ADRIANO TILGHER
di Francesco Gentile

Non c’è dubbio che l’esperienza, per Don Ferrante, come per Croce e chiunque altro, si costituisca sulla rete dei concetti. E questo è l’argomento corretto dietro al quale tuttavia si nasconde la scorrettezza, cioè l’assunzione dei concetti come pre-concetti, cioè delle realtà già possedute dal soggetto conoscente e di per sé concluse, peraltro non si sa bene né come né perché, prima del formarsi dell’esperienza stessa e perciò sottratte al processo problematico del conoscere. Donde la conclusione, aberrante, che tutto quanto non si lascia "sistemare" in base ai "pre-concetti" neppure ci sarebbe. Un’argomentazione abbagliante in termini polemici ma priva di forza autenticamente critica. Ed estremamente pericolosa se portata semplicisticamente al limite: ché, infatti, per essa basterebbe ad un soggetto avere, non si sa bene né come né perché, un "pre-concetto" perché le cose da questo "sistemabili" fossero, veramente. Cosa che Croce non fa; com’è noto, egli negava la dignità di concetto agli psuedo-concetti delle scienze, dal carattere classificatorio e quindi essenzialmente pratico, che raccolgono in classi empiricamente rilevabili la molteplice varietà dell’esperienza e riconosceva la dignità teoretica delle determinazioni puramente logiche, quali i supremi concetti o categorie che rendono possibile l’esperienza stessa, così riprendendo, seppure in maniera ambigua, la distinzione classica tra i concetti a contenuto empirico, riassunti in sintesi volutamente definite con termini dal carattere approssimativo e non schiettamente logico data la loro natura operativa, e i concetti puri o categorie, che non sono in alcun modo determinabili empiricamente ma costituiscono dei principi regolativi della conoscenza, mediante i quali si unificano le precedenti esperienze e si rimane aperti, problematicamente, alle nuove. Ma quello che Croce, più avveduto, non faceva era proprio quello che, ingenuamente, il giovane Tilgher, più crociano di Croce, faceva a proposito della filosofia del diritto. "La nostra trattazione – si legge nel saggio del 1913 – schizzata in pochi tratti, nelle sue linee generalissime, è svolta e compiuta. In essa non abbiamo mai considerato il diritto come oggetto già bello e fatto, di cui dovessimo solo constatare l’esistenza e descrivere le note, o come un intruso, che dovessimo a tutta forza far rientrare in una delle categorie precedentemente stabilite. Noi abbiamo creato, costruito, mediato, dedotto il diritto dall’attività stessa dello spirito, lo abbiamo dimostrato momento necessario, universale, eterno della storia ideale dello spirito. E poiché lo spirito che ha costruito, mediato, dedotto filosoficamente il diritto è lo stesso spirito, che ogni uomo praticamente lo pone e realizza nell’essere, così nella nostra trattazione soggetto e oggetto coincidono compiutamente, e però le spettano quell’assoluta certezza e verità che sono proprie soltanto della trattazione filosofica".
Per dare poi maggiore efficacia polemica al suo dire, Tilgher faceva un paragone di cui il significato autentico si può apprezzare solo ricordando il Don Ferrante crociano: "Alle obiezioni di Zenone d’Elea contro la possibilità del movimento, il cinico Diogene rispondeva camminando, cioè col fatto stesso del movimento. Ma Zenone non negava quel fatto, cioè la realtà dell’apparenza del movimento, e solo negava la possibilità logica dello stesso. E però la risposta di Diogene non risolveva nulla". E fin qui siamo al crociano Don Ferrante, ma il giovane Tilgher, più crociano di Croce, poteva trionfalmente concludere, come abbiamo già visto: "Alle obiezioni superficiali di tanti contro la possibilità di una Filosofia della legge e del diritto ed ai loro tentativi di risolverla nella filosofia dell’utilità (palese il riferimento a Croce) o nella morale (palese il riferimento a Petrone), noi, invece, abbiamo risposto meglio che col fatto stesso della sua esistenza (mediante i pre-concetti delle categorie dello spirito, per di più di scuola crociana)". Insomma, la filosofia del diritto ci sarebbe perché fatta essere logicamente da Tilgher, deducendola dall’attività stessa dello spirito, secondo e oltre il magistero di Croce, nonostante le tristi condizioni in cui versava, notoriamente (?), nelle facoltà di giurisprudenza dell’università italiana.
Così nel 1913 ma, ad onor del vero, bisogna ricordare che Tilgher, nel 1935, al tempo dell’ennesima polemica crociana con i professori universitari, era ormai lontano mille miglia dalla filosofia del diritto.

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