AUTODISCIPLINA E LEGGE NEL NUOVO DIRITTO DELL’ECONOMIA
di Lucio Franzese
3. Mercato emancipato: la nuova costituzione economica
Con la partecipazione dell’Italia alle Comunità europee, prima, e all’Unione europea, dopo, siffatto ordine dell’economia sarebbe però entrato in crisi. L’economia di mercato, motore del processo di integrazione europeo, avrebbe scalzato l’economia dirigistica, nel senso che per effetto dell’ordinamento comunitario l’istituto del mercato sarebbe penetrato nel nostro Paese.
Secondo alcuni, in realtà, le stesse norme costituzionali sono suscettibili di essere interpretate in senso conforme all’idea di mercato e di concorrenza. Saremmo in presenza, in sostanza, di norme buone per tutte le stagioni, potendo assumere un significato financo opposto a quello voluto dai loro ideatori, come testimonia il varo, nel 1990, della legge antitrust che, all’articolo 1, dichiara di essere direttamente attuativa del dettato costituzionale.
Per altri, ogni discorso sulla costituzione economica non potrebbe prescindere, oggi, dal riferimento alla normativa comunitaria che integrerebbe quella nazionale, essendovi in ultima analisi complementarietà tra le due impostazioni. E anche per questa via si esperisce un tentativo di salvare il testo del 1948 dalla censura di anacronismo.
Altri ancora ritengono, invece, le norme costituzionali irrimediabilmente squalificate, implicando una opzione diametralmente opposta a quella fatta propria dall’Unione europea: da un lato i principi di un’economia eterodiretta, che persegue finalità estranee alle attese degli agenti economici; dall’altro quelli di un’economia improntata alle dinamiche interne al sistema produttivo. Di qui la necessità di porre fine all’antinomia mediante un procedimento di revisione costituzionale.
Indubbiamente è arduo sostenere la compatibilità del modello di economia aperta e concorrenziale, contenuto nei Trattati istitutivi delle Comunità, con i dettami di una Costituzione che, ispirata ad una concezione burocratica dell’economico, esclude il singolo, tramite la previsione di monopoli pubblici, da determinati settori e attività, salvo poi consentirne l’attribuzione a mezzo di concessioni, creando così delle condizioni di privilegio. Tuttavia, l’ingresso del mercato come principio cardine della vita economica non può ritenersi dovuto soltanto ai mutamenti di carattere istituzionale e, in particolare, al prevalere del diritto comunitario su quello nazionale. "Io credo, in definitiva -ha osservato Guido Rossi, riflettendo in generale sui rapporti tra diritto ed economia- che l’intervento legislativo sia condizionante del mercato, ma proprio perché condizione, non è il mercato stesso. Dobbiamo dunque cercare fuori dalle norme positive la sua definizione e la sua realtà"[ROSSI 1998].
Per lungo tempo la realizzazione del mercato comune, prevista dai trattati europei, è proceduta di pari passo con il mantenimento delle bardature statalistiche all’economia, al punto da risultare un paradossale dirigismo di mercato. Le norme comunitarie erano di fatto neutralizzate da quelle statali: si pensi, ad esempio, alla sostanziale disapplicazione del divieto, contenuto nella Carta europea firmata a Roma nel 1957, degli aiuti di Stato alle imprese nazionali. Il mutamento sembra abbia fatto leva, invece, sulla rinnovata consapevolezza, maturata nella società civile, del valore dell’iniziativa e della responsabilità individuale nel campo economico. Oltre alla pretesa dello Stato di ingessare le relazioni mercantili nelle maglie del suo sistema normativo, infatti, è stata posta in discussione la rinuncia degli imprenditori ad esercitare l’intrapresa economica e ad acconciarsi nel ruolo di assistiti del potere pubblico, che da questo ricevono patenti e sussidi, con l’effetto di deprimere la loro naturale autonomia di soggetti. Si è quindi affermata una cultura che riconosce nel mercato l’ambito nel quale i singoli autoregolano i propri interessi mediante lo scambio di beni e servizi. Il mercato come luogo d’esercizio dell’autonomia soggettiva, dunque; dell’attitudine cioè del soggetto a determinare gli obiettivi della propria azione e a disciplinarsi in funzione del loro raggiungimento.
Tale discontinuità rispetto alla concezione di stampo geometrico comporta il riconoscimento dell’utilità sociale del mercato, il suo essere cioè un istituto idoneo a consentire ai consociati di individuare e realizzare da se stessi l’organizzazione produttiva più consona alle esigenze poste dall’associazione societaria. Assistiamo, pertanto, alla "evoluzione dell’interpretazione delle norme costituzionali in materia economica, correlata alla dinamica dei contenuti materiali dei rispettivi rapporti"[MENGONI 1996], nel senso che, sotto la pressione di quella che è la concreta esperienza giuridica, viene "estratto di forza dalla Costituzione di un’economia mista di stampo pubblicistico la realtà di un’economia di mercato"[QUADRIO CURZIO 1997]. Più precisamente, sembra consumarsi una rottura dell’ordine costituzionale per l’affermarsi di quella che Sabino Cassese ha veritieramente definito La nuova costituzione economica [2000]