Legge e contratto oggi*
di Lucio Franzese
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Sommario:
1. Il contratto nell’epoca della globalizzazione: anacronismo o sussidiarietà della legge?
2. Artificialità della legge e realtà della natura umana.
3. Autonomia negoziale e legge tra alternatività e complementarietà.
4. Il contratto tra indirizzo politico e gestione amministrativa.
5. Contratto e spoils system.
1. Nell’odierna crisi della statualità del diritto, rivelata dai processi di globalizzazione dell’economia, Francesco Galgano rivendica al giurista un ruolo preminente nell’identificazione del fenomeno giuridico, ma esclude dal novero dei legittimati coloro che osservano il diritto dal punto di vista storico, filosofico e sociologico, in quanto non attrezzati per riconoscerne le nuove prospettive in esso emergenti [1] . Scrive, infatti, il civilista: “Comprendo il disagio degli intellettuali puri (filosofi, sociologi, storici del diritto), che hanno con la realtà un contatto solo indiretto, mediato dall’osservazione altrui, che può essere a sua volta anch’essa mediata; sicché la percezione della realtà arriva loro, quando pure arriva, filtrata da lenti deformate da pregiudizi, ideologismi, approssimazioni (i fondi dei quotidiani!), fraintendimenti, luoghi comuni. Viviamo – ma quanti intellettuali puri se ne sono accorti? – nell’epoca di una grandiosa trasformazione del diritto, indotta dalla globalizzazione dei mercati. Non solo al diritto degli Stati si sovrappone un diritto globalizzato, ossia la lex mercatoria; non solo i vari ordinamenti statuali manifestano la sempre più pronunciata attitudine, in passato neppure pensabile, a proporsi fuori dei confini nazionali quali modelli per uno shopping del diritto; lo stesso diritto statuale si trasforma al suo interno per adeguarsi alla globalizzazione della odierna società, ed il contratto, che ha valenza universale, è chiamato a prendere il posto prima occupato dalla legge, la cui autorità si arresta ai confini dello Stato, perdendo l’antica capacità regolatrice della società” [2] .
A prescindere dal problema teoretico, se sia possibile una conoscenza immediata ovvero occorra il tramite di una rappresentazione che, a sua volta, pone la questione del suo rapporto con la cosa di cui essa è rappresentazione, la netta presa di posizione del giurista felsineo reclama una riflessione sul contributo del sapere filosofico all’adeguata comprensione della nostra esperienza giuridica. Questo non per una rivendicazione corporativa in quanto, come è stato argutamente evidenziato trattando de Il posto della Filosofia del diritto nel corso degli studi di Giurisprudenza [3] , da quando Ulpiano nel Digesto 1,1,1 ha definito i giuristi come “veram, nisi fallor, philosophiam non simulatam affectantes”, ogni tentativo di divaricare giurisprudenza e filosofia appare fuori luogo. Bensì per accertare se una conoscenza strutturalmente disponibile a farsi carico della problematicità della convivenza umana, qual è quella filosofica [4] , sia necessaria di fronte alla globalizzazione economica al fine di coglierne il profilo giuridico. Si tratta, in altri termini, di verificare se la prospettiva di un diritto avulso dall’opera delle istituzioni politiche corrisponda al modo in cui, nella comune esperienza, si realizza l’ordinamento delle relazioni intersoggettive.
L’aver individuato nel contratto “il principale strumento di innovazione giuridica” [5] del nostro tempo ha condotto Galgano ad affermare che “la società civile si studia di fare da sé, tende ad autoorganizzarsi”, nel senso che “l’iniziativa associata dei privati, operanti nelle forme del diritto privato, si assegna compiti un tempo pensabili solo in capo a pubbliche istituzioni” come, ad esempio, la materia urbanistica e la tutela dei consumatori [6] .
A ben vedere, nel momento in cui si segnala che il contratto ricopre una posizione centrale nella vita associata, in quanto con esso si disciplinano questioni di rilevanza comune per i consociati, se ne smentisce clamorosamente la visione individualistica, volta a porlo al servizio del singolo per il soddisfacimento del suo particulare. Ancora di recente, infatti, era stato ribadito che il contratto è espressione della “logica dell’individuo sovrano”, in quanto tale indifferente a tutto ciò che è altro da sé, e che le relazioni con esso instaurate sarebbero di tipo meramente “atomistico-individuale” [7] ; sicché l’avvento dell’economia globalizzata, con la diffusione internazionale di contratti uniformi, avrebbe segnato “la piena realizzazione del progetto moderno, del suo destino e della sua vocazione” [8] , con la conseguenza che il “solo modo di far valere delle istanze sociali” sarebbe quello di sottrarle alla disponibilità degli agenti contrattuali, per “affidarle al finanziamento pubblico tramite il prelievo fiscale” [9] .
