AUTODISCIPLINA E LEGGE NEL NUOVO DIRITTO DELL’ECONOMIA
di Lucio Franzese

2. Anomia individuale e guerra economica: la Legge sovrana

La vicenda, a ben riflettere, rivela in modo esemplare il condizionamento esercitato dalla dicotomia tra privato e pubblico sul nostro ordinamento giuridico. Privato e pubblico, come è stato evidenziato da Francesco Gentile [1983] sono categorie elaborate dal pensiero giuridico moderno, quindi in una prospettiva ipotetico-deduttiva e con intento operativo, per accreditare la legge, intesa come comando del potere, quale unico criterio ordinamentale di un mondo di per sè exlege. I rapporti intersoggettivi sarebbero vincolanti, degni dell’affidamento delle parti e dei terzi, solo perché muniti del crisma legale. La paura di dover soggiacere all’applicazione di una sanzione dello Stato ovvero l’interesse a lucrare il premio da questi promesso, infatti, persuaderebbero i singoli a tenere il comportamento dovuto, a mantenere la parola data che, di per sé, non avrebbe alcuna impegnatività.
In funzione di tale assolutismo giuridico [GROSSI 1988] che disconosce ogni forma di regolarità comportamentale non originata dalla volontà statale, il singolo viene postulato come privato: un soggetto refrattario ad ogni autoregolamentazione in quanto sensibile soltanto a ciò che, di volta in volta, gli appare come più vantaggioso. Porre ordine nelle relazioni intersoggettive è dunque prerogativa di un soggetto altro rispetto ai privati, un soggetto autoreferenziale, capace di imporre norme ai consociati in quanto dotato della forza necessaria per sottomettere i recalcitranti.
Ecco prendere corpo la persona pubblica, la persona dello Stato, che, per assolvere la sua funzione di demiurgo e di creatore dell’ordine, deve porsi come sovrano, soggetto cioè che non dipende da nessuno se non dalla propria spada. Con la conseguenza che la manifestazione del suo volere è legge per i privati: auctoritas non veritas facit legem, secondo l’icastica definizione hobbesiana.
In tale ottica, la prescrizione, il dover essere, non può avere alcuna corrispondenza con lo statuto dei rapporti umani, con il loro essere, stante l’ipotesi dell’originaria anomia dell’individuo, assunta dalla scienza giuridica moderna quale presupposto della sua concezione del diritto come fenomeno eteronomo e artificiale, creato cioè da colui che è in grado di far valere la propria volontà su quella anarchica dei consociati. Si dà vita, pertanto, ad una mera geometria legale, a una regolamentazione astratta, avulsa dai fatti della vita, che vengono irreggimentati in quanto promananti da soggetti predicati come incapaci di moderare i propri istinti ed impulsi, e quindi come individui sregolati.
Per quanto concerne in particolare i rapporti economici, questa impostazione, che dal giusnaturalismo moderno sembra giunta sino a guidare la mano del nostro costituente, imponendo paradigmi che prescindono dall’intelligenza dell’esperienza economica, concepisce il mercato come caotico, selvaggio, nel senso che ogni operatore commerciale tenderebbe a prevaricare l’altro, vigendo la legge del più forte. La libera concorrenza non è che guerra economica, la quale può essere debellata solo dall’intervento pubblico. Predeterminando le modalità d’azione dell’homo oeconomicus – il quale tende a qualunque costo a massimizzare il proprio profitto – si imbriglia la volontà individuale, che è all’origine della imprevedibilità e incalcolabilità della condotta umana, garantendo la regolarità della vita degli affari.
Per tal modo lo Stato mette fuori legge le relazioni di mercato, in quanto instabili e precarie, e istituisce un ordinamento che si identifica nell’assoggettamento dei rapporti economici al potere, mediante l’irrogazione di pene a carico di chi devia dal decretato e nella prestazione di provvidenze a vantaggio di chi si uniforma allo statuito.

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