SOVRANITÀ, DEMOCRAZIA, EUROPA.
RIFLESSIONI A PARTIRE DA GIUSEPPE CAPOGRASSI [1]
di Stefano Biancu
Université de Lausanne

7. Ora, prendere sul serio la necessità di garantire una durata pubblica mi pare comporti due conseguenze molto importanti. In primo luogo essa svolge una funzione antitotalitaria fortissima. Per spiegarlo mi paiono preziose le categorie di Giorgio Agamben, secondo il quale – com’è noto – la figura del diritto romano arcaico dell’homo sacer è il paradigma della «nuda vita», la quale è finalmente il presupposto della teoria hobbesiana (e dunque occidentale) della sovranità. [29] Secondo Agamben, la sovranità si è cioè tradizionalmente legittimata per la sua capacità di sospendere quello stato di guerra di tutti contro tutti nel quale ciascuno è nuda vita, homo sacer, per l’altro: nel quale ciascuno è finalmente uccidibile da chiunque.
Tradizionalmente, il potere sovrano si legittima dunque per la sua capacità di togliere la vita di ciascuno dalla disponibilità di tutti gli altri, mettendola nella esclusiva disponibilità del sovrano stesso. Ora, secondo Agamben, questa nuda vita che costituisce il presupposto ultimo del pensiero politico occidentale (in quanto ragione ultima della necessità della sovranità), è soltanto una finzione: un prodotto artificiale, non naturale. Nella realtà nessun uomo è infatti mai una nuda vita, ma è piuttosto una forma-di-vita indissociabile da un contesto, da un mondo linguistico e culturale: ovvero da ciò che abbiamo chiamato una «durata pubblica». Secondo Agamben l’ambizione suprema del biopotere moderno è invece proprio quella di realizzare una separazione assoluta tra il vivente e il parlante: tra la nuda vita e l’individuo inserito in una comunità e in una durata pubblica. La politica mira cioè a convertirsi integralmente in biopolitica, decidendo della identità umana, di ciò che pertiene o non pertiene all’umano, di ciò (e di chi) appartiene alla comunità degli esseri umani (gli esempi nella storia non sono purtroppo mancati). Ecco dunque la prima funzione di una presa in carico della nozione di «durata pubblica»: il riconoscimento che la vita umana non è mai nuda vita: non è mai del tutto disponibile al potere.

8. Ma c’è ancora una seconda importante conseguenza di una seria presa in considerazione della durata pubblica. Si tratta di un notevole ridimensionamento di quelle spinte localistiche che, per esempio, mettono in crisi il progetto di un’Europa unita. Se durata pubblica significa un’identità a partire dalla quale pensare, ma anche un’identità più prossima alla natura del debito che non a quella del possesso, è evidente che ogni spinta localistica che miri alla “immunizzazione” della comunità locale nei confronti del fuori e dell’altro non fa altro che tradire non solo le radici e la storia della comunità, ma pure il suo avvenire. Solo il rapporto con l’altro – nel tempo e nello spazio – abilita infatti a dire «io» e a dire «noi». Non riconoscere il debito che ci lega gli uni agli altri significa sciogliere le comunità e inferocire le persone.

