nel brocardo hobbesiano: “Auctoritas non veritas facit legem”. In qualche modo, precario ma reale, lasciando all’uomo uno spazio per sottrarsi al soffocante abbraccio del sovrano legislatore.
Quale la reazione del sovrano di fronte alle dichiarazioni dei diritti umani? Semplificando, risponderei che ha mirato maliziosamente a depotenziarne gli effetti introiettando i diritti fondamentali nel suo sistema giuridico[10]. Ancora un paradosso. Ma andiamo con ordine.
Per apprezzare la violenza con cui è stata investita l’istituzione statale dall’uragano dei diritti dell’uomo basta leggere le prime righe della Déclaration des droits de l’homme et du citoyen approvata dall’Assemblea Nazionale francese il 26 agosto 1789.
“I rappresentanti del popolo francese, costituiti in Assemblea Nazionale, considerando che l’ignoranza, l’oblio e il disprezzo dei diritti dell’uomo sono le sole cause delle sventure pubbliche e della corruzione dei governi, hanno stabilito d’esporre, in una dichiarazione solenne, i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo, affinché questa dichiarazione, costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale, rammenti loro continuamente i loro diritti e i loro doveri; affinché gli atti del potere legislativo e quelli del potere esecutivo, potendo essere in ogni momento confrontati con il fine di ogni istituzione politica, siano più rispettati; affinché i reclami dei cittadini, fondati d’ora innanzi su principi semplici e incontestabili, volgano sempre alla conservazione della Costituzione e alla felicità di tutti. Di conseguenza, l’Assemblea nazionale riconosce e dichiara, in presenza e sotto gli auspici dell’Essere supremo, i seguenti diritti dell’uomo e del cittadino”[11]. Seguono, com’è noto, diciassette articoli lapidari che sembrano inchiodare una volta per sempre l’istituzione sovrana del potere al servizio del corpo sociale, fissando in maniera semplice e incontestabile i canoni di comportamento del Soggetto pubblico e insieme i criteri alla luce dei quali i soggetti privati lo avrebbero giudicato … per “la conservazione della Costituzione”. In cauda venenum. E mi spiego.
La prima e principale forma operativa di difesa dei diritti dell’uomo sembra essere assicurata dalla tecnica costituzionale[12], ossia dalla loro introduzione nella Carta costituzionale, in genere nella prima parte della stessa, quella delle dichiarazioni programmatiche di principio, che dà un’impronta a tutto il successivo sviluppo analitico dell’organizzazione giuridico-amministrativa dello stato. Anche autori che hanno sempre ritenuto giusto che non ci si dovesse neppure interrogare sul fondamento dei diritti umani, come ad esempio Norberto Bobbio, hanno caldeggiato una loro protezione passando “da un sistema di diritto debole, in quanto garantito da codici di norme naturali o morali, a un sistema di diritto forte, come sono i sistemi giuridici degli Stati nazionali”[13].