Il silenzio amministrativo
Tra rivoluzione e reazione delle istituzioni
di Torquato G. Tasso

1. Con regolamento adottato ai sensi del c. 2 dell’art. 17 della legge 23 agosto 1988 n. 400, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e previo parere delle competenti Commissioni parlamentari sono determinati i casi in cui la domanda di rilascio di una autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla osta, permesso od altro atto di consenso comunque denominato cui sia subordinato lo svolgimento di un’attività privata, si considera accolta qualora non venga comunicato all’interessato il provvedimento di diniego entro il termine fissato per categorie di atti, in relazione alla complessità del rispettivo procedimento, dal medesimo predetto regolamento. In tali casi, sussistendone le ragioni di pubblico interesse, l’amministrazione competente può annullare l’atto di assenso illegittimamente formato, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a sanare i vizi entro il termine prefissato dall’amministrazione stessa.

2. Ai fini dell’adozione del regolamento di cui al c.1, il parere delle Commissioni parlamentari e del Consiglio di Stato deve essere reso entro sessanta giorni dalla richiesta. Decorso tale termine, il Governo procede comunque all’adozione dell’atto.

3. Restano ferme le disposizioni attualmente vigenti che stabiliscono regole analoghe o equipollenti a quelle previste dal presente articolo.

L’articolo è stato sostituito e modificato dal seguente intervento del DL 35/2005 come di seguito:

Art. 20.

1. Fatta salva l’applicazione dell’articolo 19, nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell’amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nel termine di cui all’articolo 2, commi 2 o 3, il provvedimento di diniego, ovvero non procede ai sensi del comma 2.

2. L’amministrazione competente può indire, entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza di cui al comma 1, una conferenza di servizi ai sensi del capo IV, anche tenendo conto delle situazioni giuridiche soggettive dei controinteressati.
3. Nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l’amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies.
4. Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l’immigrazione, la salute e la pubblica incolumità, ai casi in cui la normativa comunitaria impone l’adozione di provvedimenti amministrativi formali, ai casi in cui la legge qualifica il silenzio dell’amministrazione come rigetto dell’istanza, nonché agli atti e procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per la funzione pubblica, di concerto con i Ministri competenti.

5. Si applicano gli articoli 2, comma 4, e 10-bis.

([36]) L’art 19 e l’art.20 della legge 241/90 furono disciplinati dal DPR 26 aprile 1992 n. 300 che conteneva, tra l’altro, tre allegati. Nell’allegato A venivano elencate le materie nelle quali il privato, ex art.19, poteva denunciare l’inizio dell’attività e contestualmente iniziarla. L’allegato B, prevedeva le materie nelle quali, ex art. 19, il privato doveva denunciare l’inizio dell’attività, ma attendere il passaggio di un determinato lasso di tempo, ivi indicato, per iniziare la corrispondente attività. L’allegato C conteneva l’elenco delle materie che prevedevano, ex art. 20, il privato doveva chiedere autorizzazione all’amministrazione per compiere una determinata attività, e poteva iniziarla solo laddove vi fosse un consenso espresso, o un silenzio, prolungatosi per un determinato lasso di tempo.

Successivamente ancora, è stato emanato il DPR 9 maggio 1994 n.407, il quale, modificando il DPR 300/92 introduce nuove materie nell’allegato A prima da questo non contemplate (ALL.1) ed elimina alcune materie dell’all. C (ALL.2). prima da questo non contemplate (ALL.1) ed elimina alcune materie dell’all. C (ALL.2). Ulteriori modifiche (di rettifica e precisazione) furono poi introdotte dal D.P.R. 9 maggio 1994 n. 411, DL 16 maggio 1994 n. 229 convertito con modifiche dalla L. 19 maggio 1994 n. 451, dal DLG 31 marzo 1998 n. 114, DLG 31 marzo 1998 n. 112;

([37]) Tra le norme che sono venute ad integrare la legge 241/90, ed in particolar modo l’art.20, ricordiamo, oltre alle già citate disposizioni:

DM 2.8.1991 sul Ministero Agricoltura e Foreste; Determinazione 15.1.1992 sulla Cassa Depositi e Prestiti; DM 23.03.1992 n. 304 sul Ministero del Tesoro poi modificato dal DM 8.6.1993 n. 299; DM 4.8.1992 del Ministro Industria Artigianato e Commercio in materia di controllo degli Atti delle Camere di Commercio; DLT 3.2.1993 n. 29 in materia di Amministrazione del patrimonio e contabilità dello Stato; DLT 1.9.1993 n. 385 cd. TU Legge Bancaria e Creditizia che estende le norme della 241/90 alla Banca d’Italia.

