L’INFOSTRADA DELLE COMPRENSIONI
Lo studio del Talmud come modello ipertestuale
di Umberto Piperno
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Dalla Padova di tre secoli fa all’era del computer un affascinante percorso ci conduce ad una lettura aperta del Talmud nello sforzo di costruirne un modello d’ipertestualità, difficilmente adatto alla realtà mutevole, quasi inafferrabile, del testo talmudico.
Nei sentieri del cabalista Rabbi Moshe Haim Luzzatto (Ramchal 1707 – Akko 1746) troviamo un tentativo interessante di costruire un sistema d’informazioni.
L’opera Derekh Tevunoth, "la strada delle comprensioni", stampata in vita dell’autore, in Amsterdam nel 1742, risponde all’esigenza di comprendere le basi della discussione talmudica nelle sue forme e nel suo “Pilpul”, l’ argomentazione teorica, base della vitalità del testo.1)
Un tentativo d’ermeneutica talmudica veniva realizzato a Trieste nel secolo scorso ed è in corso di pubblicazione. 2) "Ritenete che questi non sono che semplici principi; bisogna poi applicarsi negli autori delle regole generali del Talmud come l’Halikhot ‘ Olam e simili e così amplificare le cognizioni più profonde per navigare nel vasto mare del Talmud".
Nel 2000 Krupnick scrive "The Gateway to learning"3) riferendosi chiaramente all’opera del Luzzatto.
Numerosi sono stati nel corso dei secoli i tentativi di "razionalizzare" o meglio con le parole di Levinas "tradurre negli schemi d’occidente" ,il fiume talmudico.
Gli schemi logici, le analisi storiche che sezionano il testo "per precipitazione" di materiale di generazioni successive, non esaudiscono in alcun modo le aspettative, non incrementano lo studio, né soddisfano lo "studente", tantomeno il "lettore".
Si tratta innanzi tutto di ridefinire oggi, il rapporto con il testo nell’alternanza tra comunicazione scritta e mediatica, tra la semplice "lettura" (il c.d. legge? E il d.v.d.?) come atto automatico e lo studio come atto interiore. L’utente si trasforma come un camaleonte da consumatore a fruitore fino al momento in cui interagisce con il programma; è difficile pensare che questi si trasformi in programmatore, artefice o creatore della propria pagina; dove questo avviene è solo un assemblaggio di materiale preconfezionato. Il Talmud non prevede un “lettore”, un fruitore, un consumatore, ma un’operazione che coinvolge totalmente da trasformare lo studioso in “studente” .
Nella fantasia talmudica persino il Signore partecipa allo studio. Così Rosen4) scrive con entusiasmo:
E’ stato spesso sottolineato come gli ebrei non passino molto del loro tempo teologico a descrivere gli attributi di Dio o a riflettervi sopra. Ammesso che sia vero, bisogna comunque ammettere che ai rabbini di Talmud di tanto in tanto capitava di interrogarsi su come Dio trascorresse la giornata. A tale quesito è stato risposto in svariati modi: combina matrimoni, se ne sta seduto a giudicare gli esseri umani, si mette il suo gigantesco scialle rituale , i filatteri e prega. Ma la risposta che prediligo si trova nell’Avodah Zarah, il trattato consacrato alla discussione sul rapporto tra gli ebrei e gli idolatri. Lì i rabbini rivelano che in realtà Dio passa tre ore della Sua giornata a studiare il Talmud.
Una delle ragioni per cui questa risposta mi piace particolarmente è che conferma la mia impressione che il Talmud sia così vasto e complicato che persino Dio, che presumibilmente dovrebbe avere una conoscenza piuttosto approfondita del Suo libro, debba comunque trascorrere almeno una parte della giornata a studiarlo. L’immagine di Dio che studia il Talmud può anche essere considerata una prova del fatto che ciò che conta non è solamente il contenuto del libro, ma il fatto stesso di studiarlo.
Ma trovo davvero miracoloso il fatto che una conversazione iniziata duemila anni fa vada avanti ancora adesso, e in modo neanche troppo frammentario. I rabbini ci hanno rivelato che Dio ha consegnato a Mosè le Leggi scritte e gli ha sussurrato all’orecchio le Leggi Orali, le quali comprendono anche tutte quelle dispute che alla fine sono state messe per iscritto nel Talmud. Che si creda o no a questa versione dei fatti, non si può certo dubitare che molte delle parole che sono state recitate, studiate e analizzate puntigliosamente.
