PREFAZIONE ovvero della palingenesi di un testo
di Francesco Gentile
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In altri tempi si sarebbe detto che "i piombi erano stanchi" e che il testo andava ricomposto. I nuovi strumenti offrono l’opportunità, per così dire, di rigenerarlo dall’interno. Straordinaria esperienza quella della palingenesi di un testo che ti pone ineludibilmente di fronte ad una domanda radicale, dalle due facce. Perché scrivere/perché leggere. Non avrebbe senso scrivere se non ci si chiedesse perché lo scritto dovrebbe essere letto, così come non avrebbe senso leggere un testo senza chiedersi perché esso sia stato scritto. Tanto più in un tempo, quale il nostro, in cui sembra che la frenesia del produrre abbia fatto perdere di vista le ragioni del consumare e viceversa. "Mucca pazza", "lipobay" ed "henryblodget" docent!
Concepito nella scuola e per la scuola, nell’arco di venti e più anni, Intelligenza politica e ragion di stato è servito da banco di collaudo per lo studio di migliaia, almeno una dozzina, di studenti universitari, a Napoli come a Padova, a Catanzaro come a Udine, a Trieste come a Torino, persino all’Accademia Militare di Modena. E’ servito da introduzione alla ricerca per centinaia, almeno una mezza dozzina, di tesi di laurea in filosofia e in storia delle dottrine politiche ma anche in teoria generale e filosofia del diritto. E’ servito da laboratorio in cui fare i primi, personali, esperimenti a più di una dozzina di giovani dottorandi e ricercatori, ad alcuni dei quali è già toccata la ventura di diventare professori in giro per l’Italia, e non solo.
Debbo ai miei "padri" del XX° Secolo, a mio padre Marino, professore universitario e accademico dei Lincei, ma forse più a mio nonno Attilio, professore e preside del Liceo Dante di Trieste, la fortuna di non aver mai inteso la scuola come oasi nel deserto della vita né come zona protetta per specie in estinzione o nicchia per belle statuine. Ho sempre avvertito e mi sono sforzato di far percepire a chi ne frequenta le aule che nella scuola è la vita, tutta la vita, che si sperimenta, con i suoi calcoli e i suoi slanci, con le sue grettezze e le sue generosità, la sue passioni e la sua razionalità. Tanto che qualche volta sono stato tentato di credere che la vita fosse una scuola permanente, nella quale ogni giorno si è chiamati a lezioni ed esami. Non mi sono sentito fuori luogo a convivere anni nell’Istituto di filosofia del diritto di Padova, governato dal tollerante professor Enrico Opocher, con un assistente come Toni Negri ed un laureando come Franco Freda, non condividendone le weltanschauungen, né dell’uno né dell’altro, ma decisamente impegnato ad intenderne le motivazioni. Non sono stato imbarazzato, benché fossi alle prime armi, nella nascente Facoltà di Sociologia di Trento da allievi turbolenti, fra i quali chi sarebbe divenuto direttore generale alla Fiat e chi brigatista, senza condividerne le Weltanschauungen, né degli uni né degli altri, ma visceralmente avido di intenderne le ragioni.
Ecco perché delle recensioni di Intelligenza politica e ragion di stato è quella di Luigi Volpicelli, sulle pagine del quotidiano "Il Giornale d’Italia", ad essermi ancora la più cara, tanto da non avere il pudore di ricordarla qui. "Il lato più notevole di questo libro sta nel fatto che mentre affronta con rigorosa impostazione teorica e critica i problemi fondamentali della politica, riportandoli di continuo ai maestri che se ne occuparono con particolare incisività, ponendo le fondamenta delle scienze politiche, si nutre nello stesso tempo, e puntigliosamente, pur senza farne mai cenno diretto, dell’esperienza sociale che viviamo ogni giorno. Ne consegue un’incessante osmosi di teoria e di concreto, dove l’una, la teoria, guida il giudizio storico, e questo controlla e arricchisce l’altra, offrendo il materiale per rivederla dalle fondamenta. Tutto questo con una rigorosità scientifica assoluta e, insieme, un’aderenza puntuale alla realtà. La quale, in tal modo, viene chiarita e riportata alla fonte più sicura di ogni giudizio, il pensiero politico in cui si incorpora ed acquista significato; e quella, risulta via via valutata e arricchita sul banco di prova della nostra comune esperienza politica".
Il nucleo teorico del libro è, credo, icasticamente rappresentato proprio dal titolo e specificamente dalla particella "e" che separa ma insieme congiunge i due lemmi "intelligenza politica" e "ragion di stato". A distanza, ripensandoci, era lì che mi parve annidarsi il problema dominante la nostra comune esperienza politica.
La conflittualità sociale, diffusa e capillare, a cui avevano portato i vari movimenti di contestazione, aveva radicalizzato e insieme disseccato il confronto politico. "Essere o non essere, questo è il problema. Se più degno sia di un animo nobile patir del Fato ferite e battiture o prender l’armi contro un mar di guai ed affrontarli e por fine ad essi". Forse ne accentua l’aura romantica, che pure lo circonfondeva, ma il dilemma del Principe di Elsinore ben può rappresentare lo stato d’animo del contestatore, quale che ne fosse la prospettiva da cui contestava. Di fronte all’esproprio della politica da parte della ragion di stato, che sembrava essere divenuta per chi deteneva il potere, quale che ne fosse l’ambito d’esercizio, l’unica misura di relazione sociale, mortificante ogni istanza di autentica comunicazione tra soggetti umani, la sola reazione che sembrava efficace, ma si potrebbe dire inevitabile, era il rifiuto utopico del soggetto disumano di quella sedicente ragione, lo stato. Alla violenza delle istituzioni sembrò che non si potesse rispondere se non facendo violenza sulle istituzioni. Ne ho avuto una singolare, inopinata, conferma da due citazioni di Zarathustra che ho trovato, senza ricordarlo, rileggendo una nota sul libro, pubblicata da uno degli allievi a cui sono più teneramente legato, forse perché ha dovuto cercare fuor di casa la sua fortuna, peraltro significativa avendo fondato e dirigendo da oltre dieci anni l’importante rivista La Società. Studi, ricerche, documentazione sulla Dottrina Sociale della Chiesa. "Si chiama Stato il più gelido di tutti i gelidi mostri" e ancora "Confusione delle lingue sul bene e sul male: questo segno io vi do come segno dello Stato". E’ sintomatico il fatto che un giovane come Stefano Fontana, che di certo non si riconosceva nell’irrazionalismo e neppure nell’utopia, per contestare gli esiti aberranti del razionalismo politico fosse portato ad utilizzare le parole di Nietzsche, di quel Nietzsche peraltro che, nella fase calante dei movimenti di contestazione, ne sarebbe divenuto significativamente l’ultima ridotta o forse è meglio dire il rifugio onirico. Per tutti, insieme da destra e da sinistra.