IL PENALISTA DI FRONTE ALLE SCELTE DI FINE VITA [1]
di Giovanni Caruso
Università degli Studi di Padova

In questo caso, ci si deve chiedere, la ‘fine’ della vita è davvero naturale? Cosa c’è di naturale nello SVP?

In effetti, lo SVP è un prodotto artificiale dell’evoluzione delle tecnologie biomediche di cura e sostegno vitale, secondo quanto sottolineato dai Giudici della Corte di Cassazione nella sentenza che ha imposto la revisione del ‘caso Englaro’: nello SVP il trattamento che “miri a prolungare la vita […] si spinge al massimo dell’intromissione nella sfera individuale dell’altra persona, addirittura modificando, o quanto meno spostando, le frontiere tra la vita e la morte”, cosicché “in frangenti come quello in cui si trova Eluana, non è lo spegnersi, bensì il protrarsi della vita ad essere artificiale”.

Da tale angolazione, lo SVP è un nuovo modo del morire reso possibile dall’interventismo della medicina moderna, che consente di prolungare la durata dei processi vitali anche quando la  prognosi è altamente, o, addirittura, radicalmente infausta: per parlare sensatamente, in questi casi, di ‘morte naturale’, occorrerebbe o non aver rianimato fin dall’inizio il traumatizzato, o, in caso di avvenuta rianimazione, procedere a sospendere quanto prima nutrizione e idratazione artificiali, lasciando che la ‘natura’ riprenda il suo corso e la morte non sia più ‘innaturalmente’ congelata [33] .

In secondo luogo, le DAT, anche laddove legittimamente raccolte dall’interessato, non sono in ogni caso vincolanti per il medico, il quale, ex art. 7, co. 2 e 3, può disattenderle, dovendo solo valutarle in scienza e coscienza. In definitiva, la volontà della persona viene svilita a anodina progettualità, potenzialmente neutralizzabile dalla scienza e coscienza del medico [34] .

 

In attesa di verificare la formulazione definitiva della legge, è legittimo sospettare che anche i più strenui oppositori della sospensione dell’idratazione e nutrizione artificiale nel caso Englaro abbiano infine manifestato, in più occasioni, le proprie riserve critiche sull’opportunità di una legge tanto illiberale, quanto mal congegnata [35] .

 

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[1] Testo integrato dell’intervento del 13 aprile 2011 tenuto presso l’Università degli Studi di Padova in occasione del Convegno “Diritto e Medicina si incontrano: dibattito sulle scelte di fine vita”.

[2] Cfr. XVI Legislatura – Scheda lavori preparatori Atto parlamentare: 2350, attualemente in fase di 1ª lettura alla Camera dei Deputati. Testi reperibili anche in: http://www.camera.it/cartellecomuni/leg16/documenti/progettidilegge/IFT/frameset.htm.

[3] Si ricordi l’appello al Presidente della Repubblica, affinché venisse affrontata anche a livello istituzionale la questione; l’esistenza di un libro di testimonianze di Welby, con il quale esprimeva chiaramente la volontà di porre fine alla propria sofferenza esistenziale, etc.

[4] Voglio ricordare come, nel caso W., prima della sentenza di proscioglimento, il G.i.p. avesse disposto l’imputazione coatta a carico del dott. Riccio; come l’originario ricorso di P.W. – presentato nel dicembre 2006 al Giudice civile ex art. 700 c.p.c. al fine di ottenere il distacco del ventilatore artificiale – fosse stato dichiarato inammissibile; per non parlare del caso E., in cui, oltre il coinvolgimento della Cassazione su impugnazione del tutore della donna, è stato sollevato da Camera e Senato anche conflitto di attribuzioni, dichiarato inammissibile dalla Corte costituzionale.

[5] Procura della Repubblica Sassari, 13 febbraio 2007, in cui si richiedeva al P.M. di disporre il distacco del ventilatore artificiale del paziente con provvedimento d’urgenza di natura preventiva ex art. 321 c.p.p., per impedire che il delitto di violenza privata ex art. 610 c.p., integrato dal rifiuto dei medici di operare direttamente il distacco, e conseguentemente cagionando una forma di costrizione al trattamento terapeutico ricusato dal paziente.

[6] GUP c/o Tribunale di Roma, sent. n. 2049/07 del 23 luglio 2007, dep. il 17 ottobre 2007
(Imputato Riccio, cd. sentenza Welby).

[7] Cfr. MORTATI C. (1891-1985), La tutela della salute nella costituzione italiana, ora in ID., Raccolta degli scritti, vol. III, Giuffrè, Milano 1979, pp. 433-446; MONTANARO C., Considerazioni in tema di trattamenti sanitari obbligatori (a proposito delle ordinanze sindacali impositive di trattamento sanitario «non obbligatorio»), in Giurisprudenza Costituzionale, anno ventottesimo, 1983, parte prima, pp. 1155-1177 (pp. 1173-1177); e MORANA D., La salute nella Costituzione italiana. Profili sistematici, Giuffrè, Milano 2002, p. 201.

