L’INFOSTRADA DELLE COMPRENSIONI
Lo studio del Talmud come modello ipertestuale
di Umberto Piperno
Spesso, riflettendo sulle pagine del Talmud, ho pensato che mostrino una strana somiglianza con le home page d’Internet in cui non c’è nulla che sia completo. Le icone, i riquadri che le costellano sono come porte attraverso cui il visitatore può accedere ad un’infinità di conversazioni e testi che rimandano l’uno all’altro. Prendiamo una pagina del Talmud. Vi sono alcune righe tratte dalla Mishnah, le conversazioni che i rabbini hanno portato avanti (per centinaia di anni prima che venissero codificate intorno al 200 dell’Era Volgare) intorno a una vasta gamma di questioni giuridiche che per lo più scaturiscono dalla Bibbia ma che vanno a toccare una miriade di altri argomenti. Sotto queste righe vi è poi la Ghemarah, che comprende le conversazioni che altri rabbini di un’epoca successiva hanno portato avanti intorno alle conversazioni dei rabbini dell’epoca precedente inclusa nella Mishnah. Dal momento che sia la Mishnah che la Ghemarah si sono sviluppate oralmente per centinaia di anni prima di essere codificate, accade che, nel breve spazio di poche righe, rabbini di periodi diversi partecipino al dialogo, e questo avviene sia all’interno di ciascun frammento che nella giustapposizione dei frammenti sulla pagina, dando l’impressione che i rabbini conversino direttamente gli uni con gli altri.
Il Talmud è frutto dell’imperativo morale della legge ebraica, del libero pensiero di grandi menti, delle oppressioni dell’esilio, del cosciente bisogno di tenere unita una cultura e del forte desiderio di capire e seguire la rivelazione della parola di Dio. Inoltre il Talmud fu redatto dopo centinaia di anni di trasmissione orale, e fu messo per iscritto da redattori (per lo più) sconosciuti, maestri dell’erudizione e dell’invenzione che vagano come fantasmi di area in area offrendo i loro suggerimenti anonimi, sollevando quesiti, suggerendo risposte e confutazioni, e a causa della loro molteplicità si ha la sensazione di trovarsi al cospetto di un’intelligenza organizzatrice al lavoro.
Per centinaia d’anni, norme relative a quasi tutti gli aspetti della vita ebraica si sono spostate in volo avanti e indietro, da ebrei dispersi in un angolo remoto del mondo ad altrettanti centri di studi talmudici. Anche Internet è un universo pervaso da un illimitato desiderio di sapere, fatto di informazioni e dispute, in cui chiunque sia dotato di modem può girovagare per un po’ e, lasciandosi alle spalle il caos del mondo, fare domande e ricevere risposte. Mi conforta pensare che un mezzo della tecnologia moderna riecheggi un mezzo così antico.
Così Rosen illustra la pagina del Talmud. Diamone un esempio vivo tratto dalla traduzione italiana del triestino Marcello Mordechai Goldstein disponibile in Internet6)
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La questione dibattuta è l’acquisto per invenzione.
Mishna. Due tengono un mantello, questo dice: l’ho trovato io, e questo dice: l’ho trovato io. Questo dice: è tutto mio, e questo dice: è tutto mio. Questo giuri che non ne possiede meno della metà e questo giuri che non ne possiede meno della metà e dividano il mantello o il suo equivalente in denaro in due parti uguali.
Questo dice: è tutto mio, e questo dice: la sua metà è mia. Quello che dice è tutto mio – giuri che non ne possiede meno di tre quarti, e quello che dice: la sua metà è mia – giuri che non ne possiede meno di un quarto. Il primo prende tre quarti e il secondo prende un quarto.
Due erano a cavallo di un animale, o che uno era a cavallo e l’altro lo menava. Questo dice: è tutto mio, e questo dice: è tutto mio. Questo giuri che non ne possiede meno della metà e questo giuri che non ne possiede meno della metà e dividano l’animale o il suo equivalente in denaro in due parti uguali.
Quando essi ammettono di aver preso possesso del bene in questione simultaneamente o che hanno testimoni – dividano senza giuramento.
Ghemara. La Ghemara chiede:
Cosa ci guadagnamo ad insegnare nella Mishna: questo dice l’ho trovato io e questo dice: l’ho trovato io. Questo dice: è tutto mio e questo dice: è tutto mio? Perché insegnare due casi? Ne insegni uno!
