B.F. PIGHIN (a cura di), Chiesa e Stato in Cina: dalle imprese di Costantini alle svolte attuali Marcianum Press, Venezia 2010, pp. 294
di Maria Adele Carrai
Sebbene la libertà religiosa rientri nei diritti rispettati dall’articolo 36 della Costituzione della RPC del 4 dicembre 1982, il diritto in Cina rimane in funzione della politica, e la libertà religiosa sottomessa a una “concezione giuspositivistico-statalista dei diritti umani”, che ne evidenzia una precarietà (p. 129). Il riconoscimento della libertà religiosa sembra spinto da un progetto politico di usare la di tale libertà sia più legato a un progetto politico mirante ad usare le religioni come “strumentum regni” (p. 128), ossia come collante in una società complessa e vasta in cui il governo non riesce ormai ad operare localmente. Ma la libertà religiosa non può mai essere piena libertà perché le sue sfere di azione sono determinate dalla volontà dell’autorità civile.
Vi sono infine dimensioni dell’uomo che il sistema giuridico positivista retto dall’ateismo, “ forma di confessionalismo orizzontale” (p. 136), non può contenere: “L’homo religiosus…tende a vivere in tutte le dimensioni della realtà e nella pluralità di esperienza in cui viene coinvolto secondo i principi della propria fede” (p. 131).
Della Torre nella denuncia rimane ottimista rispetto alle pieghe che la situazione potrà assumere. I nuovi mezzi di comunicazione e i diritti umani, ormai formalmente abbracciati dalla RPC, potrebbero portare a una rivoluzione sociale in grado di aprire il radicato nazionalismo immanentista cinese alla trascendenza del Diritto divino.
Mons. Juan Ignacio Arrieta continua con l’enunciazione delle problematiche relative alla quaestio sinensis nel capitolo ‘L’organizzazione della Chiesa cattolica in Cina: lacune e prospettive’. La “pienezza” della Chiesa in Cina non è mai stata raggiunta in quanto questa non si raggiunge solo per emanazione di un atto giuridico, ma è un lungo processo, che è stato bloccato dalla Rivoluzione Culturale (p. 143). Il limite più grande che la Chiesa e la sua organizzazione devono affrontare oggi è quello imposto dall’APCC, come già visto nel capitolo della Giunipero. Se i preti cinesi furono i primi che per non vedere sparire la chiesa in Cina accettarono le nomine episcopali senza mandato pontificio, anche la Santa Sede, preservando il suo dogma, decise di scendere a compromessi pragmatici per fare fronte alla crescente clandestinità, attraverso la concessione di poteri speciali e, a partire dal 1981, di facoltà specialissime (p. 147).
Il problema è ancora una volta l’imposizione dell’autorità civile: lo stato prevede una legislazione religiosa (appendice 1) basata sul sistema yi tuan yi hu, ossia dei due comitati (APCC, Conferenza Episcopale della Chiesa Cattolica in Cina) che si pongono in una “posizione verticale rispetto all’Intera Chiesa in Cina” (p. 157). Tuttavia questa legislazione statale si pone in confitto con l’ambito diocesano che “è, per Diritto divino, autonomo e dipende solo dall’autorità universale della Chiesa” (p. 161).
‘La questione delle nomine episcopali nella Repubblica Popolare Cinese’ è definita da Feliciani come “uno dei problemi più delicati nei rapporti fra Santa Sede con le Autorità [cinesi]” perché “tocca il cuore stesso della vita della Chiesa in quanto la nomina dei Vescovi da parte del Papa è garanzia dell’unità della Chiesa e della comunione gerarchica” (p. 166). Sebbene la prassi oggi seguita dalla Santa Sede di riconoscere quando possibile i Vescovi nominati dalle autorità civili abbia prodotto buoni risultati, il funzionamento, ancora una volta, “dipende totalmente dalle posizione che l’Autorità civile ritiene di assumere di volta in volta, secondo gli orientamenti politici del momento, nei confronti della Santa Sede” (p. 170)
Un altro nodo nelle relazioni fra RPC e Vaticano, ‘La “questione religiosa” per il Partito Comunista Cinese dopo la “rivoluzione culturale”’, è infine trattato da Bappenheim nell’ultimo capitolo.
L’autore rivela con chiarezza i limiti dell’ateismo marxista, che vede la religione come oppio dei popoli, destinato, secondo quanto emerge dal Documento 19 del 1982, a “scomparire dalla storia dell’umanità” (p.180).
Bappenheim denuncia tuttavia l’impossibilità di un “primato della politica, poiché gli aspetti religiosi, almeno nella loro dimensione noumenica, sono addirittura precedenti e accompagnano la vita dell’uomo” (p. 176). Di questa impossibilità è prova il cambiato atteggiamento del partito nei confronti della religione. Se prima il governo faceva propria la ‘dottrina marxista ortodossa’ che portava alla soppressione graduale della religione, negli ultimi tre decenni vi è stato un ammorbidimento con l’assunzione del ‘marxismo aperturista’ (p. 182 ) che pur disapprovandola ne prende atto, a volte strumentalizzandola per il perseguimento dell’ambiguo ideale della società armoniosa.
Bappenheim parla di ‘lacità sovrareligiosa’ in Cina, in cui la libertà religiosa è permessa solo “nella misura in cui questa accetti un ruolo subordinato all’autorità politica dello stato e del Partito, ne accetti la guida politica in ogni settore e si adegui alle loro politiche “ (p. 213). Ed è proprio questo tipo di laicità che porta alla supremazia dell’autorità civile in materia religiosa, il nodo cruciale nei rapporti Chiesa e Vaticano, e che ha ancora prima la sua radice nell’ateismo.
L’opera oltre a permettere una maggiore comprensione della storia dei rapporti fra Cina e Vaticano del XX e XXI secolo, offre una disamina delle problematiche che caratterizzano la delicata situazione attuale di mancanza di relazioni diplomatiche.
Sebbene vi sia una rinnovata curiosità da parte del popolo cinese nei confronti della religione e del Cattolicesimo, rimane il problema del nazionalismo cinese incentrato sul marxismo e sull’ateismo, che porta all’applicazione di categorie civili e politiche ad affari spirituali della Chiesa Cattolica. L’imposizione dell’autorità immanente da parte del governo cinese non permette la piena realizzazione della Chiesa nella sua unità e universalità, e per riflesso non permette neppure il pieno compimento della libertà dell’uomo, in una delle dimensioni più profonde, quella religiosa.
Come ricorda Arrieta la Chiesa non si pone affatto contro l’Autorità civile, anzi educa i suoi fedeli al rispetto di questa (p. 163): “date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” dice Gesu nel Vangelo di Matteo 22,21.
Il rapporto con la Chiesa è una sfida per la Cina e per la sua visione giuspositivistica dei diritti umani e della libertà religiosa, intesa come pura concessione.
La quaestio sinensis è anche una prova per il Vaticano che deve continuare a dialogare con un’immensa realtà distante e complessa, senza tuttavia compromettere il dogma di portata universale che Essa incarna.
Gli sviluppi nei rapporti fra Cina e Chiesa hanno una valenza che va oltre i due stati. La Chiesa infatti si fa portavoce della dimensione religiosa dell’uomo che non può essere messa a tacere né dall’ateismo né dal progresso. La Repubblica Popolare Cinese dovrà confrontarsi con la Chiesa, ma ancora prima con le esigenze più profonde della persona umana e i suoi inviolabili diritti.
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