PREFAZIONE ovvero della palingenesi di un testo
di Francesco Gentile

Ecco perché, con la loro straordinaria capacità di orientare, anche in questo frangente tornano opportune le parole del Maestro, che nella Repubblica (521 a) scrive: "Se per coloro che debbono governare troverai condizione di vita migliore di quella del potere, avrai trovato al tempo stesso il mezzo per avere uno stato ben governato, perché è soltanto in uno stato simile che avranno il potere i veri ricchi, non ricchi d’oro ma di virtù e di sapienza, la ricchezza cioè di chi è veramente felice. Ma là dove nella cosa pubblica si gettino pezzenti e gente avida di ricchezze, gente che dalla politica spera il proprio guadagno, non è possibile un buon governo, ché si lottano fra di loro per arraffare il comando e questa lotta intestina e civile li perde insieme a tutto lo stato". Così come illuminanti risultano le parole del Filosofo di fronte allo Stato moderno: " Lo Stato non è l’assoluto, ma una partecipazione dell’assoluto; lo strumento che, nell’ordine voluto da Dio, ci è stato dato perché, disciplinandoci, riusciamo ad essere sempre meglio uomini"
La consapevolezza della natura strumentale del proprio operare, nel senso letterale del termine, essendo destinato ad innestarsi in un processo che, prima e dopo di esso, si regge e si compie sulla base della capacità personale di disciplinarsi, sulla capacità di ciascuno d’essere "padrone di sé", impedisce al politico, che sia veramente tale, d’accontentarsi di un ordinamento virtuale, che il potere dello stato, quand’anche legittimato dalla volontà dei consociati, può solo sovrapporre alla conflittualità interindividuale, assunta come insanabile, affermandosi piuttosto che come superamento di essa come sua canonizzazione. E nel contempo gli impedisce di lasciarsi ingabbiare nell’alternativa falsa e frustrante: statistica o politica. Se, infatti, è incongruente ridurre l’ordinamento politico al controllo statale delle relazioni intersoggettive mediante la costrizione di uno schema astratto, preordinato e convenzionale, imposto meccanicamente dall’esterno, altrettanto incongrua è la pretesa di stabilire un qualsiasi controllo statale delle relazioni intersoggettive senza il preliminare riconoscimento della comune misura sulla base della quale mettere ordine e dunque senza preliminarmente comunicare. Senza contare che non si dà controllo senza autocontrollo, cioè senza quella disposizione alla "padronanza di se stessi" che costituisce il motore di ogni ordinamento, sia esso politico, giuridico od economico. Dunque, statistica e politica.
La consapevolezza della condizione umana, della condizione cioè di un essere che non è un bruto né una divinità, partecipando tuttavia di questa e di quella natura, condizione assimilabile, con immagine dantesca, all’orizzonte che sta tra il cielo e la terra, a questa appartenendo come a quello, consente al politico, che sia davvero tale, d’intendere la diakonía dell’ordinamento politico, secondo la suggestiva formula di Domenico Coccopalmerio. Non già però al servizio del Leviatano, mostruoso "dio mortale" di hobbesiana memoria, ma al servizio di quella straordinaria creatura che è l’uomo, a cui il Creatore non ha plasmato soltanto il corpo materiale ma con l’anima ha infuso il suo Spirito.
Concludendo questo lavoro nel terribile settembre del primo anno del terzo millennio, sento vicini i compagni dell’avventura intrapresa trent’anni fa’ all’insegna de "L’Ircocervo". Quelli della prima ora, Gian Pietro Calabrò, Michele Donatacci, Nereo Tabaroni, Dario Quaglio, Stefano Fontana, Gaetano Marini. Quelli delle battaglie accademiche, Domenico Coccopalmerio, Claudio Finzi, Lucio D’Alessandro, Teresa Serra, Aristide Tanzi, Serenella Armellini, Giovanni Marino. Il nocciolo duro, Ugo Pagallo, Lucio Franzese, Marcello Fracanzani, Alberto Scerbo, Marco Cossutta, Torquato Tasso Federico Casa, Elvio Ancona, Giovanni Caruso, Alberto Berardi, e ancora Ottavio De Bertolis, Domenico Menorello, i più giovani, Giovanni Ferasin, Gianfranco Pellegrino, Paolo Silvestri, Enrica Cozza, Federico Costantini, Marco Greggio. Quelli della frontiera, Danilo Castellano, Franco Tamassia, Miguel Ayuso Torres, Mauro Ronco, François Monconduit, Pietro Giuseppe Grasso, Estanislao Cantero Nuñez, Emilio Cannarsi, Athanasios Moulakis Luca Antonini e il fratello dell’emisfero australe Felix A. Lamas. Ai quali, come a me stesso, non cesserò mai di rievocare il monito di Socrate a Glaucone: "Voi dovete, quando verrà il turno, discendere nel comune mondo degli altri ed abituarvi a vedere anche ciò che è nell’oscurità delle tenebre: anzi, una volta fatta l’abitudine alle tenebre, infinitamente meglio degli altri vedrete e riconoscerete ogni immagine, quale ne sia il valore e di quale realtà sia il riflesso, perché voi avete già visto la realtà vera del Bello, del Giusto e del Bene". Benché minuscolo, come un grano di senape, il nostro contributo è destinato a dar frutto, se fermentato dal lievito della buona fede. E che il Signore, Dio, ci protegga.

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