[8] Cfr. RONCO M., L’indisponibilità della vita: assolutizzazione del principio autonomistico e svuotamento della tutela penale della vita, in Cristianità, maggio-agosto 2007, n. 341-342, 11 ss.; EUSEBI L.,  Note sui disegni di legge concernenti il consenso informato e le dichiarazioni di volontà anticipate nei trattamenti sanitari, in Criminalia, 2006, 252 ss. Secondo i due autorevoli penalisti, l’art. 32, senza per nulla e in nulla innovare al principio fondamentale della indisponibilità della salute, intende evitare che l’autorità amministrativa eserciti autonomamente e discrezionalmente le sue facoltà per garantire e promuovere l’«interesse» della collettività, costringendo i cittadini a interventi, nell’interesse della collettività, che non siano previsti dalla legge e che non rispettino la persona umana. A questo scopo contempla, nella prima parte del comma 2, la riserva di legge, soggiungendo, appunto, nell’ultima parte, che neppure la legge può permettere trattamenti o interventi irrispettosi della persona umana. Il problema cui risponde l’articolo 32, comma 2, della Costituzione consiste nel regolare il rapporto fra l’individuo, titolare del diritto personalissimo alla salute, e la pubblica amministrazione, portatrice dell’interesse pubblico generale. L’individuo, infatti, non è una monade isolata, priva di comunicazioni e di relazioni con gli altri componenti della società. Ciascuno, invece, è avvinto da obblighi ineludibili di solidarietà, ben scolpiti a livello costituzionale dall’articolo 2, che ricollega i diritti fondamentali dell’individuo, sia come singolo sia come componente delle varie formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità, ai doveri inderogabili di «solidarietà politica, economica e sociale». In nulla e per nulla tale disposizione porta innovazioni al principio d’indisponibilità della vita e della salute, limitandosi a circoscrivere gli interventi dell’autorità spesi nell’interesse della collettività. Il valore indisponibile della salute come diritto individuale e come interesse sociale è riaffermato vigorosamente, e per nulla affatto sminuito, offuscato o addirittura negato. Gli interventi non rispettosi della persona umana, che la Costituzione ha voluto del tutto vietare, sottraendoli anche alla possibile loro previsione attraverso la legge, sono quelli che la follia del biologismo e del razzismo eugenetico aveva prima incoraggiato e successivamente praticato, non soltanto nella Germania nazionalsocialista, ma anche in altri Stati. L’esame della discussione tenuta nell’Assemblea Costituente impone di escludere, al di là di ogni ragionevole dubbio, che l’articolo 32, comma 2, abbia modificato il principio della disponibilità della vita e della salute umana. Gli Autori rammentano come tale disposizione, infatti, fosse stata proposta e approvata, pur fra qualche opposizione, estremamente significativa, ispirata a ideologie collettivistiche o individualistiche, per garantire la persona dal possibile intervento coattivo dello Stato, allo scopo di eseguire, in particolare, la sterilizzazione. Poiché il Comitato incaricato dalla Commissione per la Costituzione, la cosiddetta «Commissione dei 75», per la redazione dell’articolato sulla salute aveva respinto il seguente emendamento aggiuntivo: «Nessun trattamento sanitario può essere obbligatorio se non per legge. Non sono ammesse pratiche sanitarie lesive della dignità umana», l’on. Aldo Moro (1916-1978), che ne era stato, insieme con l’on. Paolo Rossi (1900-1985), il presentatore, lo ripresentò in Commissione, illustrandone il significato. Ciò avvenne nella seduta del 28 gennaio 1947. L’on. Moro spiegò che la seconda parte dell’emendamento – «Non sono ammesse pratiche sanitarie lesive della dignità umana» — intendeva porre «[…] anche un limite al legislatore, impedendo pratiche sanitarie lesive della dignità umana. Si tratta, prevalentemente, del problema della sterilizzazione e di altri problemi accessori». Rispondendo, poi, all’obiezione dell’on. Giuseppe Grassi (1883-1950), che riteneva opportuno lasciare libero il legislatore ordinario di decidere se la sterilizzazione, per certe ragioni, fosse «giusta», l’on. Moro così rispondeva: «[…] non si vuole escludere il consenso del singolo a determinate pratiche sanitarie che si rendessero necessarie in seguito alle sue condizioni di salute; si vuol soltanto evitare che la legge, per considerazioni di carattere generale e di male intesa tutela degli interessi collettivi, disponga un trattamento del genere». Alla inequivocabile spiegazione dell’on. Moro, che sottolineava il significato della norma nella relazione fra «dignità personale» e «interessi collettivi», si opponeva l’on. Umberto Nobile (1885-1978) per la ragione che «bisogna, ad esempio, considerare se nel caso di gravi forme di pazzia ereditaria, la legge non abbia il dovere di prevedere misure sanitarie atte ad impedire che siano messi al mondo degli infelici destinati con certezza al terribile male». L’emendamento venne approvato in Commissione, con una lieve variazione – «rispetto della persona umana» al posto di «dignità umana» – nella seduta del 28 gennaio 1947.

[9] Cfr. RONCO M., L’indisponibilità della vita, cit., 21 ss.

[10] Per una critica alla pretesa di raccordare il tenore precettivo del testo costituzionale al referente dell’intenzione storica dei costituenti, cfr., da ultimo, VALLINI A, Rifiuto di cure ‘salvavita’ e responsabilità del medico: suggestioni e conferme della più recente giurisprudenza, in Dir. pen. proc., 2008, 59 ss.

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