INFERENZA E GIUDIZIO
Tre ricerche su Charles S. Peirce
di Giovanni Tuzet
3.1 Struttura logica del giudizio di diritto.
Secondo il nostro modello di processo e di giustizia, il giudizio di diritto è logicamente costituito dall’articolazione di due inferenze: un’abduzione che ricostruisce i fatti rilevanti e una deduzione che ne trae le conseguenze giuridiche (ricorrendo ad una regola, o ad una norma, o ad un principio). Nel linguaggio della scienza giuridica, le due inferenze hanno tradizionalmente il nome di quaestio facti e quaestio juris: la determinazione dei fatti e la determinazione delle conseguenze giuridiche dei fatti accertati. Ciò è senz’altro troppo schematico, ma ha un fondo di verità difficilmente contestabile. Il problema è che la scienza e la filosofia giuridica hanno sovente travisato l’articolazione di questo schema e ne hanno sminuite le difficoltà e le complicazioni, adottando certe implausibili teorie come la concezione ‘meccanica’ del giudizio, difesa in generale dall’illuminismo giuridico, secondo cui il giudizio potrebbe e dovrebbe ridursi al più semplice dei sillogismi . Una tale concezione, nata essenzialmente per motivi di ordine politico – come reazione alla discrezionalità e alla non sistematicità della giurisprudenza di ancien régime – non reca alcun beneficio alla reale pratica di giudizio, poiché trascura le effettive difficoltà della determinazione giudiziale, offrendo una comoda copertura a scelte discrezionali non esplicitate e dissimulate sotto la ‘mera applicazione’ della legge, dimenticando oltretutto che prima della quaestio juris, è la quaestio facti a dover essere determinata – e come la pratica processuale insegna è generalmente la parte più difficile e controversa del processo. Prima della deduzione delle conseguenze giuridiche, devono pur determinarsi i fatti da cui trarre le conseguenze giuridiche. Se le conseguenze possono dedursi, non altrettanto può dirsi dei fatti, che invece sono oggetto d’abduzione.
La concezione ‘meccanica’ è servita come facile bersaglio delle concezioni anti-deduttiviste, e tanto la prima quanto le seconde sono viziate da un’eccessiva semplificazione dell’articolazione logica del giudizio. Ma l’eccessiva semplificazione non inficia il cuore logico della questione, cioè l’articolazione di abduzione e deduzione. Certo non si può trascurare il problema dell’individuazione delle premesse per ciascuna delle inferenze, della ricostruzione empirico-storica per l’abduzione e del quadro normativo per la deduzione. In chiave logica, si deve riconoscere che l’abduzione resta comunque un’inferenza probabile e che anche la deduzione è suscettibile di essere eccepita e revocata nella misura in cui è formulata sulla base di un’informazione incompleta (secondo le dinamiche dell’inferenza cosiddetta non-monotonica, cioè dell’inferenza le cui conclusioni possono essere revocate in virtù di nuova conoscenza). E non deve essere trascurato il fatto che ciascuna delle due inferenze principali si articola ad altre inferenze che ne supportano le conclusioni. Ad esempio, un’abduzione non offre di per sé alcuna certezza e le sue conclusioni devono essere sottoposte ad un vaglio deduttivo ed induttivo, come delineato dalla metodologia scientifica di Peirce. Quando appunto diciamo che la quaestio facti è costituita da un’abduzione ci riferiamo ad una parte per il tutto: all’inferenza che apre un’inchiesta ma non basta a concluderla. Anche la deduzione in cui consiste la quaestio juris può articolarsi ad altre inferenze e valutazioni: ad esempio alle considerazioni induttive, statisticamente determinate, sull’opportunità di trarre deduttivamente una certa conseguenza giuridica. In sostanza, vi sono per ciascuna delle inferenze basilari – abduzione per la quaestio facti e deduzione per la quaestio juris – delle inferenze ausiliarie che ne supportano le conclusioni.
Con questi aggiustamenti e con queste cautele, il modello di abduzione e deduzione è difficilmente contestabile, crediamo.