INFERENZA E GIUDIZIO
Tre ricerche su Charles S. Peirce
di Giovanni Tuzet
Letteralmente, nel passo sopra riportato, Llewellyn parla di ‘valutazione’ in termini di effetti (evaluation). Potremmo trarne che in senso generale il pragmatismo giuridico è la concezione del diritto che valuta il diritto in termini di effetti. Ma ancora prima della ‘valutazione’, vi è un problema semantico e concettuale: per il principio pragmatista della significazione, concepire qualcosa è concepirne il senso e concepirne il senso è concepirne gli effetti. Dunque, il pragmatismo giuridico è la concezione del diritto per cui il diritto significa nei termini dei suoi effetti. Così dicendo, perdiamo la componente valutativa implicata nella formulazione di Llewellyn? Diremmo di no, poiché ci limitiamo a delineare una questione semantica e concettuale, determinando un livello basilare di significazione su cui possono formularsi delle ulteriori determinazioni valutative (effetti positivi o negativi, desiderabili o non-desiderabili, auspicabili o non-auspicabili, in chiave politica, morale, economica, etc.).
La domanda cui si confrontano fra gli altri Holmes e Llewellyn, è la domanda classica: cos’è il diritto? Possiamo trarre dai loro scritti due modelli di risposta molto diversi, nonostante la loro formulazione linguistica differisca di poco. Senza pretendere di riferire le loro posizioni nel dettaglio, e discutere del loro rapporto, vediamo come dagli scritti di Holmes si possa estrarre una risposta che indica nelle predizioni sul comportamento dei giudici il significato da dare a ciò che chiamiamo ‘diritto’ . Mentre un Llewellyn lo ha indicato più direttamente nel comportamento dei giudici, cioè nelle decisioni, nelle sentenze . Le sentenze, per Llewellyn o almeno per certi suoi scritti, sono il diritto, le sentenze esauriscono il diritto: oltre ad esse non potremo che fantasticare su qualcosa di estraneo all’esperienza giuridica nel suo effettivo divenire. Da Holmes ricaviamo invece che il diritto si identifica con le predizioni di quali saranno le sentenze. Ora, senza con ciò voler sostenere acriticamente la posizione di Holmes, va evidenziata la differenza fra la sua formulazione e quella di Llewellyn, condivisa in genere dal realismo. Considerare rilevante il ruolo delle predizioni significa rimandare alla problematica pragmatista degli effetti possibili, o meglio degli effetti concepibili a nome dell’oggetto interrogato: il senso di x (poniamo il diritto) è determinato dai concepibili effetti di x (i concepibili effetti di quanto consideriamo come diritto). La significazione non si riduce all’effettivo, cioè agli effetti attuali, hic et nunc, ma si elabora in termini effettuali. Ossia, ciò che intendiamo per diritto non si riduce alle sentenze effettive ma comprende le predizioni sulle future sentenze. Anzi, nei termini del principio pragmatista della significazione sono di gran lunga più importanti le predizioni sulle sentenze future che la registrazione delle sentenze attuali. Ovvero, come direbbe Peirce, per determinare la significazione del concetto ‘diritto’ sono più importanti i suoi concepibili effetti che gli effetti attualmente riscontrabili. Dunque, pensiamo di poter delineare la differenza fra la formulazione di Holmes e quella di Llewellyn attraverso la distinzione fra effettuale ed effettivo. E non si sarà mai compresa la definizione di Holmes, pensiamo, se non si sarà compreso il senso pragmatista in cui essa è formulata. Anche se deve evitarsi il malinteso di considerare il possibile comportamento dei giudici, cioè la sentenza, come l’unico e solo effettuale imputabile al diritto: la teoria predittiva di Holmes non è che una forma di una più ampia concezione effettuale che può riconoscere ben altri effettuali al diritto oltre alle sentenze giudiziali. In particolare, com’è intuibile, la teoria predittiva appiattita sul comportamento giudiziale non rende conto di quanto è proprio di altre aree del diritto, in primis della legislazione.
Tuttavia la nozione di effettuale in termini giuridici necessita di un raffinamento. Necessita della distinzione fra effettuale interno ed effettuale esterno.
L’effettuale interno è parte del contenuto di una norma. Costituisce la conseguenza normativa (q) che una norma N (se p, allora q) prescrive in corrispondenza di un accaduto (p).