([38]) Nè si può dire, recuperando una parte della dottrina tradizionale, che il silenzio assenso sia una forma di sanzione che viene comminata all’inadempiente. In primis perchè l’assenso non è una sanzione alla amministrazione ma semmai un ingiustificato e illegittimo premio al privato. E poi perchè se di sanzione si vuol parlare, si può dire che si ha nel senso che l’amministrazione trova una concreta materializzazione della sua silenziosa e, per questo, cattiva amministrazione. La cattiva amministrazione, però, ha un risvolto essenzialmente negativo non tanto nei confronti della stessa amministrazione inadempiente, ma nei confronti di tutti i consociati, istante compreso. Ricordiamo quanto precedentemente detto riguardo al procedimento, come strumento di garanzia del singolo e della collettività o, meglio del singolo come membro di una comunità. Laddove manchi il procedimento amministrativo e il conseguente provvedimento espresso conclusivo, si ha un danno-sanzione per l’intera comunità, ivi compreso l’istante, quale membro della comunità. E’ stato violato il suo diritto ad una buona amministrazione, ad un procedimento che confronti gli interessi in gioco trovandone il giusto assetto, ad un provvedimento coerentemente ispirato a questo equilibrio di interessi che si possa dire realizzi davvero il bene comune.

([39]) V.GHERGHI, La disciplina dei comportamenti omissivi della P.A., in Nuova Rassegna, 1991, pg. 266 ss.

([40]) Vedi il novellato art. 2 L 241/90 che al comma quarto prevede:

“4. Nei casi in cui leggi o regolamenti prevedono per l’adozione di un provvedimento l’acquisizione di valutazioni tecniche di organi o enti appositi, i termini di cui ai commi 2 e 3 sono sospesi fino all’acquisizione delle valutazioni tecniche per un periodo massimo comunque non superiore a novanta giorni. I termini di cui ai commi 2 e 3 possono essere altresì sospesi, per una sola volta, per l’acquisizione di informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. Si applicano le disposizioni dell’articolo 14, comma 2.”

Vedasi anche il novellato art. 19 che al comma terzo recita:

“Nei casi in cui la legge prevede l’acquisizione di pareri di organi o enti appositi, il termine per l’adozione dei provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti sono sospesi, fino all’acquisizione dei pareri, fino a un massimo di trenta giorni, scaduti i quali l’amministrazione può adottare i propri provvedimenti indipendentemente dall’acquisizione del parere. Della sospensione è data comunicazione all’interessato”.

([41]) Anche in questo caso il novellato articolo 19 recita:

“3. L’amministrazione competente, in caso di accertata carenza delle condizioni, modalità e fatti legittimanti, nel termine di trenta giorni dal ricevimento della comunicazione di cui al comma 2, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente detta attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni. È fatto comunque salvo il potere dell’amministrazione competente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies.”

E dello stesso tenore anche il novellato art. 20 della L. 241/90 che al comma terzo ci ricorda che:

“3. Nei casi in cui il silenzio dell’amministrazione equivale ad accoglimento della domanda, l’amministrazione competente può assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies.”

([42]) Sul punto vedi quanto sottolinea Gentile in relazione al concetto di burocrazia, evidenziando, di conseguenza, la pericolosità insita nella possibile confusione tra le due categorie di politica e di amministrazione, tipico delle geometrie legali. “Un grande equivoco si nasconde nel termine, e nel concetto, di burocrazia, l’equivoco derivante dalla confusione tra governo politico e pubblica amministrazione ossia la confusione tra quello che è il rapporto amministrativo, per il quale un insieme di persone e di cose, equiparate nella funzione strumentale, viene organizzato in vista di un fine predeterminato, e il rapporto politico che costituisce la comunità orientandola al suo fine proprio, quale emerge dalla considerazione dialettica di ciò per cui ciascuno è membro della comunità, e quindi unito agli altri costituisce un insieme. Invero, se si confonde il governo politico con l’amministrazione pubblica o peggio, com’è nel caso della burocrazia, se si assume l’amministrazione pubblica a soggetto del governo politico, non c’è forma d’esercizio del potere che non sia dispotica, nel senso aristotelico del termine, poiché per essa, tra chi comanda e chi obbedisce, s’instaura il rapporto che c’è tra il libero e lo schiavo, tra il soggetto e l’oggetto di dominio, tra il fine e lo strumento dell’azione” in F. GENTILE, Politica aut/et statistica, Milano, 2003, Sulla concezione statistica dell’amministrazione ovvero della burocrazia come “stato che s’è fatto società civile”, pg. 130.

