LA TUTELA PENALE DELLA «DIGNITÀ UMANA»: TRA ESIGENZE DI GIUSTIZIA E DI PROTEZIONE DEL BENE GIURIDICO[1]
di Giovanni Caruso

[39] Sul punto, si veda GENTILE F., Su secolarizzazione e ordinamento politico ovvero dell’umanizzazione del divino e della divinizzazione dell’umano, in Politica aut/et statistica. Prolegomeni di una teoria dell’ordinamento politico, cit., pp. 144-156.

[40] ROMANO M., Legislazione penale e tutela della persona umana (contributo alla revisione del titolo XII del codice penale), cit., p. 60.

[41] ROMANO M., ibidem. Sulla tesi della solo parziale continuità sostanziale tra il codice Rocco e il codice Zanardelli, anche se con un’analisi mirata soprattutto ai profili di «autoritarismo» del codice del ‘30, si veda DOLCINI E., voce Codice Penale, in Dig. Disc. Pen., Torino, 1994, spec. pp. 279-284.

[42] RONCO M., Il problema della pena, cit., p. 38: “Se l’uomo, dunque, è il meccanismo che deve essere guidato e diretto attraverso la manipolazione delle sue sensazioni e dei suoi bisogni fisici, e se il codice sociale si rinviene nella distribuzione, manipolazione e riproduzione di tali sensazioni e bisogni, è allora evidente, come icasticamente ha detto Beccaria, che le pene trovano la loro giustificazione e la loro misura esclusivamente nella funzione di “opporsi alle direzioni rovinose della gravità e di far conspirare quelle che contribuiscono alla forza dell’edificio […] La negazione della libertà, come fondamento della condotta umana e conseguentemente come giustificazione della pena, costituisce l’orizzonte filosofico e culturale del nuovo diritto penale dello scopo e dell’utilità sociale”. Inequivocabili, d’altra parte, le parole di Feuerbach: “Non la libertà, bensì l’elemento naturale dell’uomo costituisce l’oggetto della forza punitiva; non l’uomo libero, bensì l’uomo determinato, soggetto alla natura, è l’uomo a cui si rivolge la forza punitiva, su cui essa vuole agire, che essa vuole punire, su cui essa può agire, che essa può punire sul piano civile. Non siamo autorizzati a parlare di libertà nel diritto penale, di elevare la libertà a condizione dell’esterna punibilità, togliamo attraverso la condizione ciò che è condizionato e facciamo oggetto della forza punitiva ciò che non lo è, né può esserlo”, FEUERBACH P.J.A.v., Revision, cit., p. 133, nella traduzione tratta da RONCO M., Il problema della pena, cit., p. 70, nt. 168.

[43] GONELLA G., La persona nella filosofia del diritto, Milano, 1938, p. 6, nt. 1. Per quanto concerne il fondamento di tale opzione culturale mi limito a ricordare il pesantissimo attacco mosso contro la filosofia del diritto e, in generale, la riflessione sul problema dei fondamenti del diritto penale nelle prime pagine del più celebre e diffuso trattato penalistico italiano del nostro secolo: “Appare del tutto superflua, per gli studi nostri, quella parte strettamente filosofica che i criminalisti dei secoli XVIII e XIX solevano premettere alle loro trattazioni. Il ricercare i cosiddetti fondamenti supremi e la nozione del diritto […] oggi non è più permesso ad una disciplina eminentemente sociale, positiva e di buon senso, quale è la nostra” (MANZINI V., Trattato di diritto penale italiano, Torino, 1933, vol I, par. 3, p. 6). La cosa singolare è che l’“antifilosofo Manzini”, come lo chiamò Ugo Spirito (SPIRITO U., Storia del diritto penale italiano da Cesare Beccaria ai giorni nostri, Torino, 1932, pp. 23-68), aveva scritto, molti anni prima, un brillante saggio filosofico d’ispirazione liberale e illuminista sui fondamenti del diritto penale, nel quale aveva polemizzato duramente contro una liquidazione del problema identica a quella che egli stesso poi compirà nel Trattato: “A dar retta al Carnevale, lo stato punisce perché punisce, e come non si sente il bisogno di giustificare l’esercizio del diritto civile, così è perfettamente superfluo l’indicare su quali principi di ragione si fondi la sanzione penale. Il Lanza ha già rilevato quanto sia errata l’analogia del Carnevale. Noi aggiungiamo che la suddetta affermazione è assai più degna d’essere scritta sulla porta di una caserma, che d’ornare il propileo d’uno dei templi della “scuola critica” del diritto penale” (MANZINI V., Diritto penale, in Digesto Italiano Torino, 1899, vol IX, parte III, p. 60). Per spiegare questa ‘retromarcia’ critica – che si esprimerà anche in questioni più concrete: dal sostegno dato alla reintroduzione della pena di morte fieramente avversata in gioventù, alla dottrina statalistica del bene giuridico, dalla negazione della presunzione d’innocenza, fino all’apologia dei lineamenti inquisitori del processo misto – possono forse servire le parole con cui lo stesso Manzini sostenne la soccombenza delle idee filosofiche alle idee dominanti del tempo: “I filosofi, con i loro artificiosi sistemi, nulla crearono […] La filosofia non ha mai avuto e non avrà mai alcuna influenza sui rapporti sociali, se non rispecchia la coscienza e l’opinione della collettività dominante” (Trattato di diritto processuale penale italiano secondo il nuovo codice, Torino 1931, I, p. 63). Per la disamina del pensiero di Manzini in prospettiva processuale, e per la denunziata «de-soggettivazione» della persona nel suo impianto teorico-generale, si veda BERARDI A., Vincenzo Manzini. Del metodo giuridico, Napoli, 2003, pp. 135-137.

