UN CORSO DI LAUREA PER LE NUOVE PROFESSIONI
di Silvana Monti
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Nel 1997, assieme ad un gruppo ristretto di colleghi della Facoltà di Lettere e Filosofia di Trieste, ho progettato un nuovo Corso di Laurea, che avrebbe dovuto essere una risposta positiva alla domanda di formazione di nuove professionalità nel settore cosiddetto umanistico.
Allora svolgevo già da molti anni la funzione di Preside e mi ero resa conto che i nostri laureati ,grazie alla buona preparazione , potevano trovare occupazione in ambiti che erano sempre più lontani da quello tradizionale dell’insegnamento.Infatti, mentre diminuiva progressivamente il numero di coloro che venivano richiesti per svolgere tale attività, cresceva la domanda di persone competenti nel campo degli scambi culturali,economici, politici tra l’Italia e i Paesi dell’Est europeo e del Sud del Mediterraneo,in grado di far interagire competenze di solito acquisite in maniera "separatistica" nella facoltà di Lettere o in quella di Economia o di Giurisprudenza o di Scienze Politiche ed ecc. Occorreva quindi superare i già collaudati, ma non sempre utilizzabili statuti delle vecchie Facoltà per costruire un nuovo modello di Corso di Laurea e eventualmente di Facoltà, che fossero più corrispondenti di quelli esistenti alle domande della società italiana ed europea contemporanee.
Essendo io una docente di Storia del Teatro e quindi preparata metodologicamente a confrontare e a intersecare linguaggi diversi e quindi a gestire lo studio del teatro , che sta in una zona di confine tra arti figurative e letteratura ,tra arte e artigianato, potevo progettare una nuova tipologia di Corso di Laurea, fatto di competenze specifiche, ma anche di interazioni necessarie e particolarmente vantaggiose dal punto di vista intellettuale e operativo.
Il titolo del Corso è stato una mia invenzione, ma anche il frutto naturale di una serie di fattori concomitanti, di cui ho citato in questa breve cronistoria soltanto la mia esperienza di Preside e di docente di Storia del Teatro.
Tuttavia, per completare il quadro delle cause concomitanti del Corso, è necessario che io elenchi, se pur brevemente una serie di altri fatti importanti.Intanto, proprio a partire dal titolo, devo precisare che l’idea di mettere insieme Scienze e Tecniche nasceva soprattutto dal presupposto che la formazione universitaria dovesse, anche nel settore dell’humanitas, render conto da un lato all’indispensabile supporto teorico e metodologico, dall altro all’indispensabile verifica pratica, quindi all’applicabilità nell’ambito professionale dei propri saperi.
Il termine "Scienza", considerato per molto tempo privilegio di settori di ricerca diversi da quelli letterari, storici,giuridici etc.era andato in realtà acquisendo , già a partire dagli anni ’60, un significato molto problematico e filosofico e quindi tale da giustificare un riposizionamento al proprio interno di settori considerati fino ad allora estranei.
Per rendere plausibile tale riposizionamento, al di là di valutazioni puramente soggettive, era necessario trovare un punto di vista che innovasse profondamente il modo di guardare e quindi anche di "usare" ciascun settore disciplinare e quindi era necessario far "uscire" ciascuna disciplina dal contesto accademico ormai consolidato. Ciò non significava che i vecchi legami disciplinari dovessero venire aboliti del tutto, perché la loro funzione poteva venire riconfermata in alcuni casi, secondo i precedenti sistemi cognitivi e professionali.
Quello che doveva essere invece modificato era il modo di considerare le discipline per quanto riguardava le possibilità di dialogo tra ciascuna di esse e la loro possibilità di essere ancora utili in un mondo profondamente cambiato.
E’ nato così il concetto di Interculturalità, termine quasi ignoto all’epoca, o comunque usato molto poco da alcuni studiosi, e diventato poi con la nascita del Corso e non solo per merito nostro uno dei termini di successo , nel linguaggio accademico, giornalistico, sociològico, etc. La parola spesso è stata usata a sproposito con scarsa cognizione di causa ,cioè senza la necessaria riflessione sul cosa significhi un confronto tra le culture che non sia limitato all’accettazione, magari rispettosa, ma passiva di una cultura appartenente ad un altro popolo. Infatti l’Interculturalità ha come principio fondante e come obiettivo non solo la conoscenza della propria cultura e di quella degli altri, ma anche la volontà di costruire una nuova mentalità dialogante e quindi un nuovo linguaggio, che non è dato né dalla sommatoria tra due culture né dall’appiattimento dell’una sull’altra.
Interculturalità vuol dire conoscere e conoscersi, per compiere insieme un percorso verso una meta, che è quella della costruzione di una nuova cultura,che metta insieme esperienze degli uni e degli altri per una società cooperante e amante della pace.
Ho sempre pensato che questo progetto, pur essendo largamente condiviso da molte persone in tutti i Paesi abbia avuto un’origine in maniera non casuale proprio a Trieste cioè in una città in cui da almeno due secoli è operante un laboratorio di esperimenti interculturali a cusa della conpresenza di popoli e di culture molto diverse tra di loro e , nonstante i conflitti , necessarie l’une alle altre. Trieste è la città in cui italiani, ebrei, greci, sloveni, croati, serbi, ungheresi, austriaci, tedeschi etc. si sono trovati a vivere gli uni accanto agli altri,ciascuno geloso delle proprie tradizioni della propria lingua della propria religione e quindi della propria cultura ed identità ma allo stesso tempo costretti a mettersi a confronto gli uni con gli altri, e quindi anche a costruire un modello interculturale per poter convivere. Senza questo modello l’unica strada possibile era quella deprecabile dell’isolazionismo e infine della lotta fraticida che così dolorosamente ha caratterizzato alcuni periodi buii,della storia locale ed europea.
Se a Trieste era stato comunque possibile realizzare in mezzo a mille difficoltà una società interculturale perché non tentare di realizzare ancor meglio per l’Italia e per l’Europa e anche per gli altri Paesi una società interculturale?
A favorire tale progetto è stata anche a questo punto la Comunità Europea la quale già alla fine degli anni ottanta aveva invitato tutti i Paesi membri a istituire nelle loro università dei Corsi di Laurea, atti a formare personale specializzato per favorire l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati. Si trattava quindi di preparare funzionari per gli Enti pubblici,insegnanti,operatori culturali in grado di facilitare l’inserimento di nuovi soggetti, provenienti dai cosiddetti Paesi extra comunitari all’interno dell’Europa.Alcuni Paesi risposero all’appello, ciascuno a modo suo , in base ai propri orientamenti tradizionali nel settore universitario .La Francia lesse l’invito soprattutto in una chiave antropologica, con particolare riferimento al confronto storicamente collaudato dei suoi rapporti con i Paesi arabi. La Germania prese in esame gli stessi rapporti in un ottica prevalentemente linguistica e filosofica.L’Inghilterra , fedele al suo pragmatismo fece dei corsi , che oggi potremmo definire di Laurea breve, per adetti al settore immigrazione utilizzabili soprattutto dagli Enti statali, ma anche privati.
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