Legge e contratto oggi*
di Lucio Franzese
3. L’opposizione all’appiattimento del diritto sul potere ha condotto a teorizzare l’esistenza di una dimensione giuridica aliena da quella costituita dalle prescrizioni statali. Sulla scia dell’idea del diritto dei privati, un diritto cioè che “non emana dallo Stato né immediatamente né mediatamente” [49] , ma differenziandosi da essa [50] , Giovanni Battista Ferri giustappone l’agire negoziale dei privati alle norme ed ai principi dettati dal soggetto pubblico [51] . Tale ambito individuale, avente “una sua originaria idoneità e capacità a dar vita a vincoli impegnativi”, troverebbe oggi nella lex mercatoria, nella creazione cioè di contratti atipici e uniformi a livello internazionale da parte degli stessi agenti economici, un “esempio particolarmente significativo” [52] .
Per quanto concerne il rapporto tra la sfera giuridica statale e quella negoziale, che sarebbe appannaggio degli individui, il giusprivatista si chiede, in un primo momento, se quest’ultima “ne ricalchi, come dire?, l’essenza, costituisca, per la prima, ciò che il sosia rappresenta per il modello originale” [53] ; lasciando così intendere che l’ambito negoziale sia speculare a quello della normativa statale, ripetendone la medesima conformazione. E’ quindi passato a rimarcarne le diversità, in quanto “ordinamento statuale e negozio marciano, per così dire, per linee parallele; diversa è la logica che li muove, diversi sono i valori che esprimono e tendono a realizzare” [54] : per cui si tratterebbe di sistemi esclusivi, ciascuno chiuso nella propria autoreferenzialità [55] .
Di fronte a siffatte rappresentazioni che, per superare l’identificazione del giuridico con l’intervento eteronomo dello Stato, propongono un sistema fondato sulla volontà dei privati [56] , sembra di poter muovere le seguenti obiezioni.
In primo luogo va richiamata l’attenzione sulle conseguenze di un ordinamento negoziale concepito come duplicato – Ferri dice che è il doppio – di quello statale, cioè del sistema normativo imposto dal detentore del potere. In tale ottica è necessario che le disposizioni adottate dai singoli siano generalmente osservate. Invero come nella prospettiva statalistica – Kelsen docet – il requisito dell’effettività dell’ordinamento è conditio sine qua non della validità della singola norma [57] , lo stesso dovrebbe predicarsi dell’ordinamento negoziale ove lo si configuri come sosia, cioè mera riproduzione di quello statale. L’insieme dei precetti posti dagli agenti negoziali dovrebbe essere per lo più rispettato: solo in tal caso, infatti, la singola manifestazione di volontà potrà essere qualificata come valida. Così, però, si fa dipendere la rilevanza giuridica del negozio dall’effettività del potere, dall’esistenza cioè di una volontà capace di ricondurre a sé ogni manifestazione negoziale. Ciò significa che l’individuo ricopre la stessa posizione, occupata nel sistema statale dal soggetto pubblico [58] , e, quindi, si consegna il diritto negoziale nelle mani di un sovrano che, a differenza di quello statale, sarebbe di natura privata [59] .
La teoria in esame, quando pone l’accento sul parallelismo tra ordinamento negoziale e quello statale, sul fatto cioè che mediante il primo i singoli perseguono valori loro propri, diversi da quelli di cui è portatore il soggetto pubblico, finisce per configurare la convergenza fra i due ambiti come impossibile ovvero meramente estrinseca [60] . Con la conseguenza che l’adeguamento alla legge si riduce ad esito del calcolo di convenienza compiuto dalle parti, le quali, per sfruttare l’apparato statale nel caso in cui ritengono insufficiente la sanzione privata, conformano le proprie negoziazioni alle fattispecie legali.
Ma cosa accade se uno dei soggetti negoziali non mantiene la parola data, non esegue, ad esempio, il lodo dell’arbitro cui egli stesso aveva deferito la risoluzione di una sua lite? Verosimilmente, in tale evenienza la parte che pretende l’adempimento si appellerà allo Stato, il quale, riscontrata la regolarità della decisione arbitrale, la porterà ad effetto nei confronti del soggetto riottoso.
Tale funzione di sostegno dell’attività individuale si palesa particolarmente rilevante nell’epoca della globalizzazione economica, in quanto si tratta di garantire degli scambi al di là delle frontiere nazionali. Lo Stato è vindice della parola data dai singoli, costringendoli a rimanervi fedeli, anche quando gli accordi non siano riconducibili alle sue espresse previsioni. Sicché, se per un verso, non è sostenibile che la legge sia la fonte della giuridicità, necessitando l’attitudine del singolo ad ordinare le proprie azioni, per l’altro, è “fuori della realtà, che l’una o l’altra corporazione intenda e riesca ad ergersi come ordinamento a sé stante, a petto di quello statale” [61] . Non è infatti configurabile una concezione assolutizzante dell’autonomia soggettiva, tale cioè da escludere la rilevanza delle istituzioni, le quali sono chiamate a sopperire alle insufficienze dei regolamenti autonomamente predisposti, al fin di far comunicare quei soggetti che hanno inteso, sia pur in malo modo, relazionarsi a mezzo di un accordo economico.
