MECCANIZZARE IL GIUDIZIO PER CONSEGUIRE CERTEZZA DEL DIRITTO.
Considerazioni intorno alla possibilità di percorrere tale itinerario
di Marco cossutta

4. Un interrogativo.

La legge può nel ambito dell’esperienza giuridica essere definita e proposta quale algoritmo?

5. Una risposta calcata sul Codice Civile.

Al fine di offrire una risposta alla questione si seguirà un itinerario strettamente ancorato alla legge. In proposito, avuto riguardo alla centralità dell’interpretazione della disposizione rispetto alla certezza del diritto, esigenza, sia pur con diverse sfumature condivisa da tutti gli Autori sopra richiamati, appare lecito prendere la mosse dalla Interpretazione della legge. Più specificatamente, l’attenzione è stata attratta, non tanto dall’articolo 12 delle Disposizioni sulla Legge in Generale, quanto dalle disposizioni contenute nel Capo IV, Titolo II, Libro IV del Codice Civile, Dell’interpretazione del contratto. La ragione tale scelta è presto detta; ci viene infatti con autorevolezza suggerito come "le disposizioni in oggetto sono rivolte essenzialmente agli organi dell’applicazione e specialmente ai giudici del processo civile", appaiono, quindi, "regole per la soluzione di conflitti interpretativi", che indirizzano l’autorità competente nel dirimere una controversia.
Or bene, il primo comma dell’articolo 1362 del Codice Civile , come noto, recita: "nell’interpretare il contratto si deve indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso letterale delle parole".
Preme porre in luce il fatto che, per usare a fini esemplificativi la seguente terminologia, il documento, il testo letterale, che potrebbe senza dubbio venire reso il termini di "legge-algoritmo", come auspicherebbe Borruso, rappresenta un aspetto dell’esperienza giuridica costitutiva quel contratto. Detto in altri termini, il testo (la regola scritta) costituisce soltanto un frammento del contratto, del momento regolativo dello stesso; è una parte da sommare ad altri elementi, codicisticamente rilevanti, al fine di poter riconoscere il contratto fra le volontà costituenti l’accordo.
L’esperienza contrattuale non si esaurisce nella istituzionalizzazione formale dell’accordo fra le parti. A questa si somma, come indicato all’articolo 1362, "la comune intenzione delle parti", la cui indagine, come riconosce la Cassazione , "non può trovare ostacolo nella lettera del contratto [… e …] non può essere mantenuta entro limiti strettamente formali". Importante rilevare come "la comune intenzione delle parti" si possa riconoscere anche attraverso la valutazione del "loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto". In tale contesto, l’analisi dell’azione, la regolarità del comportamento delle parti, permette di cogliere la loro reale intenzione non necessariamente racchiusa (ex ante) nel documento; infatti, per la Cassazione , anche quando il suo "significato appare univoco secondo le regole del linguaggio corrente, egli [il giudice] può discostarsi da esso ed attribuire all’autore o agli autori del negozio una volontà diversa da quella risultante dalle parole adoperate solo se individua ed indica le ragioni per le quali l’autore o gli autori del negozio, pure essendosi espressi in un dato senso, abbiano in realtà voluto manifestare una volontà diversa".
Quindi, è rispetto al comportamento delle parti e non solo in riguardo a ciò che hanno formalizzato, che si determina la loro intenzione, ciò che è fra loro istituito e che, ai sensi dell’articolo 1372 del Codice Civile, "ha forza di legge".
Se ciò può essere sostenuto, "la legge fra le parti", ovvero la norma che informa il loro rapporto, non è cristallizzata in un accordo formale, va piuttosto individuata attraverso il giudizio sul rapporto fra regola e regolarità.
In questo modo, quel giudizio diviene parte integrante della norma di quel contatto e si evidenzia, quindi, come il terzo elemento costitutivo l’esperienza giuridica contrattuale.
Soltanto uno dei tre elementi, la regola, è predefinito e, quindi, potrebbe venire reso sotto forma di algoritmo; gli due elementi, la regolarità ed il giudizio, pur essendo definiti non possono venire predeterminati.
La condotta delle parti non è allora l’esecuzione meccanica di un insieme di istruzioni precedentemente date, non è, insomma, come potrebbe apparire in una prospettiva cibernetizzante dell’esperienza giuridica, la automatica conseguenza della regola. Né il giudizio sulle relazioni fra regola e comportamento può avvenire senza interpretazione, ovvero, meccanicamente nei termini della logica deduttiva. Ancora la Cassazione : "il principio in claris non fit interpretatio non è compreso fra i criteri di interpretazione dei contratti accolti dal codice vigente, che invece a attribuito al giudice il potere-dovere di stabilire se la comune intenzione delle parti risulti in modo certo ed immediato dalla dizione letterale del contratto o se occorra accertarla mediante indagine basata sulle regole stabilite dagli articoli 1362-1371".
In tale prospettiva, il giudizio non si sviluppa esclusivamente intorno alla constatazione o meno dell’adeguamento del comportamento alla regola, come vorrebbero certe pretese algoritmizzatrici. Se così fosse la regola, per un verso, informerebbe la realtà offrendo un giudizio aprioristico sulla stessa e, per altro, la sua applicazione risulterebbe un esercizio di logica deduttiva (una sorta di sviluppo del sillogismo).
Soltanto accettando l’idea di una regola formalmente posta come fulcro dell’intera esperienza giuridica risulterebbe teoricamente possibile ipotizzare una automazione del giudizio. L’automatismo di esplicherebbe, cosa del resto evidenziata nello scritto di Borruso, in tre passaggi: a) riconoscimento della legge algoritmo come punto fondante l’esperienza giuridica e, quindi, come fondamento dell’idea stessa di giuridicità; b) sussunzione, con metodo logico deduttivo, della fattispecie concreta nella fattispecie astratta, riducendo il giudizio ad una dimostrazione logico-deduttiva; c) offrendo il giudizio (quantitativo) dell’azione nella sentenza.
All’intero di questa rappresentazione non avrebbero senso le indicazioni del Codice Civile sopra richiamate, le quali inducono, invece, a ritenere la norma il punto di congiunzione riconosciuto dal giudizio fra regola e regolarità.

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