L’APPARENZA DEI LIMITI E TRASFORMAZIONE DEGLI ORIZZONTI
di Andrea Favaro

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«Tu credi nel sonno di vedere certe cose e di immaginarti come sono, e credi che siano talmente solide e stabili che nessun dubbio ti coglie riguardo al loro modo di essere. Ma poi ti svegli, e ti rendi conto che tutte le tue fantasie e le tue credenze erano prive di fondamento e di consistenza. Come fai a essere sicuro che tutto quello in cui credi nello stato di veglia, grazie alle sensazioni e all’intelletto, sia vero, in rapporto allo stato in cui ti trovi? Può darsi che ti trovi in uno stato che sta alla veglia come la veglia sta al sonno. Non può darsi che la tua veglia sia sonno in rapporto a questo terzo stato? Se ti trovasi in questo terzo tipo di stato, avresti la certezza che tutto quello che ti sei figurato con l’intelletto è pura immaginazione senza consistenza»

(Abū Ḥāmid al-Ghazālī, Il libro che preserva dall’errore [1106 ca.])

Quando qualcuno crede di possedere una idea, se mai una idea possa essere “posseduta” da qualcheduno, spesso crede pure di conoscerne i contorni, e così individuare i confini della sua azione. Tale è l’impressione che caratterizza i primi passi, che penetra al principio dell’intuizione quando ancora l’idea non ha le gambe su cui camminare, pur desiderando l’ideatore già correre.
Nel momento in cui, però, chi “possiede” l’idea comincia a lavorarci sopra, spesso nota che il prodotto della sua mente, che pretendeva di saper domare, prorompe in direzioni a cascata non previste, non programmate, estese come gli orizzonti del pensiero… parrebbe senza limiti.

Proprio seguendo tale intuizione, consapevoli di non poter “possedere” alcuna idea che sia realmente tale, nel proporre i contributi abbiamo deciso di “oltrepassare” i limiti dei soliti ambiti d’orizzonte della Rivista, aprendo questo numero con un fondo che recupera la narrazione del rapporto mai del tutto chiarito ancora tra il c.d. (estremo) oriente e il sedicente (nostro) occidente, tra diritto e teologia, tra famiglia e società.
In questi termini il contributo autorevole di John Lagerway permette di proseguire il nostro viaggio nella disamina filosofico-giuridica lungo orizzonti geograficamente lontani, ma che vengono in questo contributo avvicinati, comparati, toccati, quasi assunti come propri non solo sotto un profilo teoretico, ma anche all’interno di una dimensione esperienziale.
Nell’orizzonte giuridico orientale è inserito l’aggiornamento del contributo di Carrai, che è in una nuova veste presentato in questo numero implementandone i contenuti rispetto al contributo già presente in Archivio.
Sempre di confini labili si discute nei contributi di Vernacotola e Bettiol, grazie ai quali è ancora una volta riconoscibile la contiguità tra metafisica, diritto e politica.
Contiguità non certo di strumenti, ma appunti di orizzonti in uomini studiosi e pratici alla stregua del penalista Giuseppe Bettiol, già presentato ai Lettori quale figura di rilievo all’interno della nostra Galleria.
Ugualmente tra “confini” non definiti e vasti “orizzonti” si inserisce la riflessione di Tommasi a chiarimento di alcuni paradigmi chiave della teologia politica che Carl Schmitt ha offerto alla riflessione di molti e che vengono qui ricalibrati alla luce della riflessione su “analogia” e “stato d’eccezione” di Giorgio Agamben.
D’altra parte di altro “confine”, quello sempre labile tra ideologia e filosofia, si narra nel saggio di Amicolo che offre una lettura critica della Costituzione dell’Ecuador, secondo una cifra di argomentazione avviluppata ai paradigmi del “bene comune” inteso secondo orizzonti più ampi di quanto abbia finora concepito la filosofia politica classica.
Quando poi il confine si palesa talmente fluido da dover essere indicato col significante giuridico di parole comuni, la soluzione concreta alle singole fattispecie (siano essere semplici o complesse) attiene anche all’assunzione del ruolo del linguaggio come tenta con estrema fecondità ad illustrare il saggio di Zorzetto.

Tra “confini d’ambito” incerti e “orizzonti di prospettiva” sempre più dilatati, pare potersi sintetizzare la sfida del sapere odierno.
Una sfida ardua, che abbisogna di risorse morali invero inevitabilmente scarse, ma nella quale non abbiamo la possibilità di rinunciare, perché in quanto uomini eternamente attratti dalla passione del cogliere il di più che si trova oltre i “confini” della cultura, ma anche quanto gli “orizzonti” fanno almeno intuire al curioso.