Dove la posizione del Galgano sembra vulnerabile è, invece, a proposito della separazione del diritto dalle istituzioni politiche, che sarebbero messe in fuori gioco dall’affermarsi di un mercato planetario, svolgentesi al di sopra degli Stati nazionali [10] . Evidentemente, l’unità economica dei mercati impone di rivisitare la concezione dello Stato e del diritto elaborata dalla teoria politico-giuridico moderna, quindi l’idea del soggetto pubblico che domina il territorio in cui è sovrano, titolare cioè di un potere assoluto, ma non sembra appropriato escludere qualsiasi connessione dello Stato con il fenomeno giuridico [11] . Richiamando l’attenzione sul contratto come fonte del diritto [12] , si è demistificata la pretesa statalistica di ridurre l’ordinamento giuridico alla volontà pubblica: ora si tratta di riportare alla luce la funzione effettivamente esercitata dall’organizzazione politico-giuridica nei confronti dell’autodisciplina individuale. Altrimenti, il compito meritorio di aver posto al centro della riflessione il fenomeno contrattuale, con tutto quanto vi è connesso in termini di autonomia soggettiva, e quindi di capacità del singolo di porre da sé le regole della propria azione e di rispettarle, rimane per così dire nel guado. Non viene infatti in rilievo l’altra faccia della medaglia: la sussidiarietà delle istituzioni, la funzione cioè di sostegno, direzione e controllo da esse esercitata nei confronti delle autodeterminazioni individuali [13] . Questo perché i precetti autonomamente assunti vanno ad inserirsi nel contesto dell’ordinamento giuridico, cioè del processo mediante il quale si ordinano le relazioni della comunità alla luce di quello che è il suo bene, il principio cioè diretto a permettere ai consociati di stare insieme senza pregiudicare ma, anzi, sviluppando le proprie capacità [14] . Di qui la complementarietà delle istituzioni nei confronti dell’operato della persona umana, che si avvale dell’apporto della legge la quale ne integra i regolamenti, qualora risultassero insufficienti ad ordinare i rapporti intersoggettivi. Diversamente, quindi, da quanto accade in epoca di dirigismo statale, dove le norme sono “dirette a predeterminare il contenuto del contratto, a stabilire obblighi legali di contrarre, a sostituire autoritativamente il contenuto fissato dall’autonomia delle parti” [15] .
L’epocale passaggio da un’economia di tipo pubblico, dove è il potere a decidere come si allocano le risorse disponibili, ad una di mercato in cui il singolo operatore, in corrispondenza al ritrarsi dello Stato dall’arena e dall’ufficio di conformatore dell’agire economico, si riappropria della responsabilità delle scelte imprenditoriali che gli era stata espropriata dall’interventismo statale, è riduttivamente chiosato dal Galgano, secondo cui “c’è anche, e forse c’è soprattutto, un più generale mutamento delle condizioni e degli spazi entro i quali si svolge la competizione economica, che non sono più, nell’odierna economia globalizzata, le condizioni di una competizione suscettibile di decisivi correttivi politici, né sono più gli spazi di una competizione a carattere prevalentemente nazionale” [16] .
E’ chiaro che se per politica s’intende l’esercizio del potere sulla vita economica, al fine di imprimerle un orientamento estraneo agli intendimenti nutriti dagli agenti negoziali, la dislocazione internazionale delle imprese rende vano qualsiasi intervento potestativo dello Stato. Ciò dovrebbe indurre non a teorizzare che il diritto del mondo globalizzato renda anacronistici gli interventi istituzionali, ma a ripensarli in termini di ausilio e di controllo dell’autoregolamentazione, tali cioè da impedire le prevaricazioni di una parte nei confronti dell’altra suscettibili di verificarsi in un mondo economico il quale, liberato dalla tutela del dirigismo statale, deve fare i conti con le possibili degenerazioni dell’autonomia soggettiva [17] . Del resto Galgano non ha mancato di evidenziare l’opera di Unidroit, volta a depurare le prassi negoziali del commercio internazionale dagli aspetti di asimmetria tra le parti che impediscono una regolazione autenticamente autonoma degli interessi in gioco [18] .
La prospettiva che, per l’affermarsi della globalizzazione economica, teorizza l’avvenuta esautorazione della politica, presta il fianco a chi vede all’opera nel mondo contemporaneo un progetto globalista, manifestazione estrema del vecchio individualismo, e reputa il diritto di fonte negoziale del tutto sprovvisto nei confronti di “quegli intenti di massimizzazione del profitto che guidano l’internazionalizzazione dell’economia, abiurando la funzione del diritto di porre equilibrio e costruire mediazione e sintesi tra più interessi” [19] . Così come quando essa afferma, a proposito dei contratti uniformi internazionali di cui si materia la lex mercatoria, che “a crearli (…) sono gli uffici legali delle grandi multinazionali, sono i consulenti delle associazioni internazionali delle diverse categorie imprenditoriali” [20] , fa sorgere il sospetto che in essi si veda non tanto il frutto della capacità degli operatori economici di mettere ordine nei propri affari, quanto l’espressione di una nuova volontà sovrana, di origine privata in quanto quella pubblica non è più in grado di assicurare il controllo sociale dei mercati dopo che le imprese, al fine di sfruttare le possibilità offerte dalla mondializzazione dell’economia, si sono dislocate al di fuori dei confini dei singoli Stati nazionali.