La Ghemara risponde:
Ed infatti uno la Mishna ne insegna: Questo dice l’ho trovato io ed è tutto mio e questo dice: L’ho trovato io ed è tutto mio.
La Ghemara propone:
E che la Mishna insegni: L’ho trovato io, ed io già so che egli intende dire: È tutto mio!
La Ghemara risponde:
Se la Mishna avesse insegnato soltanto: L’ho trovato io, avrei detto: Cos’è "l’ho trovato" – l’ho visto e ciascuno dei due litiganti sostiene di averlo visto prima, benchè non sia venuto nelle sue mani – cioè avrei imparato che il generico vedere determini il kinyan, perciò la Mishna insegnò anche : È tutto mio – per insegnare che con il semplice vedere non si acquista.
La Ghemara obietta:
Ma forse puoi dire: "cos’è "l’ho trovato" – l’ho visto"? Ma Rabbanan disse (Deuteronomio 22,3) E la trovasti – vuol dire che è venuto nelle sue mani!
La Ghemara spiega:
È vero che E la trovasti del versetto vuol dire che è venuto nelle sue mani, tuttavia avrei potuto pensare che la Mishna usa il linguaggio comune, e quando lo vede quell’oggetto abbandonato egli dice: L’ho trovato io, e ciascuno dei due litiganti sostiene di averlo "trovato" prima benché non sia venuto nelle sue mani – cioè avrei imparato che il generico vedere determina il kinyan, perciò la Mishna insegnò anche: È tutto mio – per insegnare che con il generico vedere non si acquista.
La Ghemara propone:
E che la Mishna insegni: "È tutto mio" e non occorre ""L’ho trovato io"?
La Ghemara spiega:
Se la Mishna insegnase solo: "È tutto mio" avrei detto: In generale quando la Mishna altrove insegna "L’ho trovato io" vuol dire che il generico vedere determina il kinyan, perciò la Mishna insegna: "L’ho trovato io" e dopo insegna: "È tutto mio" – per farci capire, attraverso questo insegnamento aggiuntivo, che il generico vedere non acquista.
La Ghemara obietta:
Ma puoi veramente dire che la Mishna ne insegna uno di casi? Eppure essa insegna QUESTO e QUESTO: QUESTO DICE: L’HO TROVATO IO, E QUESTO DICE L’HO TROVATO IO QUESTO DICE: È TUTTO MIO ecc.
La Ghemara spiega:
Disse R’Pappa e alcuni dicono fosse R’Simi bar Ashi e alcuni dicono fosse Kedi: La resha della nostra Mishna parla di un ritrovamento di un oggetto abbandonato, e la sefa della nostra Mishna parla di una compravendita. Ed è necessario insegnare entrambi i casi: [dal 2b] perché se la Mishna avesse insegnato soltanto il caso del ritrovamento – avrei detto: È solo quando si tratta di un ritrovamento che Rabbanan imposero un giuramento, perché uno dei litiganti potrebbe trovare una giustificazione dicendo: Il mio compare non vi ha perso nulla in quell’oggetto che ha trovato, né danaro né fatica, vado a prenderlo e me lo dividerò con lui. Per scoraggiare un simile comportamento Rabbanan imposero il giuramento. Ma quando si tratta di una compravendita, nel qual caso non si può dire così, perché l’altro si è dato da fare per trovare quell’oggetto da acquistare, direi che no, Rabbanan non imposero il giuramento. E se la Mishna avesse insegnato soltanto il caso della compravendita, – avrei detto: È solo in questo caso che Rabbanan imposero un giuramento, perché uno dei litiganti potrebbe trovare una giustificazione dicendo: Il mio compare porta denaro, ed io anche porto denaro. Ora che il tale oggetto serve a me lo prenderò io, e il mio compare vada a darsi da fare per comprare per sé un oggetto simile. Per scoraggiare un simile comportamento Rabbanan imposero il giuramento. Ma quando si tratta di un ritrovamento, nel qual caso non si può dire così, perché l’altro verosimilmente non troverà un altro oggetto abbandonato e l’intenzione è solo quella di derubarlo dell’oggetto trovato, direi che no, Rabbanan non imposero il giuramento. Per questo è necessario che la Mishna insegni che Rabbanan imposero il giuramento sia nel caso di un ritrovamento che nel caso di una compravendita . (T.B. Bava Mezià, 2a)7)