9. Tutto questo ha evidentemente delle ricadute molto concrete anche sull’attualità. Penso al problema, oggi urgentissimo, di un’Europa messa in difficoltà da spinte localistiche e centrifughe. L’Europa non è oggi messa in crisi dalle sovranità nazionali in sé stesse, ma da una certa e peculiare forma di sovranità, formalmente fondata sul popolo, ma spesso sostanzialmente compromessa da un populismo che ha interesse a mantenere i popoli in un costante «stato di minorità».
All’interno degli Stati membri, infatti, spesso la politica agita paure globali col fine di creare consenso attorno a un nemico comune: un consenso che però toglie sovranità al popolo, invece che riconoscergliela. Esso mira non tanto a esprimere l’«esperienza comune» del popolo, ma a dominarlo attraverso la seduzione e la paura. Si tratta cioè di un consenso che garantisce forse la forma della libertà, ma la svuota di ogni forza. Con Capograssi (e oltre Capograssi), si potrebbe dire che oggi in Europa l’autorità della sovranità viene, sì, formalmente riconosciuta al popolo, ma che essa facilmente degenera in una sovranità contro il popolo. E questo può accadere a causa di una crisi di autorevolezza dei popoli europei. La crisi di autorità dell’Europa è così finalmente una crisi di autorevolezza
dei popoli europei, che faticano a liberarsi da un populismo che vive e si nutre di spinte localistiche che tradiscono la storia e l’avvenire delle comunità (la durata pubblica, appunto). Spinte che riducono in maniera sostanziale le possibilità di uno spazio, pubblico e comune, quale luogo di incontro e di confronto.
Non credo che si possa consentire con le tesi di coloro secondo i quali il progetto europeo è in sé stesso sintomatico di una generale sovversione del politico da parte del giuridico (e dunque finalmente il sintomo di un diffuso individualismo: è la tesi di Marcel Gauchet). [30] Credo piuttosto che l’Europa possa realmente ambire ad ampliare i confini del politico – classicamente coincidenti coi confini dello Stato-nazione – e ad andare oltre lo Stato, secondo l’intuizione vichiana e capograssiana di una «civitas magna». E questo proprio con lo scopo di creare un ambiente cosmopolitico favorevole alla stabilizzazione delle conquiste irrinunciabili tipiche dello Stato di diritto democratico (è la tesi di Jean-Marc Ferry): [31] conquiste oggi messe in pericolo da un governo non democratico dell’economia e della finanza su scala globale. Ma perché l’Europa possa avere l’autorità necessaria a operare questa riconquista politica dell’economico, il popolo europeo deve essere libero e autorevole: attento alla delicatezza non solo del proprio spazio pubblico ma anche delle differenti durate pubbliche che di quest’ultimo sono una imprescindibile condizione di possibilità.

 