L’effettuale esterno è una conseguenza ulteriore, non normativa, della norma. Costituisce un’auspicabile conseguenza derivante dall’efficacia o dall’applicazione della norma N (se N è osservata, allora r).
In sintesi e per concludere sulla rilevanza della nozione di effetto per il sapere giuridico, il ragionamento giuridico prende in considerazione tre tipi di effetti:
l’effetto attestato da cui si origina l’abduzione volta a ricostruire l’accaduto (quaestio facti);
l’effettuale interno che è la conseguenza normativa dovuta rispetto a quanto occorso (quaestio juris)
l’effettuale esterno che è la conseguenza auspicata di una decisione (e della norma su cui la decisione si basa).
Ci sia concesso di terminare questo scritto ricollegandoci al tema con cui Inferenza e giudizio inizia, quello, cioè, della rilevanza, semantica e cognitiva, degli effetti, delle conseguenze. Come ha riconosciuto fra gli altri Perelman, un argomento pragmaticamente connotato è quello per cui il valore di qualcosa, in particolare di un atto o di un fatto, è determinato dalle sue conseguenze . Contrariamente a quanto Perelman ne conclude, il numero indefinito delle conseguenze di un atto non è un’obiezione contro tale argomento: fra le conseguenze imputabili ad un atto sono distinguibili diversi tipi di conseguenze, a seconda del criterio impiegato, che siano le conseguenze prossime e le conseguenze remote, le conseguenze dirette e quelle indirette, le conseguenze intenzionali e le conseguenze non-intenzionali, ed ogni altra distinzione che si dimostri rilevante.
Ma il nostro lavoro è anche contro la retorica dell’effetto. Cioè, contro la leggerezza e la facilità con cui si attestano o si annunciano effetti, conseguenze, realizzazioni. In primo luogo un atteggiamento critico va mantenuto in una dimensione retrospettiva: come si può dire di avere attestato un effetto? come si sa che tipo di effetto sia? che garanzie si hanno per imputare un certo effetto ad una certa causa? si è abdotta una causa attraverso una regola e si è verificato che tale causa produce l’effetto attestato? (la scansione metodologica elaborata e prescritta da Peirce). In secondo luogo la critica va mantenuta in una dimensione prospettiva: come si può enunciare di poter realizzare un certo effetto? che giustificazioni si possono offrire ad una previsione di fattibilità? come è possibile prevedere gli effetti di un provvedimento giudiziale o legislativo?
La retorica dell’effetto è palese in certi campi come la politica. Meno evidente ma pur sempre operante in giurisprudenza. Sia quando si attribuiscono i presunti effetti a certe cause senza che la regola che ne esprime l’articolazione sia verificata o verificabile. Sia quando si annunciano futuri effetti senza analoghe garanzie circa i processi attraverso cui si produrrebbero.
Uno dei modi per limitare la retorica dell’effetto è richiedere il ricorso a regole condivise o condivisibili attraverso cui l’attestazione o la previsione di un certo effetto sia giustificata. Ma soprattutto, la risposta passa per la metodologia scientifica della ricerca: la significazione effettuale ha un valore di verità determinato secondo la metodologia scientifica, cioè dall’articolazione delle inferenze. Sono giustificati gli effettuali dedotti da ipotesi e che sono verificabili induttivamente. In termini logici leggermente più precisi, sono giustificati quegli effettuali che sono deducibili rispettando la verità delle relazioni fra gli elementi delle premesse. E la deduzione non obbliga a conclusioni già note: come vediamo in una sezione della seconda ricerca, vi è per Peirce una forma di deduzione informativa, che chiama teorematica. Sono così giustificati e informativi gli effettuali inferiti secondo le modalità della deduzione teorematica, dimostrativa e ampliativa al tempo stesso. Cerchiamo pertanto di capire, infine, se tali forme inferenziali abbiano un corrispettivo in campo giuridico e se possano servire alla giustificazione di un giudizio o di un provvedimento legislativo: quando infatti un giudizio o un provvedimento cerca di giustificarsi assumendo che da esso deriveranno certe conseguenze, ancor prima dell’opportunità etica o politica delle conseguenze, è da valutare la reale possibilità che tali conseguenze seguano dal giudizio o dal provvedimento. Una metodologia scientifica è condizione necessaria di tale valutazione.