Diverso è sostenere, come fa Piero Schlesinger, che l’autonomia soggettiva “non ha alcun bisogno di previe concessioni da parte dell’ordinamento, ma si sviluppa certamente in modo originario per proprio conto”, trovando nella legge l’“elemento integrante e determinante della sua rilevanza, un enforcement, una <giustiziabilità>, che riassume significativamente la portata della trasformazione da atto meramente interprivato o amicale ad atto dotato di effetti giuridici, addirittura con valore di legge inter partes” [62] . In questo modo si evidenzia la disposizione degli agenti negoziali a disciplinare le proprie interazioni e si coglie la complementarietà dell’intervento istituzionale che, innestandosi sulla propensione soggettiva alla relazione, vero tessuto connettivo della vita associata, fa della parola data dai contraenti un impegno irretrattabile, munito della forza coercitiva della legge. In altre parole, si prende atto che l’autonomia sussiste prima della legge, la quale, “eccitando il senso di responsabilità o il rispetto dell’affidamento” [63] , ne propizia l’inveramento nelle relazioni interpersonali.
Risulta chiaro che l’attività sanzionatoria da parte delle istituzioni, nei confronti degli impegni assunti dagli stipulanti, presuppone l’accertamento della bontà delle intese raggiunte; queste, cioè, dovranno risultare improntate al riconoscimento del proprio di ciascuna delle parti contrattuali: in caso contrario, bisognerà porvi rimedio mediante l’eliminazione delle clausole difformi, ovvero inserendo quelle che, per contro, sono funzionali all’equo contemperamento degli interessi dei soggetti, giacché consentono di far valere le reciproche attese senza che l’una diventi prevaricante dell’altra [64] . Questo perché l’ordinamento giuridico, per dirla con il Betti, “non può prestare il suo appoggio all’autonomia privata per l’appagamento di ogni interesse che essa persegua, ma, prima di riconoscerne i vari atteggiamenti con la propria sanzione, li sottopone a un processo di tipizzazione e valuta la funzione pratica che ne caratterizza ciascun tipo in accordo con la socialità del suo compito d’ordine, che di fronte a quell’autonomia è anche un compito educativo e preventivo, sanzionatorio e direttivo della condotta” [65] .
In definitiva, le istituzioni sono chiamate ad agire sussidiariamente nei confronti dell’autonoma regolazione dei soggetti, esercitando un compito di orientamento verso quanto risulti opportuno, conveniente, indispensabile per il benessere della vita comunitaria, e controllando che i suoi partecipanti non pongano in essere azioni lesive del principio intorno al quale tale benessere si realizza [66] . Di qui il pieno dispiegarsi del processo di ordinamento giuridico in cui l’ordine economico si perfeziona in ius, che si impone alle singole pattuizioni in quanto integrativo delle stesse e non perché espressione di un potere capace di farsi valere.
4. Nondimeno vi è chi, in ordine alla vicenda della contrattualizzazione dell’attività amministrativa, sostiene la necessità di funzionalizzare il contratto all’interesse pubblico, quale interesse del soggetto pubblico altro rispetto a quello del privato. E’ il caso di Franco Gaetano Scoca che, riflettendo sui concetti di “autorità” – attuantesi nell’eteroregolamentazione degli interessi – e di “consenso”, afferma l’assoggettabilità del contratto al regime speciale dell’attività amministrativa, per cui il modulo consensuale sarebbe solo “un’apparente alternativa” all’agire autoritativo della pubblica amministrazione [67] . Al fine di tranquillizzare poi gli animi, inquieti per la parificazione tra atto unilaterale e contratto, il giuspubblicista precisa che lo “statuto [amministrativo] non si limita ad imprimere al potere precettivo il c.d. vincolo di scopo (finalizzandolo cioè alla soddisfazione dell’interesse pubblico), ma lo sottopone ad una serie di regole, formali e sostanziali: le quali possono essere riassunte, rispettivamente, nel principio del procedimento e nel principio (che si può convenire di denominare) del rispetto degli amministrati” [68] .
A tale prospettazione sembra difettare la consapevolezza del significato profondo del ricorso al contratto nei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione. Il principio della contrattualità amministrativa segna per il singolo, infatti, il passaggio dalla condizione di amministrato, che è soggetto al potere altrui, a quella di coamministrante, di partecipe cioè alla gestione degli affari pubblici. Con lo strumento negoziale, infatti, l’amministrazione provvede alla cura degli interessi affidati, in accordo con quanti sono coinvolti dalle misure organizzative che essa va ad adottare.
Tale ordinamento non consente la subordinazione del contratto alla volontà del contraente pubblico, in quanto fa leva sulle energie individuali che, in unione con quelle dell’organo amministrativo, si fanno carico delle esigenze gestionali poste dalla vita della comunità civile. L’effettivo confronto dialettico tra la pubblica amministrazione e il cittadino contraente, in ordine alle modalità di raggiungimento degli obiettivi propri dell’associazione societaria, richiede la simmetria delle loro posizioni [69] .
La figura contrattuale, come strumento di definizione del rapporto amministrativo, impone di rivisitare le categorie elaborate dalla scienza giuridica moderna, rivelandone il carattere preconcetto e, dunque, l’inidoneità a rendere conto della nostra esperienza giuridica. Dubbio è il fondamento della dicotomia tra privato e pubblico, in particolare, di cui la pretesa di funzionalizzare il contratto costituisce il logico corollario nell’ambito amministrativo.