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[1] Testo redatto dall’Autore relativo alla relazione tenuta nella Sessione dedicata a “Principio di sovranità e democrazia moderna” (con L.M. Bassani e C. Lottieri) in occasione della Lectio Magistralis di Hans-Hermann Hoppe (Università degli Studi di Padova, 9 dicembre 2010).
[2] Cfr. su questo L. FERRAJOLI, La sovranità nel mondo moderno. Nascita e crisi dello Stato nazionale, Laterza, Roma-Bari 1997.
[3] Non mi è qui possibile dilungarmi sulla figura di Giuseppe Capograssi (1889-1956). Per ulteriori approfondimenti rimando a S. BIANCU, La rivoluzione cristiana: l’autorità come educazione e come carità, introduzione a G. CAPOGRASSI, Educazione e autorità: la rivoluzione cristiana, La Scuola, Brescia 2011. Su Capograssi si veda anche: Due convegni su Giuseppe Capograssi (Roma-Sulmona 1986), a cura di F. MERCADANTE, Milano, Giuffrè 1990; A. PIGLIARU, Saggi capograssiani, a cura di A. DELOGU, Edizioni Spes – Fondazione Giuseppe Capograssi, Roma 2009; Esperienza e Verità. Giuseppe Capograssi: un maestro oltre il suo tempo, a cura di A. DELOGU e A. M. MORACE, Bologna, Il Mulino 2009; M. D’ADDIO, Giuseppe Capograssi. «La vita non c’è, bisogna farsela» 1889-1956, Giuffrè, Milano 2011. Per quanto riguarda in particolare la riflessione del giovane Capograssi sullo Stato si veda anche F. GENTILE, Il giovane Capograssi nei due saggi sullo Stato: 1911-1918, in Due convegni su Giuseppe Capograssi, cit. pp. 305-318.
[4] G. CAPOGRASSI, Saggio sullo Stato, in: Id., Opere, Giuffrè, Milano, 1959-1990, vol. I, pp. 1-147 (ed. or. Bocca, Torino 1918).
[5] Ivi, p. 36.
[6] Ivi, p. 38.
[7] Ivi, pp. 40-41.
[8] Ivi, p. 42.
[9] Ivi, p. 102.
[10] Ivi, p. 103.
[11] Ivi, p. 107.
[12] Ivi, p. 137.
[13] Ivi, p. 138.
[14] Ibidem.
[15] G. CAPOGRASSI, Riflessioni sull’autorità e la sua crisi, a cura di M. D’ADDIO, Giuffrè, Milano 1977 (ed. or. Carabba, Lanciano 1921; disponibile anche in: G. CAPOGRASSI, Opere, cit. vol. I, pp. 149-402).
[16] Ivi, p. 216.
[17] Ivi, p. 223.
[18] Ivi, pp. 223-224.
[19] Ivi, p. 225.
[20] G. CAPOGRASSI, Saggio sullo Stato, cit., p. 8.
[21] Ivi, p. 9.
[22] Ivi, p. 17.
[23] Com’è noto, si tratta di categorie ricorrenti nell’intera opera capograssiana. Ma, in particolare, in due opere dei primi anni Trenta: Analisi dell’esperienza comune (1930), in: Opere, cit., vol. II, pp. 1-207 e Studi sull’esperienza giuridica (1932), in: Opere, cit., vol II, pp. 209-373.
[24] Cfr. J. HABERMAS, Strukturwandel der Öffentlichkeit. Untersuchungen zu einer Kategorie der bürgerlichen Gesellschaft (1962), Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2009.
[25] KANT, Was heisst: Sich im Denken orientieren? (1786), in Kant’s Gesammelte Schriften, Reimer, Berlin 1900ss, vol. VIII, pp. 131-147; ed.it. a cura di F. DESIDERI, Che cosa significa orientarsi nel pensiero, in I. KANT, Questioni di confine. Saggi polemici 1786-1800, Marietti, Genova 1990, p. 14.
[26] Cfr. M. MERLEAU-PONTY, L’institution dans l’histoire personnelle et publique / Le problème de la passivité: le sommeil, l’inconscient, la mémoire: notes de cours au Collège de France (1954-1955), Belin, Paris 2003; M. REVAULT D’ALLONNES, Le pouvoir des commencements. Essai sur l’autorité, Seuil, Paris 2006; S. BIANCU, La questione dell’autorità, in S. BIANCU – G. TOGNON (a cura di), Autorità. Una questione aperta, Diabasis, Reggio Emilia 2010, pp. 9-77.
[27] E.-W. BÖCKENFÖRDE, Der Säkularisierte Staat. Sein Charakter, seine Rechtfertigung und seine Probleme im 21. Jahrhundert, Carl Friedrich von Siemens Stiftung, München 2007, p. 11-43; tr.it. Libertà religiosa e diritto: lo stato secolarizzato e i suoi valori, in Il Regno-Attualità, n. 18, 2007, pp. 637ss.
[28] Cfr. su questo l’ormai classico contributo di R. ESPOSITO, Communitas. Origine e destino della comunità, Einaudi, Torino 20062. Sul tema del dono e sulla socialità che ne deriva il riferimento obbligato è però evidentemente al saggio di M. MAUSS, Essai sur le don, «Année sociologique», serie II, 1923-24, t. I.; poi in: Id., Sociologie et anthropologie, Puf, Paris 1950; tr.it. di F. ZANNINO, Teoria generale della magia e altri saggi, Einaudi, Torino 1965. La prospettiva aperta da Mauss ha dato vita nel XX secolo a molteplici correnti di studio, alla ricerca di un modello di socialità differente rispetto alle prospettive classiche del liberalismo e del comunitarismo. Su questo si veda almeno: A. CAILLÉ, Anthropologie du don. Le tiers paradigme, Desclèe de Brouwer, Paris 2000.
[29] È la tesi fondamentale di G. AGAMBEN, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 1995.
[30] Cfr. M. GAUCHET, La condition politique, Gallimard, Paris, 2005.
[31] Cfr. J.-M. FERRY, La république crépusculaire. Comprendre le projet européen in sensu cosmopolitico, Éditions du Cerf, Paris 2010.

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