([43]) Cfr F. GENTILE, Politica aut/et statistica, Milano, 2003, Sulla concezione statistica dell’amministrazione ovvero della burocrazia come “stato che s’è fatto società civile”, pg. 128.

([44]) Ricordiamo, infatti, che decidere di perseguire un determinato fine politico, proprio della comunità, in un determinato modo anziché in un altro, è, in fondo, una scelta operativa ma con importanti risvolti anche sul piano politico. Per raggiungere un determinato fine, il più delle volte si possono seguire varie vie, attraverso diversi tipi di attività amministrativa, e scegliere tra queste, quella che nel miglior modo possibile realizza quel determinato fine politico, ottimizzando le risorse umane e materiali disponibili, e ponendo in essere il miglior equilibrio possibile tra i vari interessi in gioco, finisce per essere a sua volta una scelta anche di natura politica.

([45]) Sul punto vedi quanto sottolinea Gentile in relazione al concetto di burocrazia, evidenziando, di conseguenza, la pericolosità insita nella possibile confusione tra le due categorie di politica e di amministrazione, tipico delle geometrie legali. “Un grande equivoco si nasconde nel termine, e nel concetto, di burocrazia, l’equivoco derivante dalla confusione tra governo politico e pubblica amministrazione ossia la confusione tra quello che è il rapporto amministrativo, per il quale un insieme di persone e di cose, equiparate nella funzione strumentale, viene organizzato in vista di un fine predeterminato, e il rapporto politico che costituisce la comunità orientandola al suo fine proprio, quale emerge dalla considerazione dialettica di ciò per cui ciascuno è membro della comunità, e quindi unito agli altri costituisce un insieme. Invero, se si confonde il governo politico con l’amministrazione pubblica o peggio, com’è nel caso della burocrazia, se si assume l’amministrazione pubblica a soggetto del governo politico, non c’è forma d’esercizio del potere che non sia dispotica, nel senso aristotelico del termine, poiché per essa, tra chi comanda e chi obbedisce, s’instaura il rapporto che c’è tra il libero e lo schiavo, tra il soggetto e l’oggetto di dominio, tra il fine e lo strumento dell’azione” in F. GENTILE, Politica aut/et statistica, cit., pg. 130, Sulla concezione statistica dell’amministrazione ovvero della burocrazia come “stato che s’è fatto società civile”.

([46]) F.GENTILE, Il diverso e il comune, in Intelligenza politica e ragion di stato, cit., pg. 47 ss. La tematica viene ripresa anche da U. PAGALLO, Alle fonti del diritto. Mito, Scienza, Filosofia. Torino, 2002, pag. 225, “La scienza giuridica contemporanea, nell’assumere l’effettività del potere come principio di ragione del diritto, smarrisce in definitiva lo spettro fenomenologico della ricerca, che dall’elementare relazione servile di base si estende sino all’interazione giuridica di soggetti “liberi” ed “eguali”. Riconoscere significa prender atto delle identità che affiorano attraverso le differenze costitutive delle istituzioni. E’ la tensione dialettica che ritroviamo alle fonti del diritto tra quanto accomuna e quanto diversifica i membri della comunità.” Sempre di U. PAGALLO, Teoria e prassi alle radici della filosofia del diritto in Francesco Gentile note d’appunti in F. GENTILE, Ordinamento Giuridico tra virtualità e realtà, Padova, 2001, pg. 265.

([47]) Vedi F.GENTILE, Il diverso e il comune, in Intelligenza politica e ragion di stato, cit., pg. 47 ss.

([48]) G.ABBAMONTE, Silenzio rifiuto e processo amministrativo in Dir. Proc. Amm., 1/1985, pg 21.

([49]) Ibid., pg 23.

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