L’ATTIVITÀ MEDICO/CHIRURGICA ARBITRARIA TRA “LETTERA” DELLA LEGGE E “DIMENSIONE ERMENEUTICA” DEL FATTO TIPICO
di Giovanni Caruso

Per quanto possa apparire forzato ascrivere l’adempimento in parola nell’àmbito delle regole genericamente cautelari, in quanto non direttamente afferenti la prevenzione del rischio insito nell’attività terapeutica , a giudizio di chi scrive, l’indole lato sensu cautelare della trasmissione del sapere tecnicoscientifico dal sanitario al paziente, e della successiva acquisizione dell’assenso consapevole all’intervento clinico, può inferirsi sol che non ci si limiti ad una superficiale disamina del significato e del valore dell’interazione comunicativa tra medico e paziente. Per un verso, perché il consenso, da mera ed astratta causa di liceità, “ingiustamente confinata negli angusti àmbiti dell’art. 5 del codice civile, diventa veicolo di informazione al paziente della diagnosi e della terapia e talora, proprio perché costringe ad una comunicazione attenta ed articolata, strumento di migliore diagnosi e soprattutto di adeguata scelta terapeutica”; per altro verso, perché la “comunicazione al paziente dei rischi che i metodi diagnostici proposti e l’eventuale terapia presentano, diventa banco di prova per un travaso di informazioni da medici a non medici per una chiarificazione di un sapere condivisibile e quindi controllabile da parte del destinatario di tale sapere, prima ancora che dal giurista e, nel contempo, informazione che costringe già il medico ad una previa, corretta chiarificazione dei rischi stessi e delle ragioni che ne giustificano l’assunzione, in una prospettiva di autocontrollo” . Com’è stato suggestivamente osservato, dopo tutto, “quand’è involontaria, l’imperita informazione del paziente non è che l’altra faccia (o, se si preferisce, la conseguenza) dell’errore diagnostico” .
Inoltre, pur a non voler vedere nella regola del consenso informato una regola cautelare stricto sensu, se ne possono individuare comunque i caratteri che ne consentono l’inquadramento nel giudizio di colpa, alla stregua della considerazione che l’attività medico-chirurgica è un’attività naturalmente rischiosa, e tuttavia socialmente utile e consentita, in cui la concretizzazione del rischio per patologie iatrogene può andare esente dall’addebitabilità soggettiva colposa al sanitario solo qualora il medesimo abbia operato secondo le procedure che legittimano l’accettabilità giustificata della concretizzazione dell’evento infausto, nell’àmbito delle quali va annoverata anche la previa acquisizione del consapevole assenso del paziente ; d’altronde, non dovrebbe nutrirsi, in proposito, perplessità di sorta ove si consideri, conclusivamente, come le regole la cui violazione informa il giudizio di colpa, “per quanto concerne il fondamento preventivo, […] possono distinguersi a seconda che la funzione cautelare abbia una copertura scientifico-esperenziale ovvero rifletta un’esigenza puramente organizzativa e ordinatoria” , il cui soddisfacimento concreto, per quanto attiene l’attività medico-chirurgica, non può non vedere, quale soggetto apicale, il paziente.

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