ARARE L’ARIDITÀ
di Andrea Favaro
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I tempi in cui ci troviamo a vergare queste brevi note odorano dello stantio di paradigmi per molti ormai vetusti e allo stesso tempo fremono delle instabilità proprie dei momenti di crisi.
Si diffonde così pure negli ambienti della cultura una satura lanx di sedicenti primizie, voci, urla e comunicati che poco spazio concedono all’intelligenza dell’interlocutore. Per orientarsi in altra mescolanza, quella che previene, in più sensi, la mera doxa, perché trova il suo sedime naturale sul fondale delle idee, questa Rivista tenta di proporre l’ormai riconosciuta mappa lungo la sempiterna navigazione all’insegna de “L’Ircocervo”, che palesa in sé una natura non schematizzabile e per così dinamica e avvezza ai tempi di crisi, ma non per questo meno attratta dalla ricerca di piccoli spunti di verità.
Ricerca che per sua natura ricorre anche alla disamina schietta e per ciò verosimilmente feconda, ad esempio, su una nota tesi di Höffe (cf. Gibt es ein interkulturelles Strafrecht ? Frankfurt am Main 1999) che da qualche lustro ormai stimola un vasto dibattito giusfilosofico circa la possibilità di un diritto penale internazionale, pure nella sua natura sostanziale. Il presente Numero ha l’onore di ospitare il dibattito che su questa tesi si è svolto di recente presso l’Università di Ginevra dove i differenti ambiti di ricerca degli interlocutori hanno permesso allo studioso di Tubinga di rendere comuni le giustificazioni dinanzi alle acute obiezioni rivoltegli proprio sul fondamento della proposta (Cassani, Seelmann, Biancu, Delogu).
Fondamenti vieppiù richiamati dal Discorso che Benedetto XVI ha proposto al Parlamento della “sua Patria tedesca” perché oltremodo utili nel riconoscere, passo dopo passo, la natura (e così la ragione) di qualsivoglia ordinamento politico. Un ordinamento di matrice moderna che oggi (come ieri) abbisogna di giustificazioni razionali (Carty), avviluppato com’è tra un passato che non lo garantisce (più) e un futuro che pare (già ora) preannunciarne un ondivago sostituto.
Invero la pressione centripeta cui sono sottoposti gli ordinamenti “inferiori” rispetto a quelli di grado “superiore” (siano essi di natura federale, sovranazionale, ovvero talmente spuria da non esser classificabile) gareggia, costituendone finanche una con-causa, con un novello sfogo centrifugo. Una dimensione questa dai tratti tuttora indefiniti, ma che ha riconosciuto un primo abbozzo nelle categorie per privazione, della “a-gerarchicità”, della “a-topicità”, della “in-formalità”, nonché un tono di colore proprio nelle sfumature in positivo della “orizzontalità” e della “auto-poieticità”, che configurano una struttura reticolare dell’ordinamento, rectius degli ordinamenti (Bombelli), forse più adeguata ad attribuire il “proprium” sia alle forze centrifughe che a quelle centripete.
In tal modo la “rete”, metafora contemporanea che non può non richiamare alla memoria del Lettore esperienze geografico-giuridiche di altri evi, è comunque chiamata a (ripro)porre (e non presupporre) la struttura istituzionale al servizio della realtà sociale in cui è collocata. Senza tale (ri)posizionamento la storia, e non solo l’urgenza del presente, avverte che taluni elementi della c.d “antipolitica” non sono mai troppo lontani dall’esprimersi, specie quando la stessa “politica” pare rinchiusa nell’istituzionale autoreferenzialità (Costantini).
Sul rapporto tra comunità e governo e sul sempre da riconoscere mandato che la prima concederebbe al secondo (come?, quando?, per quanto?) prosegue la riflessione su quel documento che per molti costituisce l’asse portante dell’odierno ordinamento italiano per verificare in questo Numero come la Costituzione possa reggere l’urto della democrazia e delle sue degenerazioni (Carducci). Urto che quantomeno coinvolge, quando non travolge, innanzi tutto le singole persone che nelle stesse comunità versano la vita tra relazioni, scelte di libertà e occupazioni di responsabilità spesso anche caricandosi oneri in ambito accademico, politico nonché istituzionale come in Italia è accaduto a Arturo Carlo Jemolo (Corrado). Uomo disciplinato questi e, verrebbe da dire, disciplinante, perfetto conoscitore di ordinamenti giuridici dall’ambito applicativo universale, come quello canonico, nonché acuto osservatore e protagonista del medio orizzonte italiano in tempi critici dove la rivoluzione dei paradigmi pareva anche allora, come oggi, quotidiana.
Il solco imperituro lungo cui far scorrere oltre la crisi la corrente del pensiero per certi versi è stato indicato anche dal Fondatore di questa Rivista. Così riportando la mente al ricordo mai troppo lontano del 24 novembre 2009 offriamo al lettore un rimembrar tutto personale a firma di uno degli allievi che ha seguito il Professor Francesco Gentile lungo tutto lo stivale italiano, da Napoli fino a Trieste (Franzese).
Un peregrinare similare a quello di tanti che per amore del sapere non hanno la possibilità di appiattire la propria curiosità al sapore acre della polvere di superficie e spingono l’aratro dell’intelletto al fondo delle idee mai paghi nell’arare l’aridità.
Anche a questi è dedicato il modesto sforzo de “L’Ircocervo”.