[44] Lavori preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, vol. IV, Atti della Commissione Ministeriale incaricata di dare un parere sul progetto preliminare di un nuovo codice, Parte 1ª, Relazione introduttiva di S. E. Giovanni Appiani, vol. IV, Roma, 1929, p. 504.

[45] HOBBES T., De corpore, I, VI, 1. Sul pregiudizio scientista del tecnicismo giuridico-penale sul versante del soggetto attivo del reato, si veda BETTIOL G., Oggettivismo e soggettivismo nella nozione del reato, in Scritti giuridici, II, Padova, 1966, p. 988: “sotto la stretta del concettualismo-formale ha sofferto danni […] la considerazione della persona umana. Non si tratta dell’uomo-delinquente di lombrosiana o ferriana memoria attraverso le varie tipologie ormai negate dagli stessi positivisti, ma di quella realtà psicologica e morale che è il fulcro cardinale del diritto penale. Non è possibile – come dal tecnicismo è stato fatto – ridurre la persona umana (l’io empirico) ad un semplice substrato materialistico dell’imputazione per considerare normativisticamente l’uomo come semplice punto di riferimento di relazioni giuridiche. Il diritto penale rifiuta una siffatta valutazione della realtà che scambia l’ombra per il corpo stesso e attorno all’«ombra» dipana la matassa dei concetti giuridici astratti. L’imputazione giuridica è reale, concreta, vitale”.

[46] GENTILE F., Ordinamento giuridico tra virtualità e realtà, in PAGALLO U., Testi e contesti dell’ordinamento giuridico, cit., spec. pp. 208-214.

[47] RONCO M., Il problema della pena, cit., p. 67.

[48] Come capacità di superare se stesso, PLATONE, Repubblica, 431A-431B, in REALE G., Tutte le opere, Milano, 2000, p. 1170: “Ma non è un po’ buffa questa espressione ‘superare se stesso’? Perché se uno fosse superiore a se stesso dovrebbe anche essere inferiore a sé, e viceversa, se inferiore anche superiore, dato che in tutti i casi si parla sempre della medesima persona […] Tuttavia […] questa espressione potrebbe anche significare, se non erro, che nello stesso uomo, per quanto inerisce alla sua anima, c’è una parte superiore e una inferiore, e che quando la parte superiore predomina su quella inferiore, si dice appunto, in senso positivo, che uno ‘supera se stesso’. Quando invece, a motivo di una educazione inadatta o di cattive compagnie, la parte migliore ha la peggio ed è soggiogata da quella peggiore, che prende il sopravvento, allora, in senso di disprezzo o di biasimo, si dice che uno è ‘inferiore a se stesso’, e, per questa sua condizione, intemperante”. Per l’applicazione del concetto di «autonomia» platonica all’esperienza giuridica, in vista del recupero del significato dell’ordinamento giuridico e politico come strumento di comunicazione interpersonale, GENTILE F., Ordinamento giuridico tra virtualità e realtà, in PAGALLO U., Testi e contesti dell’ordinamento giuridico, cit., p. 232: “Nell’espressione autonomia, classicamente, è implicito il concetto di regolarità quale disposizione del soggetto a seguire una regola. Che si tratti di una disposizione non convenzionale ma reale risulta incontrovertibilmente dalla struttura della relazione intersoggettiva, la quale, a ben vedere, è sempre determinata da regole convenzionalmente poste ma in tanto si stabilisce in quanto i soggetti, che ne sono parte attiva, siano disposti a seguirle realmente e non convenzionalmente […] Ma nell’espressione autonomia vi è anche qualcosa di più. Vi è l’indicazione dell’attitudine del soggetto all’autoregolamentazione. E non ci si può sottrarre ai problemi che essa comporta, considerato che per essa il soggetto si viene a trovare nella situazione paradossale di essere, da un lato, «signore di sé» e, dall’altro, «di sé schiavo»”.