Questa rivoluzione copernicana rispetto alla “sacralità del testo” sconvolge ogni equilibrio, particolarmente nella materia giuridica. Affrontare la singola unità (sughià) per trarne la “masqanà”, ciò che emerge dal testo è diverso da leggere la “hilchetà”, la norma giuridica prefissata. Nel Talmud si crea il diritto come in una seduta di commissione legislativa in cui si crea il testo con gli emendamenti.
Affrontiamo ora la "strada dello studio" nel parallelismo tra l’opera di Luzzatto e quella di Krupnick.
I duecento sessant’anni tra le due opere non debbono ingannare; identico è il fine e lo strumento d’analisi; la diversità del linguaggio legato all’epoca non modifica l’ordine sistematico degno di un programmatore sofisticato.
Entriamo subito in merito analizzando le componenti della pagina del Talmud secondo l’edizione classica di Vilna:
a) MISHNA’: si tratta di un articolo del codice in sei volumi redatto da R. Iehudà Ha-Nasì nel 220 d.e.v.
b) GHEMARA’: il testo del Talmud (parola che in aramaico significa" studio" ) compie il tentativo di “completare” il testo e l’unità legislativa .
c) RASHI’: commento base che accompagna il Talmud, per opera di Rabbì Shelomò figlio d’Isacco(Rashi in acronimo), vissuto in Francia nel XI secolo.
d) TOSAFOT: serie di commenti elaborati dagli studiosi di Francia e Germania del XI secolo.
e) EIN MISHPAT NER MITZVA’: indica, in relazione al passo in oggetto, l’articolo dei principali codici del diritto ebraico.
f) HAGAOTH HA-BACH: correzione del testo e versioni parallele per opera di Yoel Sirkes (Polonia, XVIII sec.) autore dell’opera Bait Hadash la cui sigla forma la parola BACH
g) MASORET HA SHAS: referenza incrociata con passi paralleli d’altre parti del Talmud.
Basti pensare che nel 1200 a Roma Yehiel Min-Anavim redige il primo dizionario talmudico, nel 1600 Isacco Lampronti di Ferrara porta a termine un’importante Enciclopedia ebraica; nel 1880 Kosovsky realizza un dizionario talmudico in venti volumi , tutto ciò prima dell’avvento del computer.
Scrive ancora Rosen5)
"Gira e rigira ché tutto vi è contenuto", ha dichiarato notoriamente uno dei dotti menzionati nel Talmud. Costui, dall’improbabile nome di Ben Bag Bag, viene raramente citato nel Talmud ma le sue parole hanno una risonanza mitica. Come l’uroboros greco, il serpente che si morde la coda, le parole di Ben Bag Bag compaiono all’interno del Talmud e al tempo stesso lo commentano, una riflessione che si autofagocita e, così facendo, avvalora la tesi del dotto. Il Talmud è un libro e non lo è, e la frase del rabbino ha comodamente trovato posto in esso in quanto il Talmud, sia scritto che orale, si protende verso il mondo esterno ma al tempo stesso lo ingloba, anche quando si professa come immutabile parola di Dio.
Per quanto possa sembrare un’affermazione sacrilega, non posso evitare di pensare che per certi versi Internet abbia molto in comune con il Talmud. I rabbini definiscono il Talmud yam, mare, e anche se non si può certo affermare che sia «navigabile» c’è qualcosa di ben più profondo della metafora oceanica che lega i due universi verbali. Entrambi sono immensi e hanno la peculiarità di non essere categorizzabili. Quando Maimonide, il grande filosofo ed esegeta medievale, si propose di estrarre da quella particolarissima miscela di storie, folclore, riflessioni legali, digressioni antropologiche, esegesi biblica e alterchi rabbinici intergenerazionali che è il Talmud, alcune categorie basilari conclusioni giuridiche, fu accusato di eresia per aver smembrato quel caos che in un certo senso rappresentava la fecondità divina. Maimonide venne poi perdonato e la sua opera, Mishneh Torah, è divenuta una delle numerose fonti cui fanno rimando le pagine del Talmud, assorbita proprio da ciò che si era proposta di sostituire.
La Mishnah, il corpus juris del Talmud, è divisa in sei ordini che riflettono sei grandi categorie della vita ebraica, e queste sei categorie sono a loro volta suddivise in numerose sottocategorie chiamate trattati che spaziano in un numero ancora più vasto di argomenti spesso impossibili da rintracciare con una semplice lettura dei titoli degli ordini cui appartengono. Il termine ebraico per trattato è massekhet che letteralmente significa «tessuto», «trama». Proprio come per il World Wide Web, è la metafora del telaio, antica e inclusiva, che riesce a catturare la ricchezza e la casualità, l’infinita interconnessione delle parole.