AUTODISCIPLINA E LEGGE NEL NUOVO DIRITTO DELL’ECONOMIA
di Lucio Franzese
6. Il contratto tra autonomia soggettiva e volontà individuale.
Eppure, v’è chi nega che l’essere legge per i contraenti, nel duplice profilo di autoregolamento degli interessi e di irretrattabilità del vincolo per tal modo assunto -nel che si sostanzia l’esercizio dell’autonomia soggettiva- costituisca il dato fisionomico del fenomeno contrattuale nella nostra esperienza giuridica. Così una recente ricognizione dell’istituto, condotta mediante l’analisi della legislazione e della giurisprudenza, si è conclusa evidenziando "le smentite via via più numerose e rilevanti" [DE NOVA 1993] subite dal principio che il contratto ha forza di legge tra le parti. In particolare, il potere di recedere costituirebbe ormai "la regola, nella disciplina dei singoli tipi, e il legislatore lo introduce in via generale come strumento di protezione; accanto al riconoscimento legislativo dello scioglimento per sopravvenienze straordinarie e imprevedibili, si aggiunge il riconoscimento pretorio dello scioglimento per sopravvenienze prevedibili, sotto la veste della presupposizione". A tale constatazione sembra poi far eco l’invito, proveniente dalla dottrina, ad un "atteggiamento più aperto nel considerare il rapporto contrattuale come suscettibile di subire modificazioni di varia natura e fonte, non necessariamente consensuale, ravvisando nei poteri di ciascun contraente, quand’anche idonei a sconvolgere unilateralmente e discrezionalmente il programma inizialmente concordato, un fenomeno per niente affatto sconcertante, paradossale o iniquo"[SCHLESINGER 1992].
Lo stesso successo del contratto sulla scena giuridica internazionale, secondo un’interpretazione sociologica [FERRARESE 2000], sarebbe "simmetrico all’indebolimento del suo significato normativo", nel senso che ciò che lo rende appetibile agli operatori dell’economia globalizzata è, appunto, la possibilità di poterselo scrollare di dosso nel caso di mutamento del loro volere in ordine all’assetto di interessi che con esso era stato progettato. Il principio che il contratto obbliga a quanto le parti hanno stabilito appare, dunque, come "un fardello pesante, che è talora più utile lasciar cadere per correre più in fretta". Ed è per questo che il contratto corrisponde ai bisogni di un’economia caratterizzata dalla ricerca e dall’assunzione di sempre nuovi rischi: strumento idoneo per "continue ridefinizioni giuridiche che rispondano meglio ai fini di acquisizione"da parte di agenti negoziali protesi a soddisfare quello che, a seconda delle circostanze, appare essere il loro esclusivo tornaconto.
In realtà la pretesa di potersi impunemente liberare dal vincolo negozialmente assunto, in ossequio al mutamento della propria volontà, non è, nella storia del pensiero giuridico, una vicenda nuova, nata con la globalizzazione mercantile, come risposta ed assecondamento delle esigenze di flessibilità dei rapporti economici che tale fenomeno comporta. Lo stesso orientamento sociologico considerato, ravvisando nella c.d. americanizzazione del diritto il portato giuridico della globalizzazione dei mercati, sottolinea che in precedenza analoghe posizioni erano state espresse dalla giurisprudenza e dalla dottrina statunitense in tema di law of contract. A fine Ottocento, ad esempio, il giudice Holmes afferma che ogni contraente ha diritto a non adempiere, cioè la possibilità di risarcire il danno cagionato alla controparte piuttosto che ottemperare all’impegno contratto nei suoi confronti. La sorte del vincolo, pertanto, viene fatta dipendere dalla scelta soggettiva e meramente potestativa tra l’eseguire il contratto o il sottostare alla responsabilità patrimoniale per l’inadempimento. Analoga elisione del legame contrattuale si verifica nell’ambito dell’analisi economica del diritto, e veniamo così ad un orientamento del pensiero giuridico del XX secolo, che teorizza l’inadempimento efficiente, configurabile ogni qual volta dalla rottura del contratto siano a derivare alle parti vantaggi economici superiori a quelli conseguenti al suo adempimento.
Lo scioglimento del vincolo pattizio, per il venir meno dell’interesse in coloro che lo hanno instaurato, rivela una mistica del consenso, secondo l’efficace espressione di Gino Gorla [1956], tale che il contratto è rimesso al potere della volontà degli stipulanti che, a loro arbitrio, possono disvolere quanto in precedenza avevano voluto.
Al difetto di instabilità delle operazioni negoziali, per la mutevolezza della volontà dei contraenti, si è inteso ovviare proponendo una concezione legalistica del contratto, per la quale esso obbliga in quanto vi è una volontà sovraordinata a quella delle parti, quella pubblica, che le costringe ad osservare quanto pattuito anche nel caso in cui una o entrambe intendano ripudiare quel regolamento che esse stesse hanno predisposto. Questa configurazione del contratto, canonizzando l’infedeltà degli stipulanti, la loro insofferenza ai vincoli, immiserisce la persona umana riducendola ad entità eterodiretta, che si conforma agli obblighi assunti solo per la paura di dover soggiacere alla sanzione prospettata dal titolare del potere per il loro inadempimento. E’ una concezione funzionale alla prospettiva della geometria legale che, presupponendo il singolo come incapace di assumere un vincolo e soprattutto di rispettarlo, rappresenta l’ordinamento giuridico delle relazioni intersoggettive come una tecnica del controllo sociale, volta ad ottenere la condotta desiderata mediante la minaccia di un male da parte di colui che è in grado di farsi valere sulla massa indisciplinata dei consociati.
Per evitare di dover ritenere che il rispetto dei contratti sia un fatto estrinseco alle persone dei contraenti, determinato dall’altrui coazione, bisogna recuperare il concetto classico di autonomia quale capacità di rispettare la parola data, la regola che ci si è imposta, oltre e contro l’evanescenza della propria volontà, sulla traccia delle indicazioni impartite da Emilio Betti [1947] per superare gli esiti aporetici in cui era incorso il fautore di turno della concezione volontaristica del negozio giuridico. In questa prospettiva, l’autonomia personale viene in rilievo come "substrato materiale"[SCOGNAMIGLIO 1950] delle stesse disposizioni codicistiche che, dichiarando il contratto legge per le parti, riconoscono e tutelano la dignità sociale del vincolo pattiziamente assunto. Del pari, la capacità naturale del soggetto di autodisciplinarsi risulta essere la matrice di quegli "indirizzi di politica legislativa che, eccitando il senso dell’autoresponsabilità o il rispetto dell’affidamento sembrano muoversi in un clima di generale solidarietà, finendo per proporre criteri che pesano sull’inesperienza, l’ignoranza, la leggerezza. Il senso della comunità e dell’autonomia sociale, in cui vorrebbero radicarsi formule come quelle dell’affidamento e del rischio correlativo, finisce per significare solamente l’impegnatività della regola, il rispetto della parola data"[RESCIGNO 1988]