[49] A mio giudizio, questo avviene pur a dispetto della valorizzazione dell’incidenza della politica criminale sulla dogmatica penalistica, proprio per il fatto che il lessico di decodificazione delle soluzioni della scienza penale si inscrive pur sempre nel ‘vocabolario’ del prevenzionismo come assioma privilegiato: sulla scia del metodo teleologico di studio del diritto penale, seriamente propugnato da Klaus Roxin ( ROXIN K., Politica criminale e sistema del diritto penale, Napoli, 1986, tr. it. Sergio Moccia), MOCCIA S., Il diritto penale tra essere e valore. Funzione della pena e sistematica teleologica, Napoli, 1996, nonché BRICOLA F., Politica criminale e scienza del diritto penale, Bologna, 1997.

[50] Sulle difficoltà della dottrina nell’indicare adeguati percorsi di tutela, si veda MANNA A., Tutela penale della personalità, cit., spec. pp. 11-57.

[51] RONCO M., Il problema della pena, cit., p. 107. Sulle matrici politico-culturali del codice penale del 1930 la bibliografia è sterminata; quivi mi permetto di rinviare alla bibliografia essenziale indicata da DOLCINI E., voce Codice Penale, in Dig. Disc. Pen., Torino, 1994, pp. 270-271. Sull’adesione espressa del legislatore del 1930 al general-prevenzionismo, si espresse lo stesso ministro Guardasigilli: “Delle varie funzioni, che la pena adempie, le principali sono certamente la funzione di prevenzione generale, che si esercita mediante l’intimidazione derivante dalla minaccia e dall’esempio, e la funzione cd. satisfattoria, che è anch’essa, in un certo senso, di prevenzione generale, perché la soddisfazione che il sentimento pubblico riceve dall’applicazione della pena, evita le vendette e le rappresaglie” (Relazione al Re sul codice penale) come si può notare, al momento retributivo viene assegnato un ruolo non autonomo, “ma strumentale rispetto all’obiettivo dalla prevenzione generale” (FIANDACA G.-MUSCO E., Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2001, p. 648).

[52] Mi riferisco a MUSCO E., Bene giuridico e tutela dell’onore, Milano, 1974, p. 6.

[53] Per l’accusa di «inafferrabilità» del bene «onore», è ancòra emblematica la posizione di MAURACH R., Deutsches Strafrecht. Besonderer Teil, Hannover, 1952, p. 100: “L’onore è il bene giuridico più sottile e più difficile da afferrare con i guanti di legno del diritto penale e perciò il meno efficacemente tutelato dal nostro sistema penale”; da ultimo, sul tema dell’‘afferrabilità’ del bene ‘onore’, si veda, per un’efficace sintesi della varie posizioni, SIRACUSANO P., voce Ingiuria e diffamazione, in Dig. Disc. Pen., vol. II, 1993, pp. 30 e ss..; l’Autore, prima di richiamare la considerazione di Maurach (definita come “risoluta asserzione di un classico manuale tedesco), a riguardo dell’onore, osserva: “Si tratta […] di un bene giuridico di lunghissima tradizione legislativa e culturale, ed al contempo di un oggetto di tutela penale tra i più dibattuti, analizzati e (in certa misura anche) contestati fino ai giorni nostri. Si tratta inoltre, ancora notoriamente, di un bene giuridico ritenuto, per lo più, non facilmente individuabile e/o circoscrivibile”.

[54] Su tale disputa, si veda specialmente MUSCO E., Bene giuridico e tutela dell’onore, cit., pp. 1-53; MANNA A., Tutela penale della personalità, cit., pp. 68-82; SIRACUSANO P., voce Ingiuria e diffamazione, cit., p. 330 e ss.,

[55] Relazione Ministeriale al Progetto definitivo di un nuovo codice, in Lavori Preparatori del codice penale e del codice di procedura penale, vol. V, parte II, p. 402.

[56] MUSCO E., Bene giuridico e tutela dell’onore, cit., p. 4.

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