INFERENZA E GIUDIZIO
Tre ricerche su Charles S. Peirce
di Giovanni Tuzet
2. L’abduzione.
Abbiamo notato che il principio pragmatista della significazione, di massima, è stato inizialmente recepito in termini proposizionali e successivamente in termini cognitivi. Una simile distinzione, almeno nella scansione temporale, vale per l’abduzione, su cui si concentra gran parte della seconda ricerca. Da un periodo scientifico in cui di massima l’abduzione è stata discussa in termini strettamente logico-scientifici, si è passati ad un periodo cognitivo in cui l’abduzione è invocata in ambiti diversi che vanno dall’esplicazione di senso comune all’intelligenza artificiale. Il primo periodo va dai primi agli ultimi decenni del 1900, quando inizia il secondo periodo che tuttora prosegue. Circa dal 1920 in poi, come è noto, nella filosofia della scienza si è sviluppato un ampio dibattito sulla logica della scoperta e la logica della giustificazione (Charmichael, Popper, Reichenbach), con punte di spiccato fervore intorno al 1950-1960 (Hanson da ricordare). Negli ultimi decenni del secolo, i lavori sull’abduzione hanno iniziato ad abbandonare la disputa circa la scoperta e la giustificazione delle teorie scientifiche, per rivolgersi agli ambiti dell’esplicazione di senso comune, della percezione, dell’organizzazione concettuale, dell’apprendimento del linguaggio, dell’intelligenza artificiale, pur senza abbandonare, nei lavori più sensibili, il profilo logico dell’inferenza abduttiva e la sua problematica.
La nostra tesi è che le diverse forme di inferenza abduttiva possono ricondursi in generale a due tipi: l’abduzione ordinaria e l’abduzione straordinaria. La prima vale per tutte le esplicazioni di senso comune e tutte le esplicazioni in cui si utilizzano delle regole conosciute (cognitive o di altro genere). In cui si tratta, genericamente, di inferire l’istanza sconosciuta (token) di un tipo conosciuto (type). La seconda, abduzione straordinaria, vale per i casi che Peirce definisce ‘sorprendenti’, per i quali l’abduzione deve suggerire un’ipotesi assolutamente nuova giacché le cognizioni possedute non permettono di spiegare quanto riscontrato. L’inferenza è assai problematica poiché, come è evidente, si tratta di inferire un’istanza sconosciuta di un tipo sconosciuto. L’unica garanzia che simili inferenze conducano al vero è data dalla loro successiva verifica, secondo l’ordine della metodologia peirceiana, che una volta formulata e selezionata un’ipotesi ne prescrive la deduzione delle conseguenze verificabili ed infine l’esame induttivo.
Questo secondo tipo di casi, irriducibili ai processi di abduzione ordinaria, mostra come il lungo dibattito sulla logica della scoperta e della giustificazione avesse al di là dei meriti delle ragioni reali e profonde, che una concezione cognitiva dell’abduzione non può trascurare.
In chiave giuridica, rileviamo che l’abduzione costituisce la prima parte del processo logico che porta, o dovrebbe portare, al giudizio. Quella che la dogmatica giuridica chiama quaestio facti – cioè la determinazione dell’accaduto – è una questione di natura essenzialmente abduttiva. Resta che la sola abduzione non può garantire la verità delle sue conclusioni, che sono da verificare per deduzione ed induzione. Dunque, quando diciamo che la quaestio facti ha una natura abduttiva, ci riferiamo ad una parte per il tutto, ma alla prima parte, la cui importanza sta nel fatto che essa determina quali ipotesi sono da testare. Rileviamo inoltre l’inopportunità, se non la pericolosità, delle abduzioni straordinarie in sede giudiziale, data la loro minima affidabilità.
Sulla seconda parte del processo logico del giudizio di diritto, difendiamo l’idea che si tratti di una deduzione. Quella che la dogmatica chiama quaestio juris – la determinazione delle conseguenze giuridiche dell’accaduto che è stato accertato – è essenzialmente di natura deduttiva. Dicendo questo non vogliamo certo difendere la tradizionale concezione deduttivista del giudizio di diritto, difesa dalla grottesca concezione ‘meccanica’ del giudizio, che funge da facile bersaglio delle concezioni anti-deduttiviste. Non la difendiamo per due ragioni, essenzialmente: (1) trascura la parte abduttiva del giudizio, cioè la ricostruzione dell’accaduto su cui il giudizio deve pronunciarsi – ricostruzione cui non si può non chiedere di essere logicamente controllabile e provata, a pena di arbitrarietà del giudizio; (2) presenta una concezione elementare della deduzione, che ne banalizza la portata e le difficoltà.